Jafar Panahi: i 5 film migliori del famoso regista iraniano

Il cinema come atto di resistenza e sguardo di un Pese, attraverso l'estro di Panahi: tra realtà, finzione e ribellione silenziosa.

Jafar Panahi è una delle voci più incisive e coraggiose del cinema contemporaneo, nome di spicco del cinema mediorientale da oltre 30 anni. Il suo sguardo, profondamente umanista, si fa specchio della società iraniana attraverso narrazioni minimali ma cariche di tensione politica, sociale e filosofica. Molti suoi film, nonostante le limitazioni imposte dallo Stato, dal quale è stato condannato a non girare film né a lasciare il paese, diventa un atto di ribellione. Di seguito analizziamo cinque delle sue opere più emblematiche, in ordine cronologico, per comprendere l’evoluzione del suo linguaggio e l’impatto del suo cinema.

1. Il palloncino bianco (1995) tra i film migliori di Jafar Panahi

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Il palloncino bianco è l’opera prima di Jafar Panahi, ma già si distingue per una precisione registica che incrocia la semplicità della trama con una profonda riflessione simbolica. La storia segue Razieh, una bambina che vuole comprare un pesce rosso per il capodanno persiano. Il suo viaggio attraverso le strade di Teheran, per recuperare una banconota caduta in un tombino, si trasforma in un’odissea urbana in miniatura. Il realismo, ereditato dal cinema di Abbas Kiarostami, si combina con una narrazione lineare ma densa di osservazioni sui ruoli di genere, le classi sociali e la perseveranza dell’infanzia. Il vero capolavoro del film è l’uso dello spazio: la città è viva, caotica, stratificata, lo sguardo della bambina ci guida in un mondo dove l’innocenza si scontra con l’inerzia adulta. Un esordio gentile e poetico, che già preannuncia la cifra stilistica del regista.

2. Lo specchio (1997)

Un’opera che rompe apertamente con la finzione cinematografica. Anche in Lo specchio si segue una bambina, Mina, che cerca di tornare a casa da scuola. A metà del film, però, accade qualcosa di sorprendente: l’attrice protagonista si rivolge direttamente alla cinepresa e dichiara di non voler più recitare. Quello che era un film realistico si trasforma in un ibrido tra documentario e metacinema. Panahi espone il dispositivo filmico, lo smonta davanti ai nostri occhi, ma non per gioco: è una dichiarazione di poetica. Lo specchio diventa simbolo di un cinema che riflette il reale, ma anche delle menzogne imposte dalla censura. Il film è una critica sottile ma tagliente alla manipolazione e alla costruzione della verità.

3. Il cerchio (2000) tra i film di Jafar Panahi da vedere

Con Il cerchio, Panahi firma la sua opera più apertamente politica. Il film inizia con una donna che partorisce una bambina in un ospedale, e poi si sviluppa seguendo diversi personaggi femminili in una Teheran ostile. Le protagoniste – ex detenute, ragazze incinte, donne che cercano di abortire – sono legate da una rete invisibile di sopraffazione, solitudine e disperazione. La forma circolare della narrazione (da cui il titolo), in cui l’ultima scena richiama la prima, sottolinea la ciclicità dell’oppressione. Panahi impiega lunghe inquadrature mobili, quasi asfissianti, che accompagnano lo spettatore nella deriva quotidiana di donne invisibili. La critica al regime patriarcale è diretta, esplicita, e il titolo stesso è metafora di un destino senza via di fuga.

4. Oro rosso (2003)

Protagonista di Oro rosso è un tassista, interpretato dall’attore non professionista Hussein Emadeddin, affetto da problemi mentali. L’uomo vaga per la città, entrando nelle ville dei ricchi per derubarli, ma ciò che scopre, il vuoto, la noia, l’ipocrisia della borghesia iraniana, lo lascia privo di parole e di voglia di agire. Il film è costruito su un’alternanza tra osservazione e suspense: i lunghi silenzi del protagonista si contrappongono all’opulenza immobile degli ambienti. Panahi rovescia la visione stereotipata dell’Iran come paese povero e mostra la frattura tra classi, l’ipocrisia dei benestanti, il vuoto morale dell’élite. Il finale è un colpo secco, un’esplosione di disillusione. È anche uno dei film che segneranno l’inizio dei problemi giudiziari del regista.

5. Taxi Teheran (2015)

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Girato clandestinamente con una telecamera fissa all’interno di un taxi guidato dallo stesso Panahi, Taxi Teheran è forse il film più emblematico della sua resistenza artistica. Nonostante il divieto di esercitare la professione, il regista trasforma l’auto in un set, un confessionale, una piazza pubblica. Diversi passeggeri salgono e raccontano storie, opinioni, paure, sogni. Il film è un mosaico narrativo che alterna ironia, pathos e critica sociale. La finzione si mescola al documentario, ma il cuore dell’opera è la presenza fisica di Jafari Panahi, il quale non recita, non dirige apertamente, ma osserva e ascolta, interpretando il tassista.
In un Paese dove anche filmare è un atto sovversivo, Taxi Teheran (premiato con l’Orso d’oro a Berlino) dimostra che il cinema può sopravvivere ovunque, anche in un’auto in movimento. Il messaggio è chiaro: Panahi è ancora vivo, ancora artista, ancora libero.

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