John Wick: l’estetica della violenza nella saga con Keanu Reeves

Un viaggio nell'estetica della violenza del franchise di John Wick

Nel panorama cinematografico contemporaneo, pochi film d’azione hanno saputo ridefinire con così tanta forza l’estetica della violenza come la saga di John Wick. Iniziata nel 2014 con il primo capitolo diretto da Chad Stahelski, la serie ha inaugurato una nuova era per il genere action, con un linguaggio visivo elegante, una coreografia quasi danzante dei combattimenti e un universo narrativo stratificato, popolato da killer professionisti, codici d’onore e ritualità letali. Ma cosa rende la violenza di John Wick così affascinante? Perché lo spettatore si trova immerso in un mondo iper-stilizzato di sangue e proiettili, senza distogliere lo sguardo?

Coreografia come ballo mortale

Indubbiamente, uno degli elementi più distintivi della saga di John Wick è la meticolosa coreografia dei combattimenti. Il regista di tutti i 4 capitoli principali, Chad Stahelski, ex stuntman, costruisce ogni scena d’azione come un vero e proprio balletto. I movimenti di Keanu Reeves, che interpreta l’ex killer ritirato John Wick, sono fluidi, precisi e studiati al millimetro. Ogni colpo, ogni sparo, ogni presa di judo ha una sua precisa collocazione nello spazio e nel tempo. L’effetto che ne risulta è quello di una danza mortale, in cui la brutalità si trasforma in spettacolo coreografico. La regia utilizza piani sequenza e movimenti di macchina puliti, evitando il montaggio frenetico tipico del cinema action americano. In questo modo, lo spettatore può seguire l’azione in modo chiaro, apprezzandone ogni sfumatura. Il corpo di John Wick diventa veicolo espressivo, una sorta di calligrafia dell’assassinio. E questo stile è mantenuto in una maniera piuttosto fedele, anzi tendente al “rilancio” sul piano dell’elaborazione dei combattimenti, anche nei capitoli successivi, in cui l’elemento stilistico e coreografico prende sempre più il sopravvento, anche rispetto alla trama stessa. Disciplina e coreografie mortali che tornano inevitabilmente come fulcro centrale nello spin-off Ballerina di cui abbiamo parlato approfonditamente in precedenza.

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Tra estetica barocca e cinema Noir

John Wick cosa ci ha insegnato Cinematographe.it

Il mondo di John Wick non è realistico, ma altamente stilizzato, soprattutto nei capitoli successivi al primo. Le scenografie evocano un universo parallelo in cui l’eleganza si fonde con la morte. Club notturni illuminati da neon, hotel lussuosi come il Continental (luogo sacro per i sicari), musei e gallerie d’arte: ogni location è scelta per il suo potenziale visivo e simbolico. La fotografia predilige i contrasti marcati, i toni freddi e le luci artificiali, creando un’atmosfera onirica e decadente. Questa estetica riflette un mondo in cui la violenza è regolata da leggi antiche, codici di comportamento e una mitologia occulta. John Wick non uccide solo per vendetta o sopravvivenza, ma come atto rituale, inserito in un sistema quasi religioso. La sua figura è più simile a quella di un samurai o di un guerriero tragico che a un comune antieroe contemporaneo. Il ruolo della luce è centrale. Le scene notturne non sono mai immerse nel buio puro, ma modellate attraverso sorgenti luminose che scolpiscono lo spazio: neon colorati, riflessi acquatici, bagliori di vetro rotto, fenditure di luce che filtrano da porte socchiuse. In questo senso, l’influenza di Michael Mann è fortissima: regista di Strade violente, Heat e Collateral, Mann ha sempre utilizzato la luce urbana come elemento narrativo, trasformando la città notturna in un teatro emotivo. Stahelski riprende questa lezione e la amplifica, utilizzando la luce per disegnare i contorni morali e fisici dei suoi personaggi, per creare spazi quasi astratti in cui la realtà si dissolve. Esteticamente l’atmosfera barocca di John Wick riprende una certa impronta da certo cinema orientale, come ad esempio la potente impronta visiva di Park Chan-wook, maestro sudcoreano noto per opere come Oldboy e Lady Vendetta. Park è celebre per la sua capacità di coniugare una violenza estrema con un’estetica raffinata e simmetrica.

John Wick 4: l’estetica più elevata

John Wick 4 Cinematographe.it

Al netto di due capitoli centrali della saga, relativamente meno riusciti (o, comunque, poco interessanti sul piano narrativo), il capitolo finale, John Wick 4 rappresenta probabilmente il punto più alto della saga dal punto di vista stilistico. In questo film, l’azione diventa una forma pura di linguaggio visivo, liberata da ogni vincolo narrativo superfluo. Il quarto capitolo è una vera e propria sinfonia barocca del massacro, in cui ogni scontro è pensato come un quadro vivente o un movimento di danza letale. Nel Capitolo 4, la violenza non è mai sporca o grezza, ma levigata, scolpita, messa in scena con una precisione maniacale. Ogni combattimento è una performance visiva, spesso pensata in piani sequenza fluidi o movimenti di macchina acrobatici, dove il corpo di Keanu Reeves diventa il centro gravitazionale di uno spazio che si trasforma intorno a lui. È evidente la volontà di trascendere l’action classico: John Wick 4 si comporta come un balletto mortale, dove coreografia, fotografia e design scenico lavorano in perfetta sincronia. Nella sequenza dell’Arco di Trionfo, a Parigi, l’azione esplode in piena strada, in mezzo al traffico, ma anche lì la violenza si fa danza. Le auto diventano parte della coreografia, i corpi si muovono come in un rituale, tra colpi secchi e scivolate su asfalto bagnato. Il caos non è mai caotico: è orchestrato. Anche in mezzo alla confusione, Stahelski mantiene sempre il controllo assoluto del quadro. John Wick 4 porta a compimento un percorso visivo cominciato nel primo capitolo. La violenza è sempre più astratta, estetizzata fino al limite, ma mai fine a se stessa.

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