Vermiglio: la spiegazione del finale del film di Maura Delpero
Vermiglio dopo il trionfo di ieri sera alla premiazione dei David di Donatello ripercorriamo la spiegazione del finale
Una prospettiva futura e un finale aperto per il film di Maura Delpero che ha trionfato ai David di Donatello!
Le 7 statuette vinte alla premiazione dei David di Donatello 2025 sono un altro sigillo che conferma la grandezza di Vermiglio, un film che ha saputo ricreare un microcosmo famigliare sullo sfondo della Seconda guerra mondiale. Ma c’è di più, Maura Delpero è riuscita a indagare il passato senza stereotipi o lezioni morali, intessendo invece un racconto sincero e accurato sia storicamente che socialmente. Tra i premi David spiccano la Miglior Regia (prima donna ad averlo vinto), e Miglior Film. Quattro invece i David tecnici: Miglior casting, Migliore produttore, Migliore fotografia e Miglior suono.
La Delpero, che già aveva portato a casa il Leone d’Argento all’81° Festival del Cinema di Venezia, con Vermiglio ha viaggiato in tutto il mondo, partendo dalle montagne innevate del Trentino ha conquistato il favore della critica e del pubblico internazionale, rischiando anche di essere selezionata per la cinquina finale per il Miglior Film Internazionale agli Oscar. Diamo uno sguardo ulteriore al finale del film, così articolato e profondo nella sua apparente semplicità.
In Vermiglio si racchiudono gli anni più importanti della nostra Storia recente, attraverso l’incedere lento delle stagioni

Vermiglio è un film che passa necessariamente attraverso la Storia d’Italia, ma anziché essere un semplice sfondo, gli echi della guerra sono il motore della narrazione. Tutta la vicenda privata della famiglia Graziadei è strettamente connessa agli accadimenti della nazione: alcuni soldati iniziano a tornare dal fronte frastornati e segnati dagli orrori del conflitto. Come il personaggio di Pietro che incrocia la traiettoria della protagonista Lucia, figlia di Adele e Cesare Graziadei, i due giovani si innamorano delicatamente, soffiando sui visi dell’altro sorrisi timidi, sguardi di sottecchi e piccole dichiarazioni d’amore scritte su fogli di carta.
Tuttavia, Vermiglio è soprattutto un film corale dove un spettro di personaggi si influenzano tra di loro, condividono spazi angusti, una vita misera e modesta. Sotto l’occhio attento del padre Cesare, maestro che vuole portare l’alfabetizzazione in paese spingendo sul valore della cultura, la famiglia Graziadei vive seguendo il ciclo naturale delle stagioni, in un lento fluire delle cose e della vita.
Le tre figlie sono tre anime diverse di un’Italia in divenire e da ricostruire: Lucia, la più grande, conosce Pietro e lo sposa; Ada desiderosa di continuare gli studi è invece costretta a soffocare i suoi studi e le sue ambizioni; e poi Flavia, la più piccola, la preferita del padre e sua erede, anche se ne ha compreso tutto il peso e la responsabilità.
Lo sguardo di Maura Delpero è originale e consapevole, dentro Vermiglio rivive l’impronta autoriale degli Olmi, Pasolini e Taviani.

Non è un caso che il film si apra prima con i suoni e poi con le immagini. Tutta l’estetica di Vermiglio è un confluire armonico di percezioni uditive, visive, di scrittura e di recitazione. La prima scena è introdotta dal suono di un respiro pesante, un chiocciare di galline e poi uno scroscio ritmico di qualcosa, per mostrare poi una ragazza che munge una vacca. Un’immagine bucolica che simboleggia quel rapporto simbiotico tra uomo e animale, un lirismo della natura che ci richiama alla mente L’albero degli zoccoli di Ermanno Olmi. C’è poi anche un riferimento al Padre Padrone dei F.lli Taviani nel personaggio di Cesare, un padre che sì accoglie la forza della cultura per animare il progresso, ma a cui non tutti vi possono prendere parte. Sarà infatti solo una delle tre figlie ad essere destinata allo studio, pena invece la rinuncia per le altre.
E qui la poetica della Delpero sfocia poi in diverse tematiche che sono anche esplicative di un finale aperto, sofferto e necessario. La guerra è finita. Lucia e Pietro si sposano e finalmente lui può tornare nella sua Sicilia per far vedere che è vivo. Lucia dopo essere rimasta incinta di Pietro rimane ad aspettarlo nel suo paese della Val di Sole, in un mondo in cui la comunicazione era lenta e metteva a dura prova i sentimenti. La maternità di Lucia diventa un peso e anche un obbligo da cui non ci si può sottrarre, ma anche una forma di ribellione al giogo patriarcale degli uomini, siano che siano mariti o padri. Ecco che lo sguardo dell’autrice prende forma e racconta le mille contraddizioni di una società intrisa di costumi e abitudini ancora arcaiche.
Vermiglio: il finale del film spiegato

Dopo mesi di silenzio, si apprende dal giornale che Pietro, già sposato con una donna siciliana, viene da questa ucciso. Lucia nel frattempo dà alla luce la figlia, Antonia, e cade in una disperazione profonda, rifiuta la bambina e medita anche il suicidio, dal quale la salva il fratello Dino. Decide così di recarsi in Sicilia, dove incontra la moglie di Pietro, in un gioco di sguardi che dicono tantissimo e rivelano due condizioni femminili speculari ma con radici culturali opposte.
Intanto Lucia ha affidato la figlia ad un orfanotrofio dove lavora anche la sorella Ada, diventata suora. La consapevolezza della maternità nel frattempo è cresciuta in Lucia, accettando la sua condizione di madre. La maternità per la Delpero diventa un mezzo per una consapevolezza interiore, e non soltanto una dimensione nel quale le donne erano costrette, quasi relegate ai margini della società.
Così il finale si tinge di una valenza politica e sociale: Lucia prende in braccio la figlia che aveva abbandonato, accogliendone tutto il peso e la responsabilità. Dapprima la rabbia e il dolore verso il marito l’avevano costretta in un peso insormontabile, ora invece la sua è una evoluzione non solo personale ma collettiva.
Lucia per superare il lutto, il dolore, deve finalmente perdonare, prima sé stessa e poi Pietro; solo così potrà accettare la sua condizione di madre. Sentirsi madre, ci dice la Delpero, non è un processo immediato, spontaneo e naturale, ma un percorso personale che prevede un cammino più lungo e consapevole. Vermiglio si conclude con un finale aperto suggerendo una direzione alternativa al sentire comune. Confermando ancora una volta il respiro composito e sfaccettato di un’opera dalle molteplici letture.