Nunzia Schiano in 7 film. Tutti i volti di un’attrice “invisibile”
7 film per ricordare un'attrice spesso data per scontata.
Nunzia Schiano è una di quelle attrici che arrivano al cinema dopo aver vissuto già molte vite, e forse è questo a renderla così credibile, così radicata dentro ogni ruolo. Nata a Portici nel 1959, inizia tardi rispetto ai percorsi consueti, passando dal teatro popolare al piccolo schermo, fino a imporsi come volto familiare e riconoscibile, soprattutto quando il cinema italiano comincia a raccontare Napoli non più solo come sfondo folkloristico ma come spazio di contraddizioni. Schiano ha costruito personaggi che vivono tra la commedia e il dramma, spesso dentro il nucleo familiare. Non è mai un volto che occupa il centro della scena, ma la sua presenza riesce a spostare gli equilibri.

La vediamo come madre, sorella, zia, vicina: figure che apparentemente sono di contorno, ma che diventano indispensabili per dare radici al racconto. È anche l’incarnazione di un certo modo di intendere la recitazione femminile in Italia: poco incline alla patina, molto legata al corpo e alla voce, alle inflessioni di una lingua che resta parte del suo modo di stare davanti alla macchina da presa. Schiano attraversa generi diversi, dai cinepanettoni ai film d’autore, con la stessa naturalezza. Forte è il desiderio di restituire un pezzo di realtà. In questo senso, la sua filmografia diventa un viaggio nel cinema italiano degli ultimi venticinque anni: tra la commedia di consumo e i tentativi di racconto più realistico, tra esperimenti e successi popolari. È un percorso che merita di essere ripercorso, perché ogni titolo in cui appare ci restituisce qualcosa di lei e della città da cui proviene.
1. Vacanze di Natale 2000 (1999), di Carlo Vanzina

Il cinema, spesso, si apre da porte impreviste. Nel caso di Schiano, la porta è quella di un cinepanettone, macchina comica dei Vanzina, che negli anni Novanta continuava a generare rituali natalizi di massa. Qui il suo ruolo è secondario, ma è curioso rivederla con il senno di poi: dentro una cornice così leggera e standardizzata, lei riesce comunque a portare naturalezza. Non strizza l’occhio allo spettatore, non forza mai il registro farsesco, e proprio per questo si distingue. È quasi un’apparizione discreta, un segnale che indica un talento pronto a muoversi altrove. Un inizio che non le toglie nulla, anzi: dimostra da subito che non esistono contesti troppo piccoli per un’attrice capace di restare autentica.
2. Reality (2012), di Matteo Garrone
Si potrebbe dire che Nunzia Schiano in Reality non fa nulla di clamoroso: non urla, non invade lo schermo, non ha scene madri. Eppure la sua presenza resta addosso, perché rappresenta la normalità che regge il mondo attorno al protagonista, mentre lui sprofonda nel delirio televisivo. È come se Garrone le affidasse il ruolo di bussola silenziosa, un contrappeso all’eccesso. Garrone lavora sulle distorsioni, e lei resta invece lì, solida, radicata, quasi a dire che la realtà vera non è mai spettacolare. La sua capacità di costruire tensione senza apparire protagonista è segno di una certa maturità recitativa. La scena in cui osserva da lontano il figlio, senza pronunciarsi, resta impressa per la delicatezza con cui trasmette ansia, affetto e protezione: un equilibrio raro.
3. Benvenuti in casa Esposito (2021), di Gianluca Ansanelli

Qui, invece, la Schiano gioca con il registro comico fino in fondo, dentro una commedia che racconta una famiglia legata alla camorra con toni leggeri, quasi farseschi. La sua interpretazione non è mai caricatura, ed è questo il punto: in un film che poteva facilmente scivolare nello sketch, lei riesce a dare un’ossatura reale alla madre che tiene insieme gli Esposito. Si muove con naturalezza tra rimproveri, battute secche, momenti di complicità, e restituisce quella dimensione domestica che rende il racconto meno astratto. Le scene più intime, nei corridoi di casa, sembrano rubate alla vita reale, e la regia sembra lasciare spazio ai piccoli dettagli quotidiani.
4. La kryptonite nella borsa (2011), di Ivan Cotroneo
Il cinema di Cotroneo vive di malinconia, di ricordi, di infanzia. Qui Nunzia Schiano appare in una parte minore, ma perfettamente calibrata, come pezzo di un mosaico nostalgico. Non alza mai i toni, non cerca spazio oltre quello che le è concesso. Eppure resta impressa, perché la sua è una presenza che porta con sé una memoria collettiva: sembra quasi incarnare l’eco di un tempo che non c’è più. Nel racconto di un bambino che scopre il mondo adulto attraverso figure eccentriche, lei è la nota bassa, il controcanto realistico. Cotroneo sembra affidarle un compito quasi simbolico: essere memoria vivente di una Napoli che osserva e accompagna. Ogni gesto semplice, un sorriso trattenuto o un cenno della mano, contribuisce a un quadro emotivo che sostiene la narrazione senza mai farsi invadente.
5. Benvenuti al Sud (2010), di Luca Miniero

Forse il momento in cui diventa davvero familiare al pubblico italiano. Accanto a Bisio e Siani, interpreta la madre di quest’ultimo: e qui il rischio dello stereotipo era altissimo. La madre napoletana, chiassosa, tutta gesti e frasi fatte: bastava poco per cadere nel cliché. Schiano invece restituisce una figura più concreta, più stratificata. Certo, il film è commedia di intrattenimento, ma nelle sue scene domestiche si respira sempre un fondo di verità. È un personaggio che sembra preso dalla strada, non scritto in sceneggiatura. Ed è proprio questo che la rende memorabile: lo spettatore ride, ma al tempo stesso riconosce un pezzo di realtà. La madre di Schiano funziona come elemento equilibratore in un film altrimenti dominato da gag e situazioni esagerate. Le scene in cucina e a tavola mostrano la sua gestualità misurata, con pause e respiri che rendono il personaggio vivo.
6. Benvenuti al Nord (2012), di Luca Miniero
Tornare a un personaggio già interpretato non è mai facile. Nel sequel di Miniero, Schiano riprende il ruolo materno, ma lo fa senza limitarsi a replicare: trova sfumature nuove, più legate al gioco degli opposti tra Nord e Sud. Non si tratta di un film sorprendente, eppure dentro una meccanica prevedibile lei riesce a ritagliarsi un margine di verità. In particolare, nelle scene casalinghe, dove basta il tono di voce a cambiare atmosfera. È la prova che un’attrice può lavorare anche nei territori più codificati senza mai diventare automatismo. Miniero le lascia ampi spazi anche nei silenzi, dove il personaggio acquista più vita di quanto il testo preveda. L’interazione con gli altri membri della famiglia aggiunge ulteriori sfumature e rende le dinamiche più credibili e tridimensionali.
7. Dogman (2018), di Matteo Garrone

Un salto radicale. Dal successo popolare di Benvenuti al Sud al cupo universo di Dogman. Qui Schiano è quasi invisibile: madre silenziosa di Marcello, figura che sembra uscita da un’altra epoca. Non dice molto, e quando lo fa non cerca mai l’enfasi. In un film dominato da violenza e degrado, la sua interpretazione funziona come piccolo varco di umanità, come ricordo di una normalità che resiste a fatica. A colpire è la sua capacità di non dover “fare” nulla per risultare incisiva. Ogni scena in cui compare sembra studiata per dare respiro emotivo, senza mai forzare la mano.
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