Requiem for a Dream: 12 curiosità sul cult di Aronofsky

12 aneddoti che svelano dettagli del dietro le quinte e non solo.

Quando Darren Aronofsky presentò Requiem for a Dream nel 2000, molti spettatori uscirono dalle sale scossi, qualcuno addirittura arrabbiato. Non era un film da vedere “per piacere”, ma un pugno nello stomaco che parlava di dipendenze e ossessioni senza alcun filtro. Dietro la macchina da presa e sul set si consumarono sacrifici e scelte radicali che spiegano perché ancora oggi questo film sia ricordato come una delle esperienze più devastanti del cinema moderno. Abbiamo raccolto 12 curiosità che danno un’idea più precisa dei tanti dettagli “invisibili” che hanno contribuito a creare un cult.

1. Dal libro allo schermo

Requiem for a Dream - Cinematographe.it

Il film prende vita dal romanzo di Hubert Selby Jr., uscito nel 1978, che raccontava già allora il lato oscuro dell’America delle dipendenze e della solitudine. Aronofsky, che era un grande estimatore dello scrittore, volle Selby al suo fianco durante la sceneggiatura, convinto che solo lui potesse preservare l’anima disperata della storia. L’autore non si limitò a collaborare: accettò anche un cameo, vestendo i panni di un secondino che sorveglia Tyrone.

2. Jennifer Connelly e Marion Silver in Requiem for a Dream

Jennifer Connelly interpretava Marion, una ragazza che sogna una carriera nella moda ma che scivola nella dipendenza. Il dettaglio curioso è che il personaggio condivideva con lei un legame molto concreto: anche suo padre, nella vita reale, lavorava nell’industria tessile. Per calarsi meglio nel ruolo, l’attrice iniziò a confezionare da sola alcuni dei suoi costumi di scena, rendendosi di fatto la stilista di parte del guardaroba del personaggio.

3. Jared Leto e la trasformazione estrema in Requiem for a Dream

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Per dare credibilità al suo Harry, Jared Leto scelse una trasformazione radicale. Per mesi si privò di zuccheri e di qualsiasi piacere alimentare, arrivando a perdere oltre dieci chili. Non si trattava di una semplice dieta: Aronofsky voleva che lui e Marlon Wayans sperimentassero davvero la frustrazione e il malessere tipici dell’astinenza. Leto, da parte sua, si spinse oltre e visse un periodo per strada a stretto contatto con tossicodipendenti reali, osservandoli e cercando di comprendere i loro gesti e le loro abitudini.

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4. Ellen Burstyn, l’Oscar mancato e non solo

Ellen Burstyn inizialmente rifiutò la parte di Sara perché la sceneggiatura le appariva insopportabilmente cupa. Accettò solo dopo aver visto Pi greco – Il teorema del delirio, rimanendo colpita dal talento visionario di Aronofsky. Sul set la sua dedizione fu assoluta: ogni mattina passava ore al trucco per indossare protesi pesanti, strati di grasso finto e diverse parrucche che ne alteravano completamente l’aspetto. Alla fine venne candidata all’Oscar, ma perse contro Julia Roberts.

5. Lacrime dietro la cinepresa in Requiem for a Dream

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Mentre Ellen Burstyn recitava il monologo sulla vecchiaia, il direttore della fotografia Matthew Libatique abbassò la macchina da presa, spezzando l’inquadratura. Aronofsky interruppe subito la scena, convinto di un errore tecnico. In realtà, Libatique era stato sopraffatto dall’emozione, e le lacrime gli avevano offuscato la vista e bagnato l’obiettivo. Difficile trovare un dettaglio che sappia meglio raccontare la potenza della performance di Burstyn, capace di scuotere anche chi stava dietro la cinepresa. Aronofsky decise che non c’era motivo di rigirare, colpito dalla reazione spontanea del suo collaboratore.

6. La vasca “presa in prestito”

La scena in cui Marion urla sott’acqua nella vasca è diventata un simbolo del film. Ma non fu un’invenzione originale: Aronofsky la prese direttamente dall’anime giapponese Perfect Blue di Satoshi Kon. Per sicurezza acquistò i diritti dell’intero film, pur di poter inserire quella sequenza nel suo lavoro senza rischi legali. Non era solo un omaggio: era un segno di rispetto per un’opera che lo aveva influenzato. .

7. Montaggio frenetico in Requiem for a Dream

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Uno degli aspetti più radicali del film è il montaggio: oltre duemila tagli, contro i circa seicento di un film medio. Le sequenze ripetute della preparazione della droga – cucchiaio, accendino, siringa, pupille – sono montate come un rito, un rituale che scandisce la vita dei personaggi. Questo stile visivo, ossessivo e ipnotico, crea un ritmo incalzante che lascia lo spettatore senza respiro. Aronofsky voleva che chi guardava non fosse un semplice osservatore, ma che provasse fisicamente la stessa ansia e la stessa frenesia della dipendenza.

8. Pupille dilatate, un errore che resta

C’è un dettaglio che non corrisponde alla realtà: ogni volta che i personaggi assumono eroina, le pupille si dilatano. In verità, l’effetto della sostanza è l’opposto: le pupille si restringono. È una licenza visiva, probabilmente scelta per rendere più evidente e leggibile il cambiamento. Al cinema la verosimiglianza non sempre conta quanto l’impatto emotivo, e questa scelta va letta come un modo per mostrare immediatamente lo “stato alterato” dei protagonisti.

9. Le arance che annunciano la tragedia

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Quando i protagonisti ricevono una partita di droga, tra i dettagli della scena compaiono arance e perfino un camion carico di questi frutti. Non è un caso, ma un omaggio a Il Padrino, dove gli agrumi segnalavano sempre la presenza della morte in arrivo. Aronofsky prese in prestito questo simbolismo e lo inserì nel suo film, trasformando un dettaglio apparentemente banale in un avvertimento per lo spettatore. Il regista ha insomma disseminato di richiami e codici un’opera che, a prima vista, sembra raccontare solo la decadenza.

10. Un volo con la telecamera

Per ricreare l’allucinazione di Harry che cade, Aronofsky e la troupe decisero di appendere una telecamera a una corda da bungee jumping. La soluzione sembrava azzardata e rischiosa: nessuno era sicuro che l’attrezzatura si sarebbe fermata prima di schiantarsi. Alla fine funzionò, e la scena trasmette realmente la vertigine di un corpo in caduta libera. Era un modo creativo, e anche pericoloso, per ottenere un effetto che oggi probabilmente verrebbe ricreato al computer, ma che allora aveva bisogno della fisicità di una vera caduta.

11. Lo show televisivo di Requiem for a Dream

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Lo show immaginario che tormenta Sara, condotto da Tappy Tibbons, fu girato in un solo giorno. Christopher McDonald improvvisò gran parte delle sue battute, trasformando le riprese in un’esperienza sorprendente anche per chi era sul set. Il pubblico finto che lo circondava, composto da comparse, a un certo punto si alzò in piedi e lo applaudì per davvero, come se fosse a un vero spettacolo televisivo.

12. Una telefonata più vera che finta

La telefonata tra Harry dall’ospedale e Marion, disperata e piena di bugie, non venne recitata in modo separato come di solito avviene. Aronofsky fece recitare Jared Leto e Jennifer Connelly in contemporanea, in due stanze vicine, con una linea telefonica collegata per davvero. In questo modo ogni esitazione, ogni interruzione e ogni pausa erano risposte dirette all’altro attore, non scelte di copione.

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