Manifesti d’artista al Museo del Cinema di Torino: recensione della mostra

Per la mostra Manifesti d’artista il Museo del Cinema offre l’opportunità di acquistare il biglietto dedicato a quest’esposizione per quattro euro. 

Il Museo Nazionale del Cinema di Torino presenta, dal 20 ottobre 2025 al 22 febbraio 2026, la mostra Manifesti d’artista, a cura di Nicoletta Pacini e Tamara Sillo. Dieci manifesti di grandi dimensioni che vanno dall’epoca del cinema muto a quella del sonoro, ai quali si aggiunge la brochure realizzata da Renato Guttuso per il lancio del film Riso Amaro di Giuseppe De Santis.

Allestita al piano di accoglienza della Mole Antonelliana, le opere in mostra provengono dalle Collezioni del museo, veri e propri gioielli nascosti, nella maggior parte dei casi esposti per la prima volta. La loro particolarità è quella di essere incursioni nella cartellonistica cinematografica ad opera di artisti capaci di trasformare l’affisso pubblicitario in opera d’arte a sé stante. Grazie a questi autori, i manifesti assumono un’autonomia artistica che prescinde dai film per cui sono stati realizzati e per diversi decenni l’unico modo per attrarre il pubblico al cinema. Il rivoluzionario fermento culturale dei primi anni del Novecento ha favorito questa commistione tra le arti: un nuovo modo di raccontare e raccontarsi, di entrare in contatto e di comunicare, di trovare nella trasversalità dell’esperienza artistica una nuova voce.

Con quest’esposizione si intende dare risalto alla ricchezza delle collezioni e all’unicità dei materiali: il piano zero della Mole Antonelliana si trasforma in una piccola, sorprendente, galleria d’arte. Da un’intuizione delle conservatrici Nicoletta Pacini e Tamara Sillo nasce l’idea di esplorare le contaminazioni tra la cartellonista e l’arte pura. Se il manifesto nasce per promuovere la visione del film, in questi dieci gioielli, grazie alla visionarietà e creatività degli artisti, esso si libera da quel legame e chiede di essere ammirato come opera a sè. La bellezza e la delicatezza del tratto uniti alla potenza della composizione, evidenziano il lavoro esemplare di questi autori.

Manifesti d’artista: l’esposizione

In mostra ci sono opere di pittori celebri come Rodčenko, Prampolini, Guttuso e Baj. A loro si uniscono personaggi eclettici come il disegnatore satirico e scrittore Scarpelli o come Toddi, che nella sua stravagante vita ha fatto anche il regista e produttore per un paio di anni, disegnandosi bellissimi manifesti. E ancora Vera D’Angara, attrice-illustratrice russa che in Italia trova amore e spazio per la sua creatività.

Il Futurismo degli anni Dieci del Novecento si manifesta nelle esplosive e colorate creazioni di Scarpelli per il film Il sogno di Don Chisciotte così come nell’elegante esecuzione di Prampolini per Thaïs, considerato l’unico film italiano futurista sopravvissuto. 

Con Toddi e Vera D’Angara, coppia di artisti fra le più originali della storia del cinema e dell’illustrazione, si gode della raffinatezza grafica degli anni Venti votata alla piacevolezza estetica.

Lontano da ogni cedimento estetico ma, al contrario, manifestazione di un chiaro messaggio politico è il celebre manifesto de La corazzata Potëmkin ideato dal russo Rodčenko, fondatore del Costruttivismo. Un affisso di grande potenza visiva, rarissimo, considerato fra i più emblematici della fusione fra cinema e arte. Se la stagione del cinema muto è testimoniata da opere così rappresentative, anche l’epoca del sonoro ha avuto i suoi manifesti d’artista. I registi Giuseppe De Santis, Francesco Rosi, i fratelli Taviani hanno scelto di affidare ai pittori Guttuso e Baj la realizzazione di materiali pubblicitari che, uscendo dai canoni tradizionali della promozione cinematografica, divengono interpretazioni personali e autoriali. Arte e cinema camminano parallelamente, a volte si incontrano, si scambiano i ruoli, raccontando quella ricerca di sperimentazione che in realtà è una potente affermazione artistica.

La corazzata Potëmkin

Una menzione particolare per il manifesto del film de La corazzata Potëmkin, il film più omaggiato della storia del cinema, di cui nel 2025 cade il centenario. Alfred Hitchcock (Il prigioniero di Amsterdam), Francis Ford Coppola (Il padrino), Woody Allen (Il dittatore dello stato libero di Bananas e Amore e guerra), Terry Gilliam (Brazil) e soprattutto Brian De Palma (The Untouchables – Gli intoccabili) sono tra i registi che nei loro film hanno scelto di citarne scene epiche (in primis quella del massacro sulla scalinata di Odessa che si chiude con la carrozzina che precipita tragicamente lungo le scale). A distanza di cent’anni il film rimane una pietra miliare del cinema perché esemplifica l’innovazione del linguaggio cinematografico di Ėjzenštejn, in particolare il suo uso potente del montaggio come arma di coinvolgimento del pubblico. Il regista, per esempio, non mostra con chiarezza che cosa sta avvenendo ma accosta inquadrature incalzanti e parziali che creano smarrimento e inducono nello spettatore un’associazione di idee per capire il senso di quanto mostrato; oppure utilizza il “cine-pugno” ovvero inquadrature impressionanti che colpiscono come un pugno o ancora immagini che montate sequenzialmente assumono significati metaforici e simbolici. E la capacità di coinvolgimento del pubblico può considerarsi riuscita se un regista agli antipodi di Ėjzenštejn come l’americano Billy Wilder confessò che, dopo aver visto il film, uscì dalla sala sentendosi anche lui un rivoluzionario.

Manifesti D’artista: Vera D’angara

Attrice, pittrice, illustratrice, Vera D’Angara (Elizavetgrad, 7 settembre 1886 – Roma, 14 settembre 1971) rappresenta un caso davvero unico: quello di un’attrice che ha realizzato il manifesto di un film da lei interpretato, scelto come immagine della mostra. 
Per il film Al confine della morte, da lei interpretato, si trasforma in cartellonista rivelando un innato talento: si ritrae aggraziata ed eterea, accarezzata da una pioggia di fiori, immersa in un paesaggio mosso dal vento, riuscita interpretazione Liberty che volge già all’Art Déco. Il bordo superiore arrotondato dell’immagine ne esalta l’armonia e l’assenza del titolo del film (usuale ai tempi del cinema muto) conferisce al manifesto un’ulteriore autonomia artistica.

Cresciuta in Siberia, a Irkutsk, dove scorre il fiume Angara (a cui si ispira per il nome d’arte), va a Parigi a studiare pittura all’Académie des Beaux-Arts. Frequenta i circoli artistici russi, si sposa due volte, vive il fermento culturale parigino e si unisce alla compagnia teatrale di Georges e Ludmilla Pitoëff.

Allo scoppio della guerra va in Svizzera dove continua a fare l’attrice e la pittrice. Rimasta vedova, si trasferisce in Italia ed è qui che nel 1919 incontra il conte Pietro Silvio Rivetta di Solonghello (in arte Toddi), diplomatico e intellettuale dai mille interessi. Alla ricerca di un’attrice per la sua nuova passione – il cinema – Toddi vede in Vera la donna ideale. Tra i due nasce un sodalizio d’arte e d’amore indissolubile e la introduce nel mondo della grafica dove diventa illustratrice per periodici (“Noi e il Mondo”, “Il Travaso delle idee”, “Yamato”) fino alle grandi tavole di “Momotarō. Fiabe giapponesi come sono narrate ai bimbi del Giappone” tradotte da Toddi stesso. Tornando all’avventura nel cinema, diventa attrice, e talvolta soggettista, in una decina di film, quasi tutti della Selecta-Toddi, casa di produzione fondata dalla coppia.

Per la mostra Manifesti d’artista il Museo del Cinema offre l’opportunità di acquistare il biglietto dedicato a quest’esposizione per quattro euro.