In guerra per amore: la vera storia del Rapporto Scotten, alla base del film con Miriam Leone

Scopriamo la storia vera de In guerra per amore, film di Pif del 2016 con Miriam Leone nel cast!

In guerra per amore è un film di Pif uscito al cinema nel 2016 con Miriam Leone. Le vicende rappresentate su schermo prendono spunto dal rapporto Scotten avvalorante la teoria, criticata da parecchi critici, secondo cui la mafia avrebbe offerto il proprio supporto logistico agli americani durante il loro sbarco in Sicilia per liberare l’Italia. Scopriamo insieme in cosa consiste nello specifico il rapporto Scotten e alcune delle polemiche scoppiate a causa del lungometraggio.

In guerra per amore: il legame oscuro tra la liberazione della Sicilia e l’esercito statunitense

Manifesto In guerra per amore

Il 9 luglio 1943 gli americani sbarcarono in Sicilia con l’obiettivo di liberare l’Italia e l’Europa dall’oppressione nazista. Stando a una parte di storici per raggiungere l’isola chiesero aiuto ai mafiosi immigrati negli States. Più esattamente avrebbero sfruttato il potere di Lucky Luciano, il boss detenuto nelle carceri americane. Il presunto contributo delle organizzazioni malavitose avrebbe ricoperto un ruolo cruciale nell’operazione compiuta dalle truppe, in grado di liberare la Sicilia nel giro di due mesi. In guerra per amore sposa tale tesi basata sul rapporto Scotten, così denominato per l’ufficiale americano W.E. Scotten.

Alla fine della pellicola il regista Pierfrancesco Diliberto (in arte Pif) mostra il documento in questione, avente per oggetto “The Problem of Mafia in Sicily”, ovvero Il problema della Mafia in Sicilia. Il rapporto, consegnato il 29 ottobre del 1943, pochi mesi dopo lo sbarco nella Regione, contiene alcune considerazioni del capitano W.E. Scotten sulla Mafia, ritenuto un fenomeno destinato ad avere gravi implicazioni per la situazione politica dell’epoca e futura tanto dell’isola quanto dell’Italia intera. Alla luce di ciò, il militare, che ha dato il là al film In guerra per amore, proponeva ai superiori tre soluzioni.

La prima prevedeva un’azione fulminea e decisiva nell’arco di giorni o al massimo di settimane. Un arresto simultaneo e congiunto di 500 o 600 capifamiglia senza valutare la personalità e le connessioni politiche affinché venissero deportate, senza nessuna traccia di processo, per l’intero svolgimento del conflitto bellico.

La seconda opzione consisteva in una tregua negoziata con i boss la cui buona riuscita sarebbe dipesa dall’estrema segretezza di fronte ai siciliani e allo stesso personale del Governo Militare Alleato.

Infine, la terza strada era quello dell’abbandono di qualsiasi tentativo di controllo sulla Mafia lungo l’Italia intera e il ritiro in piccoli centri strategici, attorno ai quali formare cordoni protettivi e al cui interno esercitare un governo militare assoluto. Quest’ultima via avrebbe implicato, a detta di Scotten, la consegna della Sicilia ai poteri criminali per lungo tempo.

Una scena di In guerra per amore

Ad avviso dell’autore di In guerra per amore, e di una parte degli storici, il documento attesta il proposito del governo americano di scendere a patti con le cosche mafiose per assumere il controllo della Sicilia. Si desiderava scongiurare l’apertura di un nuovo canale potenzialmente capace di rallentare la liberazione dell’Italia e del Vecchio Continente dal nazifascismo.

La teoria perorata da Pif trae fondamento da un fatto: gli Alleati non hanno mai deportato alcun mafioso. Inoltre, subito dopo la messa in libertà dell’isola, gli americani esercitarono pressioni affinché i capi mafia del tempo, Don Genco Russo e Calò Vizzini, venissero nominati sindaci dei loro rispettivi paesi, Mussomeli e Villalba.

Gli interessi finanziari tra soldati siciliani e americani vennero curati dal banchiere Michele Sindona. Infine, il 3 gennaio, Lucky Luciano, condannato a 30 anni di reclusione, ricevette la grazia dal governatore dello Stato di New York per i servigi resi alla marina, a patto che lasciasse gli Usa per trasferirsi in Italia.

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