Il Pianeta delle Scimmie compie 50 anni: 10 curiosità da non perdere

Con Il Pianeta delle Scimmie, nel 1968, Franklin Schaffner ha dato il via a quella che poi è diventata una vera e propria saga cinematografica. A 50 anni dall'uscita del film, vediamo insieme alcune imperdibili curiosità!

Esattamente 50 anni fa usciva nelle sale di tutto il mondo Il Pianeta delle Scimmie, tratto dall’omonimo romanzo di Pierre Boulle e destinato a diventare uno dei film di fantascienza più importanti di sempre, tanto da essere scelto nel 2001 dalla Biblioteca Nazionale del Congresso degli Stati Uniti per la conservazione.

Diretto da Franklin J. Schaffner e con protagonista un divo assoluto come Charlton Heston, Il Pianeta delle Scimmie si rivelò un grandissimo successo al botteghino e anche la critica ne lodò fantasia, profondità e l’aver posto interrogativi non da poco sull’effettiva capacità dell’uomo di controllare la tecnologia. Il film fu la base per lo sviluppo di un intero universo narrativo che di lì a poco avrebbe prodotto fumetti, serie animate, ben tre seguiti, una serie televisiva, e poi nel 2001 un remake, per arrivare ai giorni nostri, con la nuova serie reboot che quest’anno ha visto la nascita di The War – Il Pianeta delle Scimmie, accolto entusiasticamente da pubblico e critica.

Tuttavia il film rimane centrale nella storia del cinema anche per aver rivoluzionato l’intero concetto di film d’intrattenimento, in special modo per ciò che riguarda make up, effetti speciali e la capacità di realizzare qualcosa di mai visto prima. Ecco perché noi di Cinematographe.it abbiamo pensato, in occasione dell’anniversario dell’uscita, di proporvi una lista delle 10 curiosità inerenti il film.

Il Pianeta delle Scimmie (1968): a volte sbagliando ci si azzecca!

Il Pianeta delle Scimmie (1968) cinematographe

Né l’autore del romanzo Pierre Boulle, né il mondo di Hollywood si aspettava che Il Pianeta delle Scimmie avesse successo, dal momento che negli anni ’60 i film con protagonisti dei primati erano solo dei b-movies di scarso rilievo. Il produttore Arthur Jacobs comprò i diritti nel 1963, ma in seguito confessò di aver girato per tutta Hollywood senza trovare nessuno che credesse nel progetto, tanto che persino Boulle dichiarò più volte di aver a lungo considerato questo libro uno dei peggiori lavori. Ennesima prova di quanto il successo spesso segua delle strade contorte e misteriose…

Il Pianeta delle Scimmie (1968): un corto per 5 milioni

Per convincere i vertici della FOX, ed in particolare lo scettico Vice-Presidente dell’epoca  Richard D. Zanuck, Jacobs decise di realizzare una sorta di anteprima dove Charlton Heston e Edward G. Robinson, assieme ad altri due personaggi interpretati da James Brolin e Linda Harrison, mettevano in scena un dialogo che mostrasse il concept di base del film. Zanuck fu impressionato dall’esito, in particolare lodò il Make-up che rendeva tutto incredibilmente credibile ed espressivo.

La scena era costata ben 5000 dollari, ma fugò la sua paura più grande: il fatto che il pubblico potesse trovare comico o ridicolo vedere delle scimmie-parlanti sullo schermo. Fu in quel momento che il Vice-Presidente del colosso cinematografico decise di investire 5 milioni di dollari dell’epoca nel progetto, che si rivelò un grandissimo successo, con 34 milioni di incasso.

Il Pianeta delle Scimmie (1968): una questione di… orecchio

Il Pianeta delle Scimmie (1968) cinematographe

Il nome John Chambers a molti di noi dice poco, eppure questo corpulento artista è stato uno dei migliori e più innovativi make up artist di ogni tempo, e già all’epoca era considerato un genio ed un visionario. Chambers si era fatto un nome lavorando sul set di serie televisive horror o sci-fi di grande successo come The Munsters, The Outer Limits e Lost in Space. Se amate il Dottor Spock di Star Trek allora è lui che dovete ringraziare per il design delle orecchie, che ideò per creare un’aria più oscura e bizzarra al personaggio nella prima serie ufficiale. Chambers aveva costruito la sua incredibile abilità negli anni subito dopo la Seconda Guerra Mondiale, quando negli ospedali lavorava per realizzare protesi facciali per i veterani feriti. Le sue orecchie, così come le sue maschere, furono sicuramente una delle chiavi del successo del film di Schaffner.

Il Pianeta delle Scimmie (1968): sei mani per una sceneggiatura

Il primo a metter mano al libro originale fu Rod Serling (in alto a dx) che ideò uno script originale, cupo e dove il mondo delle scimmie era identico al nostro, con auto, aeroplani, strade e vestiti che rispecchiavano appieno la cultura delle scimmie, staccandosi in toto da quella umana. Tutto perfettamente in linea con il romanzo, ma il problema che vanificò la sua idea fu molto semplice: i soldi. 5 milioni di dollari erano una bella somma, ma non bastavano per creare ciò che Serling aveva in mente. Più tardi la produzione decise per una soluzione tanto semplice quanto geniale: il mondo delle scimmie sarebbe stato simile al nostro medioevo, con cavalli, armature e città per la costruzione delle quali si sarebbero potuti riciclare elementi di altri set o comunque costruire il tutto con budget più ristretti.

Tuttavia a molti il lavoro di Serling non piacque, e la FOX decise di reclutare il brillante sceneggiatore Michael Wilson (in alto a sx), che mise mano a ciò che aveva fatto Serling e creò dialoghi e momenti che dovevano avere molto più humor e la visione di un protagonista costretto a fuggire e nascondersi come un appestato. A molti quest’idea sembrò una sorta di lascito personale di Wilson, che in quegli anni era finito nella lista nera della persecuzione maccartista, tacciato come comunista e costretto a restare non accreditato per alcuni suoi scritp, compreso quello del bellissimo Un Ponte sul Fiume Kwai.

Ma stando a quanto disse il Produttore Associato Mort Abrahams, a rifinire e rendere più efficaci gran parte dei dialoghi de Il Pianeta delle Scimmie fu un misterioso co-sceneggiatore, di cui ancora oggi si ignora il nome, ma al quale dobbiamo la famosa frase umoristica pronunciata dal protagonista: “non ho mai conosciuto una scimmia che non mi sia piaciuta”.

Il Pianeta delle Scimmie (1968): il pianeta dei truccatori

Il Pianeta delle Scimmie (1968) cinematographe

La realizzazione de Il Pianeta delle Scimmie fu molto più complicata di quanto la produzione si aspettasse, sopratutto di quanto Chambers stesso avesse immaginato, e nel momento clou delle riprese sul set erano presenti qualcosa come 100 tra truccatori, costumisti, parrucchieri per preparare le varie “scimmie” per le riprese, seguendo un iter lungo, complesso ma che andava curato nei minimi dettagli. La mole di lavoro era enorme, basti pensare che in alcune scene erano necessari 200 attori ed attrici truccati e vestiti in modo perfetto, e nulla poteva essere lasciato al caso. Se tutto andò per il meglio il merito fu senz’altro di Chambers, che si dimostrò anche un abilissimo organizzatore oltre che make up artist.

Non tutti però gradirono la cosa, in particolare le altri produzioni hollywoodiane, che sovente si ritrovarono senza maestranze, dal momento che tutte erano occupate giorno e notte sul set del film sulle scimmie venute dal futuro. Del resto ci volevano 6 ore per preparare un singolo attore alle scene, che poi divennero 3 nel momento in cui Chambers riuscì a rendere più semplice la ripartizione.

Il Pianeta delle Scimmie (1968): divisi in tribù

Il Pianeta delle Scimmie (1968) cinematographe

Impossibilitati a riconoscersi sul set a causa del pesante make up e dei costumi, gli attori arrivarono a dividersi spontaneamente in tribù, a seconda della “maschera” che indossavano o che non indossavano. Nel giro di poco tempo, al momento della pausa pranzo, si notò un fatto singolare: coloro i quali erano truccati da “gorilla” formavano un gruppo a sé stante, idem gli “scimpanzé” e gli “orangotanghi”, e lo stesso gli umani. Lo stesso Charlton Heston non trovò mai una spiegazione logica da offrire ai produttori che ogni tanto visitavano il set, e la stessa Kim Hunter (che nel film interpretava Zira) ricordò che a malapena parlava con i suoi colleghi, nonostante per esempio fosse molto amica di Maurice Evans, che interpretava il Dottor Zaius. Quando si suol dire “immedesimarsi nella parte!”.

Il Pianeta delle Scimmie (1968): una scimmia da Oscar

Pochi lo sanno, ma nel 1969 non era previsto nessun tipo di riconoscimento per i make-up artists. Tuttavia il lavoro di Chambers ne Il Pianeta delle Scimmie era stato così impressionante agli occhi della critica e del pubblico, che si decise di dargli un Premio Oscar Onorario che fu anche il momento più ironico della cerimonia dei 41esimi Academy Awards. Innanzitutto a presentare Chambers c’era un istrionico e simpaticissimo Walter Matthau, ma come se non bastasse a consegnare l’Oscar nelle mani di Chambers ci pensò uno scimpanzé ammaestrato e vestito con un elegante smoking, che pensò bene poi di saltare in braccio a Matthau. Una scimmia per un film di scimmie, con un Oscar per l’uomo che aveva trasformato gli uomini in scimmie.

Il Pianeta delle Scimmie (1968): l’ispirazione vien mangiando

Il Pianeta delle Scimmie possiede uno dei finali più famosi e inquietanti di sempre, con il protagonista che, dopo aver tanto peregrinato e cercato una spiegazione sul dove si trova, scopre l’amara verità: quello strano pianeta popolato da scimmie, in realtà è la terra, quasi distrutta dall’uomo millenni prima e dove tutto ciò che rimane del loro passaggio sono i miseri resti di quella che una volta era la Statua della Libertà. Affranto e sconvolto, il protagonista maledice la sua razza per aver distrutto tutto ciò che aveva costruito in tanti secoli.

Ma come si arrivò a questo finale? Beh nel romanzo tutto era ambientato in un mondo diverso, ma per il film gli sceneggiatori ed il regista originale Blake Edwards (poi sostituito con Franklin J. Schaffner) volevano qualcosa di meno prevedibile, di spiazzante. Mentre mangiavano in un bar vicino agli studi della Warner, a Jacobs venne l’illuminazione di far in modo che in realtà tutto si fosse sempre svolto sulla terra, e quando videro  vicino alla cassa del negozio un’immagine della Statua della Libertà, capirono cosa dovevano fare. Lo sceneggiatore Serling si mise subito a lavoro e confezionò lo script di una tra le scene più famose, inquietanti e potenti del cinema fantascientifico.

Il Pianeta delle Scimmie (1968): come ti costruisco una statua

Il Pianeta delle Scimmie (1968) cinematographe

Ma come fu costruita una riproduzione così fedele della Signora di New York con un budget così contato? Il segreto sta in una parola molto semplice: improvvisazione. Non abbiamo i soldi per fare tutta la statua? Non importa. Ne faremo solo una parte, creando un’atmosfera ancor più cupa e disastrata, risparmiando contemporaneamente molti soldi. Il risultato fu una costruzione che era grosso modo della metà delle dimensioni effettive, ma che fu utile per alcune inquadrature. Restava però il problema del campo totale, dove sicuramente si sarebbe notata la discrepanza con le dimensioni originali. A risolvere il problema fu chiamato Emil Kosa Jr., esperto di Matte Painting, cioè nel dipingere su lastre di vetro la statua nelle dimensioni richieste, per poi porle al di sopra della pellicola. Si tratta di una tecnica usata anche per numerose scene viste in Quarto Potere, I Dieci Comandamenti e anche nel primo episodio di Guerre Stellari: Una Nuova Speranza.

Il Pianeta delle Scimmie (1968): l’ottimismo è il profumo della vita?

Il Pianeta delle Scimmie (1968) cinematographe

Per quegli anni un finale del genere non era proprio usuale, anzi. Con la Guerra in Vietnam, il clima da scontro tra blocchi contrapposti e la minaccia nucleare, Wilson aveva pensato inizialmente ad un finale un po’ più speranzoso per Il Pianeta delle Scimmie. O almeno così credeva. Al momento della scoperta della statua infatti, una scimmia avrebbe ucciso il protagonista, ma Nova (interpretata da Lisa Harrison) si sarebbe salvata, portando con sé nel grembo un figlio, cioè la speranza di sopravvivenza per un’umanità ferita ma ancora con un futuro.

Wilson si vide scartare l’idea dai produttori, che la considerarono troppo estrema e sopratutto perché non apprezzavano l’idea di vedere morire il protagonista. Il futuro avrebbe mostrato quanto il seguito, denominato L’altra Faccia del Pianeta delle Scimmie, avrebbe in realtà aumentato notevolmente la dose di pessimismo e di oscurità.