La vita va così: la storia vera di Ovidio Marras
La storia del pastore sardo Ovidio Marras, simbolo di resistenza contro la speculazione edilizia, che ha ispirato il nuovo film di Riccardo Milani La vita va così
Il cinema insegue il reale, ne lambisce i contorni, gli gira intorno e ne diventa un simulacro. Sicuramente compie un passo in avanti, giocando con la fantasia e con i mezzi a sua disposizione. È il caso dei film ispirati a storie realmente accadute, come quella del pastore sardo Ovidio Marras, classe 1930, la cui vicenda ha ispirato La vita va così di Riccardo Milani, presentato in anteprima alla Festa del Cinema di Roma 2025. La pellicola, in queste settimane al cinema, sta riscuotendo un grande successo di pubblico, complice anche la scelta del cast, formato da attori di grande esperienza e levatura comica: Virginia Raffaele, Diego Abatantuono, Aldo Baglio e Geppi Cucciari.
Il pastore è invece interpretato da un attore esordiente, il prodigioso Giuseppe Ignazio Loi, per la prima volta davanti allo schermo a 84 anni. Nella sua interpretazione c’è tutta la verità e la credibilità del popolo sardo: un ruolo che esigeva un “volto” – ma non solo quello – capace di infondere autenticità al personaggio, vero baluardo di resistenza nei confronti di un progresso cieco davanti alle tradizioni millenarie.
A quale storia è ispirato il film La vita va così?

Coordinate geografiche: Teulada, Sardegna sud-occidentale. Qui ha vissuto tutta la sua vita il pastore Ovidio Marras, un’intera esistenza immersa nelle colline e nei pascoli di Capo Malfatano, una delle aree più intatte del litorale sardo. La sua storia è diventata un simbolo di resistenza: una forza ostinata e convinta, opposta – da solo e fieramente – alla speculazione edilizia e in difesa del paesaggio.
Bisogna precisare che Marras non aveva in mente di pianificare una battaglia, si è semplicemente ritrovato, come singolo cittadino, a difendere la sua campagna anche a fronte di un’offerta economica da far girare la testa: 12 milioni di euro. Ma Ovidio rifiutò, restando fedele ai suoi ideali.
Tutto ebbe inizio nei primi anni Duemila, quando la società Sitas, uno dei più grandi gruppi immobiliari italiani, propose la costruzione di un resort di lusso a pochi metri dal mare, tra Tuerredda e Capo Malfatano. C’era tuttavia un ostacolo: i terreni di Marras, dove il pastore aveva il suo ovile e i pascoli di famiglia. Marras rifiutò di cederli, anche davanti a cifre altissime, divenendo così un caso mediatico locale prima, e nazionale poi.
Non solo: Marras intraprese un contenzioso con il gruppo immobiliare a seguito della costruzione di una strada che gli impediva di tornare a casa con le sue mucche lungo il consueto percorso, costringendolo a un tragitto più lungo. Con il sostegno dell’associazione Italia Nostra, Marras ottenne in tribunale la sospensione dei cantieri e la revisione dei piani edilizi. La storia, rilanciata da diversi giornali e televisioni, divenne nota come la “battaglia del cemento”, in cui un singolo cittadino si oppose a un progetto imprenditoriale da centinaia di milioni di euro.
La vita va così: chi è Ovidio Marras?

Marras non ha mai cercato visibilità, né tantomeno pubblicità per farsi conoscere. La sua era una questione privata, che però toccava un tema universale: la difesa dei beni naturali della Sardegna, il loro rispetto e la loro custodia. In nuce, vi erano già tutti gli elementi per trarne un film, specie in un periodo storico come quello attuale, in cui si parla sempre più spesso di ritorno alle radici e di protezione dei territori.
Così anche il cinema sta virando in quella direzione di racconto. Già Milani, con il suo ultimo film Un mondo a parte, aveva raccontato un altro territorio autentico – quello abruzzese – attraverso la coppia Albanese/Raffaele. E, nelle sale in queste settimane, c’è anche Le città di pianura di Francesco Sossai, dove protagonista è la provincia veneta in un on the road movie scanzonato. Nel 2022, invece, Margini di Niccolò Falsetti, ambientato in una cittadina della Maremma, raccontava di tre ragazzi punk decisi a far suonare nella loro città una band americana.
Per concludere, le parole di Marras in difesa della sua Tuerredda sono forse la sintesi più chiara del suo pensiero: “Qui mi avevano preso per scemo, ma io non mi sono arreso. Volevano circondarmi di case, volevano intrappolarmi nel cemento, forse speravano che me ne andassi. Ma adesso saranno costretti a buttar giù tutto. Non era accettabile che noi dovessimo andar via da qui, da casa nostra, per far posto ai ricchi. Questo posto è di tutti e io lo dovevo difendere“.