Povere creature! e il significato dietro ai costumi di Bella

I costumi indossati da Emma Stone in Povere creature! rappresentano perfettamente il suo viaggio di autodeterminazione e liberazione, scopriamoli e capiamoli insieme!

Povere creature!, vincitore del Leone d’Oro allo scorso Festival del cinema di Venezia, è inevitabilmente il film del momento, apprezzato da molti ma anche criticato da altri. Yorgos Lanthimos è un regista complesso, per certi versi unico nel suo genere, padre di un cinema feroce e disilluso, narratore di un’umanità crudele e violenta, incapace di provare sentimenti. Il cineasta greco è creatore di storie quasi fantascientifiche, di fiabe nere che stupiscono e spaventano, non è certo demiurgo di opere rassicuranti e consolatorie bensì di titoli che sono come dinamite di fronte agli occhi e nella mente di chi guarda. Con Povere creature!, basato sull’omonimo romanzo di Alasdair Gray, Lanthimos porta sul grande schermo l’ennesimo film mondo, stratificato e ricchissimo, come lo è la sua protagonista Bella, una Frankenstein steampunk retro-futurista e iper-femminista, una strepitosa Emma Stone che dà corpo ad una donna alla ricerca di libertà e indipendenza. Elemento necessario e fondamentale per costruire Bella, il suo personaggio e il suo viaggio è il look. Gli abiti di cui si è occupata Holly Waddington, candidata al premio Oscar proprio per i costumi del film, acquistano un valore e un significato profondissimo per il viaggio della protagonista che da donna “in catene” diventa un’adulta, matura, indipendente.

L’importanza degli abiti di Povere Creature!, che seguono pedissequamente il percorso di un’eroina in crescita. Abiti organi, colori della carne, maniche a sbuffo, alcuni degli elementi del suo guardaroba per comprendere meglio il suo viaggio

Povere creature! racconta la storia di Bella Baxter, giovane con il cervello da neonato o neonato con il corpo di donna, frutto di uno degli esperimenti di un eccentrico scienziato, Godwin Baxter (William Dafoe i cui tratti sono esagerati fino alla mostruosità dal trucco prostetico), durante la tarda età vittoriana. La protagonista ad un certo punto percepisce chiaramente il desiderio di uscire dal guscio, entrare nel mondo e diventa Bella nel senso più profondo del termine, sempre più vicina a se stessa. A dominare l’atmosfera vittoriana dal twist surrealista, e a lasciarci sconvolti e turbati ma anche affascinati, di un’estetica ricca appunto di riferimenti, colori, piani, sono i costumi di Holly Waddington, abiti che devono riflettere l’arco narrativo di Bella e del suo sviluppo, a partire dall’inizio del film. I suoi vestiti sono ancora più potenti e segnanti se messi a confronto con quelli dei maschi, fasciati in abiti quelli sì, tipicamente vittoriani, cupi, stretti in una rigidità prima di tutto psicologica, i colori sono scuri, grigio, nero, marrone, viola. I completi di Godwin ad esempio si ispirano ai look di Whinston Churchill, tutto ciò che indossa deve essere pratico, ogni cosa deve essere a portata di mano per il suo lavoro.

I volumi degli abiti, le spropositate maniche a sbuffo, emblema della protagonista, i colori, i tessuti servono a costruire i look della protagonista, alla ricerca dell’autorealizzazione. Waddington ha costruito il “Bella Style”, proprio con un lavoro combinato di abiti vittoriani con un tocco di contemporaneo e silhouette esagerate per dare senso al percorso interno ed esterno di Bella, viaggio nel corpo e nella psiche di una bambola, guidata da altri, gestita da altri, che poi ha imparato ad essere libera da condizionamenti e inibizioni. Crop top, biancheria intima, crinolina si mescolano a bustier e maniche a sbuffo, colori della carne con gialli accesi. Waddington aveva le idee chiare e compie poi un lavoro talmente profondo, certosino e meraviglioso da seguire alla perfezione le tappe di questa donna “creata da zero”.

Lanthimos ha dato a Waddington carta bianca, solo poche richieste, no a pizzi, piume e ricami, i riferimenti sono parecchi e provenienti da diverse epoche dagli anni ’30 agli anni ’60, dai bustini ai materiali più moderni. Un primo riferimento è quella foto di un paio di pantaloni gonfiabili in latex, creati da un giovane designer inglese per Saint Martin, poi ci sono le influenze di André Courrèges, di Elsa Schiapparelli di cui ama la sua anima giocosa, quello spirito d’avanguardia che ha caratterizzato il suo lavoro. La costumista lavora su forme, linee e capi che ricordano organi, creando pezzi che giocano con la sensualità e con il corpo femminile.

Bella, una bambina nel corpo di una donna. Tra mutandine, volant e babydoll

Non sa come è venuta al mondo, non capisce molto di ciò che lo ordina, Bella sta imparando proprio come i bambini che a fatica iniziano a formulare parole e frasi anche se senza preposizioni e connessioni, eppure lei avverte sin da subito un innato senso di sé che la porta a desiderare, quasi immediatamente, di uscire da quella casa-prigione londinese, dove vive insieme a Godwin, suo padre, il suo creatore, una silenziosa balia che la rimprovera, la veste e la controlla e le strane creature con cui passa il tempo.

Bella all’inizio è il cliché della Born Sexy Yesterday, è uno stereotipo di genere soprattutto di quello fantascientifico. Bella è come tutti quei personaggi femminili, alla stregua di quelle ragazze ingenue, di quelle creature aliene, di umanoidi che guardano il mondo con uno sguardo candido, e lei come tutte le altre è evoluta e abita il corpo di una donna matura e sessualizzata. Bella incarna tutto ciò perché non conosce altro, è stata costruita per essere così, per essere questa, ma poi proprio quel suo essere speciale, le fa mettere in dubbio ogni cosa e a quel punto ribalta lo schema, acquisisce gli strumenti utili per vivere autonomamente, smaschera la debolezza maschile. Conquista la piena consapevolezza del suo corpo e del suo cervello che si evolve un viaggio alla volta.

Abiti, un bianco e nero spaesante e spaventoso, lavorano a dare forma ad una Bella bambina, intrappolata in una infantilizzazione forzata, nelle mani di un Dio che l’ha messa al mondo e non la vuole lasciare andare. Parla abbozzando parole che lei inserisce nel suo vocabolario di giorno in giorno (una media di quindici nuovi vocaboli al giorno), vestita da una serie di babydoll, camicie piene di volant – indossa molti pezzi come se fossero vestiti ma in realtà sono biancheria intima –, con maniche a sbuffo, elemento centrale che torna nei suoi look. La manica a sbuffo serve proprio per indicare una donna che occupa spazio, che c’è e si vede, essa dà una sensazione di potere, sembra un polmone, pieno di respiro e di aria, come dice la stessa costumista. Le camicette hanno pieghe centrali con lembi, fessure, aperture, chiari riferimenti alla genitalità femminile, per questo viene chiamata sul set “la camicia vagina” o “la camicia clitoride”.

Cammina scalza, a gambe nude, indossa semplicemente calzoncini vittoriani, in modo rigido come è rigido il mondo che la ingloba, salta, volteggia caoticamente. Gli abiti che indossa sono imposti, ogni mattina viene vestita, alla guisa di una bambola – anche per questo viene paragonata a Barbie -, simbolo della coercizione in cui vive.

Waddington pensa per gli abiti di Bella a tessuti quilting, seersucker, materiali che possono sembrare quasi dei pannolini, poi smock e trapuntati, come non pensare alla coda a sirena, realizzata ispirandosi ad un piumino di Moncler, camicie da notte, abiti leggeri perché Bella è così, la sua fragilità e innocenza è così enfatizzata. Per lei Bella doveva sembrare sempre inadeguata, la sensazione è quella della mancanza di un qualcosa, i bambini tendono a spogliarsi mentre scoprono il mondo e se stessi, così ha una camicetta voluminosa ma poi sotto ha un paio di mutandine e a piedi nudi. Quando Bella scopre il sesso cambia tutto, si modifica lei, il mondo e il modo di guardare ciò che le sta intorno. 

Bella scopre il piacere, si veste da sola e scopre il mondo in Povere Creature!

La voglia di uscire, di varcare quella porta che la divide dal resto si fa sempre più pressante. Bella non ha mai visto il mondo, non sa nulla dell’esterno e come nelle favole, per bambini il desiderio di diventare cittadine di quel “fuori” la smuove, la fa diventare ribelle e il “mostruoso femminile” che abita ogni donna si risveglia in lei. Urla, scalcia, fa sentire la sua voce gridando in faccia a God e al suo assistente tutta la rabbia e il rancore per essere rinchiusa lì. Al desiderio di vedere il “resto”, ciò che gli altri conoscono e lei no, si aggiunge la scoperta del piacere sessuale. Quando Bella scopre che ciò che ha in mezzo alle gambe, di cui non sa il nome e di cui non conosce nulla, le procura piacere, vuole compiere un salto ulteriore, soprattutto perché capisce che le persone con cui vive temono quel gesto, anche in nome della società bigotta per cui esplorare la propria sessualità è un “reato”.

Sessualità ed emancipazione vanno di pari passo nella prima parte del suo viaggio. Deve andare via, lasciare la casa “paterna” – padre che, ovviamente, come è scritto nel gioco delle parti, in un primo momento non vuole assolutamente che se ne vada -, e metaforicamente abbatterla fin dalle fondamenta. Uscire da quella prigione vuole dire prima di tutto che il colore e quindi la pluralità di segni arricchiscono il punto di vista di Bella e in secondo luogo gli abiti. 

Bella scappa con l’avvocato Wedderburn (Mark Ruffalo) – che è per lei un aiutante, un liberatore ma in parte è anche un ulteriore maschio che la usa e fa di lei ciò che vuole – con cui scopre il proprio corpo, come reagisce al tocco e al piacere e così la bambina rinchiusa nella casa del padre inizia a sbocciare, impara prima di tutto a vestirsi da sola. Qualcosa si è liberato in lei e così Waddington modifica gli abiti che indossa perché devono seguire il viaggio della sua protagonista. Ogni luogo, prima Lisbona, poi Alessandria d’Egitto e infine Parigi, segna l’aumento del suo coraggio, della sua intraprendenza.

Elemento fondamentale è anche quello dei capelli, se in casa, seguendo le regole della società, Bella aveva i capelli intrecciati, quando fugge, li tiene sciolti e indomabili proprio come lei. Per i lunghissimi capelli corvini (extension che di percorso in percorso si allungano sempre di più, fino ad arrivare a 120 cm), segno distintivo, ci si ispira a Egon Schiele e alle sue donne diafane e bellissime, e le extension si allungano sempre di più.

Povere Creature e il viaggio di Emma Stone a Lisbona, qui Bella è coraggiosa, libera, distante da qualsiasi convenzione

A Lisbona, i colori esplodono, la gioia, l’allegria inondano ogni cosa e anche la trasgressione ha parte importante nel peregrinare di Bella. Indossa oro, giallo e azzurro, combinazione che si associa a molti personaggi delle fiabe. Tutto nella protagonista sembra essere cambiato, anche il camminare particolare di Bella, fatto di passi all’inizio impacciati e legnosi, a metà tra quelli del neonato che scopre la sua motricità e quelli dell’automa, si fa più flessuoso, sicuro, a poco a poco. A Lisbona il suo look è ancora più disordinato e Waddington combina la biancheria intima stile anni ’30 con gli stivali Courrèges, che le lasciano libere le dita dei piedi perché è semplicemente incontenibile – sta esponendo ogni aspetto di lei, compresi i suoi piedi, degli anni ’60. Rompe gli schemi, si mostra con tutte le sue stranezze, storture, le sue unicità, non ha paura di dimostrarsi perché non sa che esiste altro e, quando viene a contatto con tutto ciò, non fa passi indietro. Il suo vestire è un grido di ribellione contro convenzioni e regole vittoriane e sociali che vogliono le donne vestite in un certo modo, seguendo il buon gusto, il buon costume, è una chiara dichiarazione di emancipazione e di indipendenza

Il guardaroba è più selvaggio, colorato e unico, proprio come lei. Il viaggio alla scoperta della vita sceglie di esplorare una Lisbona, coloratissima e piena di vita, vede Bella addentrarsi da sola, nella città. La costumista ha un’idea precisa, ha in mente Jodie Foster in Taxi Driver e così Bella, dopo essere stata con Wedderburn, esce dalla camera d’albergo, senza gonna perché non c’è la sua bambinaia a dirglielo, e così abbina una giacca azzurra con maniche a palloncino e una camicia con ruches. Bella è coraggiosa, senza inibizioni, potentissima nella sua brama di sesso e di vita, utile a farle trovare la sua identità e la sua strada. Questa è stata l’idea di Waddington, non voleva un risultato classico e così questa fase è determinata da pantaloncini dai colori diafani, giacche di seta corte, impermeabili gialli vivaci a bluse color carne.

Il suo vestire si scontra con quello di Wedderburn. Per realizzare i suoi look, il riferimento sono state le caricature vittoriane, quelle degli uomini dell’alta società, pomposi e boriosi, che usano le donne, quelli impettiti, e per dare corpo a ciò, l’avvocato ha otticamente spalle minuscole e petto gonfio come i piccioni. Insomma Bella giganteggia per indole e per carisma, anche se i certi momenti le spalle così esasperate da maniche enormi, sembrano sopraffarla, rispetto a lui, così banale e convenzionale, nonostante tutto.

La nuova prigionia per mano di un uomo, ma Bella non ci sta. Ad Alessandria il mal di vivere Bella ha incontrato

Wedderburn, l’uomo libero per antonomasia, colui che per tutta la vita ha rifuggito vincoli e catene si dimostra maschio opprimente – ma non può nulla contro Bella e la sua vivacità -, non sopporta la libertà che ricerca Bella, è geloso di quel desiderio di scoprire. Lui è stato l’uomo che l’ha liberata ma poi è rimasto invischiato dalle spire di questa donna meravigliosamente unica e mal sopporta quel modo di vivere così autonomo nel corpo e nella mente. Si fa sfiorare e amare da altri, vive le strade di Lisbona da sola mentre lui dorme, chi era plasmabile, domabile, imprigionata ora è ingestibile e emancipata. Così l’uomo la rapisce e la porta su una nave. Emma a questo punto cambia mood, i colori si fanno più scuri, più fangosi, simili a lividi.

Stringe nuove amicizie, impara a leggere, e quell’uomo, l’ennesimo, che ha dato forma al suo mondo, che le ha dato le chiavi per aprire la porta del mondo, diventa qualcuno da mettere tra parentesi. Uno fra tanti. Lei è al centro, il suo bisogno di sapere. Si avvicina alla filosofia e proprio a questo punto incontra il dolore, la tristezza e il male. Sbarca ad Alessandria e incontra la sofferenza, l’infanzia è finita. Vestita di bianco, scende negli inferi e quel suo candore e quella sua ingenuità si scontrano con tutto il resto e si sporca.

Bianca, sudata e, sporca di sangue sul volto perché per guardare quel crudele spettacolo Bella ha morso il suo accompagnatore. Un’altra testimonianza del mostruoso femminile. Dopo aver imparato a camminare, parlare, leggere, provare piacere, Bella scopre cosa voglia dire provare dolore, addirittura piangere.

Bella a Parigi. La libertà sessuale, motore della storia, si manifesta nel vestire. Una donna che non segue le regole ma le crea.

Bella arriva a Parigi, l’ultima tappa del suo grand tour. Senza soldi, desiderosa di rompere definitivamente con Wedderburn, cerca lavoro in un bordello, abbandona gli abiti bianchi e volant, i vestiti pastello rappresentazione di un’esistenza fiabesca, per indossare abiti più rigidi e strutturati e dai toni neutri. Si aggiunge a tutto ciò una serie di lingerie sensuali per simboleggiare la rivendicazione del suo nuovo ruolo di sex worker. Passa il tempo e Bella ha lasciato completamente indietro quella ragazza tutta lembi e fronzoli, ora il suo corpo è stretto da abiti più aderenti, come un costume da grande dama di società per un grand tour e quelli usati mentre fa la prostituta a Parigi in una casa chiusa. I colori si adattano alle sfumature sessuali del film.

Costume fondamentale in questo viaggio è il cappotto condom, così chiamato da Waddington, simbolo di protezione e liberazione, proprio mentre Bella inizia a svolgere il suo lavoro di prostituta e si avvicina all’ideologia socialista.

La libertà sessuale di Bella viene tradotta da Waddington con abiti sempre più sinuosi, corporei, sensuali, e inevitabilmente i toni sono quelli nude. Il suo guardaroba diventa celebrazione del corpo e per orchestrare tutto ciò pensa alle pieghe della pelle e alla sua consistenza.

Fuori dal bordello, indossa una giacca scura – così si veste per entrare nei circoli socialisti e poi per studiare medicina, luoghi e ambienti tipicamente maschili -, con spalle anni ’80, le parigine e stivali alti. Anche in questo caso il look è stato discusso con Emma Stone. Mentre provavano per la prima volta, abbinamenti e costumi, dopo aver indossato la giacca e averla chiusa, Stone dà un’idea, indossarla senza nulla sotto, questo avrebbe fatto Bella. Questa scelta arricchisce un album di pensieri, gesti, abiti, letture, ideologie che mirano a dipingerla come una donna fuori dagli schemi, non segue le regole mai, ne inventa di sue.

L’abito da sposa. Una gabbia bianca da cui si evince il suo essere fuori posto

Quando il viaggio è finito, nel momento in cui il padre che l’ha creata, sta per morire, torna a casa ma completamente diversa. Ha compreso tante cose partendo dal suo corpo, dalla sessualità per arrivare a capire molto anche di sé, di ciò che vuole fare e diventare. Uno degli abiti fondamentali dell’età adulta è l’abito da sposa, una vera e propria gabbia per tessuto e costruzione del modello. Anche in questo caso Bella ha un elemento fuori posto, qualcosa che rappresenta la sua audacia, il velo, indossato sul viso, chiaramente è l’emblema di ciò che lei pensa del matrimonio, un vincolo, una trappola. L’ispirazione per Waddington è un libro di bozzetti del 1890 trovato a Portobello Market, a Londra. 

Quelle maniche sembrano ancora più ampie del solito, grandi, ingombranti che dimostrano quanto sia cresciuta, quanto sia potente Bella.

Da infante in gabbia a donna libera, emancipata e coraggiosa

Alla fine Bella indossa abiti meno caratterizzanti, emblema di un percorso compiuto ma, come accade nei viaggi femminili, non concluso. Non c’è più bisogno di stravaganza, neppure di enormi maniche perché lei ormai è conscia di sé. Gonna lunga, maglione bianco, stivali, divisa che avevano addosso le donne che andavano in bicicletta, insomma sempre di donne “mostruose” che ribaltano schemi, cercano piccole o grandi rivoluzioni, si sta parlando. Gli abiti di Bella tra volumetrie al limite dell’assurdo, gambe nude, tessuti prima leggeri e impalpabili per non limitare i movimenti poi più pesanti per dare dignità ad abiti maschili (la giacca nera che lei userà per studiare medicina) seguono e inseguono i suoi spostamenti nel mondo. Quei 40 vestiti cambiano mentre lei sperimenta nella vita e nella moda, per ogni fase ci sono codici e colori diversi, rappresentano le sue evoluzioni linguistiche e deambulatorie, le prese di coscienza, i bisogni e le aspirazioni, le scoperte e i desideri. La “camicia vagina”, il “cappotto preservativo”, la biancheria intima usata come abito, la coda a sirena che fa venire in mente la protagonista della fiaba, Ariel, senza gambe, impossibilitata a camminare, l’abito da sposa-gabbia sono tutti piccoli segni di autodeterminazione che fanno parte del viaggio di Bella Baxter che da ingenua, infantile bambina con il corpo da donna arriva ad essere donna sessualmente e politicamente liberata che sa perfettamente chi è e cosa vuole diventare.

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