James Senese, anima di Napoli: 7 indiscrezioni sul sassofonista di Miano
C’è chi nasce per suonare e chi per farsi suonare dal mondo. James Senese, nato il 6 gennaio 1945 a Miano e morto il 29 ottobre 2025 a Napoli, apparteneva a questa seconda categoria: una creatura di vento e sax, di sangue e malinconia, che da Miano ha costruito un impero invisibile fatto di ritmo, dignità e voce. Napoli lo ha visto nascere, crescere, ferirsi, guarire e infine andarsene, ma senza mai lasciare davvero la scena.
James Senese: l’uomo e il legame con la città di Napoli

James non era solo un musicista. Era un dialetto trasformato in suono. Figlio di un soldato afroamericano e di una madre napoletana, ha portato sulla pelle la storia di due mondi in conflitto e nel fiato la voglia di farli dialogare. Da quel contrasto è nato il suo sax, un grido che sapeva di mare e di asfalto, di jazz e di sangue.
A Miano, il quartiere che non ha mai abbandonato, James camminava come un re senza corona, salutando chiunque come un vecchio amico. Non ha mai cercato rifugio in residenze dorate: la sua casa era la città stessa, con i vicoli e la musica che usciva dalle finestre.
James Senese: la figlia, il cuore e la ferita

Dietro al personaggio ruvido, esisteva un padre. La sua figlia Anna è stata più volte al centro dell’attenzione mediatica, ma per James era e restava semplicemente “’a figlia mia”. Dopo un episodio discusso che la vide coinvolta in un alterco pubblico, Senese reagì da padre e da uomo: difese, spiegò, si scusò. Quel gesto raccontava tutto di lui — l’orgoglio e l’umiltà, l’amore e la responsabilità.
La famiglia era la sua forza silenziosa, quella che lo sosteneva nei tour, nei momenti di stanchezza, nei giorni in cui il fiato sembrava finire prima della musica.
La malattia e la sfida al silenzio
Negli ultimi anni, James ha combattuto contro problemi di salute che lo hanno costretto a rallentare. Dialisi, polmonite, ricoveri: parole fredde che nascondono una lotta calda, umana, fatta di resistenza. Anche dal letto d’ospedale, raccontano, cercava ancora la musica — fischiava melodie, come per ricordarsi che finché c’è respiro, c’è ritmo.
La malattia non gli ha tolto la voce, ma l’ha resa più vera. Era come se ogni nota diventasse una dichiarazione di esistenza, un “sto ancora qua” detto sottovoce, ma con l’intensità di un assolo che non vuole finire.
James Senese. La morte, il silenzio che resta
Il 29 ottobre 2025, Napoli si è svegliata più muta. James Senese se n’è andato a ottant’anni, nel suo Cardarelli, lasciando dietro di sé un suono che nessun funerale potrà mai spegnere. Ai suoi funerali, nella chiesa di Santa Maria dell’Arco, non c’erano soltanto colleghi e amici, ma una città intera che voleva dirgli grazie.
In molti hanno raccontato che, mentre il feretro usciva, qualcuno ha intonato un suo brano, e per un istante è sembrato che il sax rispondesse da qualche parte, forse dall’alto, forse dal cuore di chi lo ascoltava.
Il patrimonio di James Senese
Parlare di “patrimonio” nel caso di Senese è quasi un paradosso. Nessun conto in banca, nessuna villa al mare potrà mai raccontare ciò che ha lasciato. Il suo vero tesoro è invisibile, disseminato nei vinili, nei concerti, nelle frasi che hanno segnato intere generazioni: “Nun ce stanno padroni” e “O’ sanghe è sanghe”.
Un patrimonio sonoro, emotivo, culturale — il lascito di un uomo che non ha mai voluto smettere di essere popolare, nel senso più nobile del termine.
Dove abitava: la casa del ritorno
Chi lo conosceva lo sapeva bene: James non ha mai lasciato davvero Miano, il quartiere della sua infanzia. “Io sto bene qua”, diceva, e non c’era da dubitarne. Le sue radici erano lì, nella polvere, nei cortili, nei bar dove ancora oggi la gente lo chiama “’o Maestro”.
Era un uomo che poteva viaggiare per il mondo e tornare sempre nello stesso punto, come se la sua casa fosse una nota, un respiro, una promessa.
James Senese e il cinema: la musica come sceneggiatura
Il cinema ha sempre guardato a James Senese come a un frammento di verità. La sua musica, con quel miscuglio di dolore e orgoglio, ha attraversato lo schermo più volte, portando dentro le immagini l’anima della città. Indimenticabile il suo sax nella colonna sonora di Passione (2010) di John Turturro, un film che è un viaggio nel cuore di Napoli e che trova in Senese una delle sue voci più autentiche.
Ma James non si è fermato alla musica: è apparso anche come attore, nei film di Luciano De Crescenzo — tra cui Così parlò Bellavista (1984) — dove la sua presenza muta diceva più di mille battute. Il suo volto, segnato ma dolce, era quello di una Napoli che osserva e comprende, una città che respira attraverso la sua gente.
Ogni volta che un regista cercava la verità del popolo, trovava James Senese: un artista capace di raccontare, senza parole, la vita intera di un quartiere, di un popolo, di un suono. Il cinema lo ha amato perché in lui c’era tutto ciò che manca a molti attori: realtà, ritmo e mistero.
L’eredità in una nota

James Senese ha trasformato la fatica in poesia, la rabbia in ritmo, la solitudine in arte. La sua storia non è solo quella di un musicista, ma di un uomo che ha saputo appartenere a se stesso.
Oggi, se chiudi gli occhi e ascolti “Campagna” o “E allora je dico sì”, ti accorgerai che c’è ancora un sax che parla napoletano, che ride, che piange. È la voce di James, che non ha mai smesso di dire al mondo che la musica — quella vera — non muore mai.