Lea (2015): la storia vera del film di Marco Tullio Giordana

Lea Garofalo è stata una testimone di giustizia assassinata nel 2009 dalla 'Ndrangheta.

È la donna che ha sfidato la ‘Ndrangheta, l’organizzazione criminale più potete e pericolosa al mondo. Lea Garofalo è stata una delle tante vittime della mafia, ma la sua storia riecheggia nelle nostre menti perché è stata una donna e una madre che avuto la forza di ribellarsi alla cultura della mafia, di non piegarsi alla rassegnazione e all’indifferenza. Il suo coraggio ha ispirato il film tv per la Rai Lea, diretto da Marco Tullio Giordana e con protagonista Vanessa Scalera e andato in onda per la prima volta 18 novembre 2015 in occasione della giornata internazionale per l’eliminazione della violenza contro le donne.

La storia vera di Lea

Nata a Petilia Policastro, in provincia di Crotone, il 24 aprile 1974, Lea Garofalo è stata una testimone di giustizia. La sua vicenda inizia il 7 maggio 1996, quando Floriano Garofalo, boss di Petilia Policastro e fratello di Lea, viene arrestato in un blitz condotto dai carabinieri di Milano. Dopo aver ottenuto l’assoluzione al processo, lo stesso Floriano viene assassinato in un agguato nella frazione Pagliarelle di Petilia Policastro il 7 giugno 2005. Durante l’interrogatorio condotto dal Pubblico ministero Antimafia Salvatore Dolce, Lea Garofalo rivelò l’attività di spaccio di stupefacenti condotta dai fratelli Cosco grazie al benestare del boss Tommaso Ceraudo, ma soprattutto gli assassini di suo fratello, ovvero Giuseppe Cosco, detto “Totonno U lupu“, e l’ex convivente Carlo Cosco.

Lea; cinematographe.it

Lea Garofalo

Messa sotto protezione nel 2002 insieme alla figlia Denise e trasferita a Campobasso, nel 2006 Lea Garofalo viene estromessa dal programma perché ritenuta collaboratrice non attendibile. La donna si rivolge prima al TAR, che le dà torto, e poi al Consiglio di Stato, che invece le dà ragione. Nel dicembre del 2007 viene riammessa al programma, ma nell’aprile del 2009 decide di rinunciare volontariamente alla protezione e di riallacciare i rapporti con Petilia Policastro rimanendo però a vivere nel capoluogo molisano per permettere alla figlia di terminare l’anno scolastico.

Il 5 maggio 2009, Massimo Sabatino, sotto mentite spoglie, si presenta alla porta dell’abitazione di Lea Garofalo per rapirla e successivamente ucciderla. L’agguato non riesce grazie soprattutto al tempestivo intervento di Denise. La donna informa subito i carabinieri ipotizzando il coinvolgimento dell’ex compagno Carlo Cosco, che viveva a quel tempo tra Milano e Petilia Policastro. Il 20 novembre del 2009, l’uomo attira l’ex compagna – ormai fuoriuscita da mesi dal programma di protezione – a Milano, con una scusa ben precisa, ovvero quella di parlare del futuro della loro figlia Denise. La sera del 24 novembre Carlo Cosco conduce Lea in un appartamento, dove ad attenderli c’è Vito Cosco detto “Sergio“. Ed è proprio lì che i due uomini la uccidono.

Il cadavere viene portato fuori dall’appartamento da Carmine Venturino, Rosario Curcio e Massimo Sabatino e trasportato a San Fruttuoso, un quartiere di Monza, dove viene dato alle fiamme per tre giorni fino alla completa distruzione. Nell’ottobre 2010, Carlo Cosco, Massimo Sabatino, Giuseppe Cosco «Smith», Vito Cosco, Carmine Venturino e Rosario Curcio vengono arrestati. Il 30 marzo 2012, dopo un anno di processo, i giudici condannano all’ergastolo con isolamento diurno per due anni Carlo Cosco e suo fratello Vito, all’ergastolo e ad un anno di isolamento Giuseppe Cosco, Rosario Curcio, Massimo Sabatino e Carmine Venturino, ex fidanzato di Denise.

Dopo la sentenza di primo grado, Carmine Venturino decide a quel punto di fare alcune dichiarazioni che permettono agli inquirenti di ritrovare quel che rimane del cadavere di Lea Garofalo. Il 28 maggio 2013 la Corte d’assise d’appello di Milano conferma 4 dei 6 ergastoli inflitti in primo grado. Conferma l’ergastolo per Carlo e Vito Cosco, Rosario Curcio e Massimo Sabatino; 25 anni di reclusione per Carmine Venturino e assoluzione per non aver commesso il fatto per Giuseppe Cosco; inoltre la Corte ha disposto il risarcimento dei danni per le parti civili: la figlia, la madre e la sorella di Lea Garofalo e il comune di Milano. Il 18 dicembre 2014 le condanne della Corte d’Assise d’Appello di Milano vengono tutte confermate dalla Cassazione che le rende definitive.