5 capolavori del cinema giapponese ingiustamente dimenticati

Alla riscoperta di capolavori un po' dimenticati del cinema giapponese.

Il cinema giapponese, spesso poco distribuito nel nostro Paese, è uno dei più floridi che la storia della settima arte abbia conosciuto, fin dalla sua epoca d’oro avviata negli anni Cinquanta. Ma, al netto di quegli autori e di quei capolavori che si sono ben distinti anche in Occidente, come molti film di Akira Kurosawa, di Kenji Mizoguchi o alcuni di Yasujiro Ozu o, in epoca contemporanea, quelli realizzati da Takeshi Kitano e più recentemente quelli di Hirokazu Kore-eda, quali sono quei film che invece sono rimasti un po’ nell’ombra, soprattutto in Italia e che, al netto del loro alto valore artistico, meritano di essere riscoperti?
Scopriamolo in questa nostra rubrica, attraverso una lista di cinque titoli che possiamo identificare come capolavori del cinema giapponese da riscoprire.

1. L’arpa birmana (1956)

Un soldato giapponese, abile suonatore di arpa, stufo della guerra, atterrito dagli orrori del conflitto, mentre il Giappone è consacrato alla sconfitta, posa le armi e decide di farsi bonzo. Resta in Birmania, rifiutando il rientro in patria, per seppellire tutti i caduti sul campo.
Vero e proprio inno umanista, questo grande classico degli anni cinquanta, al tempo distribuito anche in Italia, per poi scomparire dai radar della memoria odierna, è uno di quei titoli assolutamente da riscoprire.
Il film di Kon Ichikawa ottenne il riconoscimento col Premio San Giorgio al 17° Festival del Cinema di Veneza, nell’anno in cui non fu assegnato il Leone d’Oro e fu candidato al Premio Oscar, nell’edizione in cui trionfò La strada di Federico Fellini.

2. La leggenda di Narayama (1958)

Traendo linfa da una leggenda popolare giapponese, narrata nel romanzo omonimo di Shichirō Fukazawa, questo meraviglioso film di fine anni cinquanta, è una metafora sulla sopravvivenza, la disgregazione familiare, la rigidità delle tradizioni, la vecchiaia, la morte. Elaborato come uno spettacolo kabuki, tra invenzioni scenografiche e giochi di illuminazioni e colori.
La vicenda si ambienta in un remoto villaggio di montagna dove vige un’arcaica usanza, dettata dalla miseria e dalla penuria di cibo: abbandonare sulla cima dell’immaginario monte Nara tutti gli appartenenti alla famiglia che hanno raggiunto i settant’anni. Orin, una vecchia donna, avvicinandosi all’età fatidica, si rompe i denti anzitempo, per prepararsi al viaggio finale, allo scopo di non gravare sulle spalle del figlio e della nuora.

3. Kwaidan (1964)

Vero e proprio capolavoro sul piano figurativo, questa antologia di quattro storie di fantasmi, è uno di quei titoli che potremmo identificare come spartiacque del cinema horror giapponese (che oggi, nel mondo è meglio noto come J-Horror).

Nel primo episodio, The black hair, un samurai di Kyoto ridottosi in povertà abbandona l’adorata moglie per cercare un lavoro più remunerativo e, alla corte di un nuovo signore, si risposa. Scoperta la natura egoista della donna, tornerà a casa, ma la prima moglie non è più quella che sembra;
Nel secondo, The woman of the snow, durante una tempesta di neve, un giovane boscaiolo viene salvato da morte certa da uno spirito dalle fattezze di donna, ma in cambio non dovrà raccontare a nessuno l’evento. Sposatosi felicemente, un giorno l’uomo trova una curiosa rassomiglianza della moglie con quella donna, e infrange la promessa;
Nel terzo, Hoichi, the earless, un musicista cieco che vive in un monastero è convinto a cantare per la corte imperiale fantasma di una dinastia estinta, la ballata epica della loro ultima, grandiosa battaglia. I monaci lo vorrebbero salvare scrivendo sul suo corpo un mantra sacro, in modo che così diventi invisibile, ma si dimenticano di tatuargli le orecchie;
Nel quarto ed ultimo, In a cup of tea, uno scrittore non sa come completare una storia ambientata nel 1900, di un uomo che vede una faccia misteriosa riflessa nella sua tazza da tè.

4. Belladonna of Sadness (1973)

Il cinema d’animazione giapponese è una vera e propria fucina di talenti e di film che hanno influenzato anche i generi live action (basti pensare ad opere come Akira di Katsuhiro Otomo o Ghost in the Shell di Mamoru Oshii). E, fin dagli anni ’60 la produzione di Anime (anche per la televisione) è stata florida nel Paese del Sol Levante.
Questo singolare film dei primi anni ’70 è uno di quei titoli più affascinanti e sperimentali che nel genere d’animazione è riuscito a divenire una sorta di oggetto di culto. La storia si ambienta in un immaginifico Medioevo, dove l’amore tra Jeanne e Jean è ostacolato da un potente feudatario, che in passato aveva abusato di lei.
La donzella, decide per vendetta e per il benestare del suo villaggio di ricorrere all’ausilio del Diavolo.
Con un’estetica seducente e anticonvenzionale, vicina a certe espressioni della Pop Art, il film rievoca le atmosfere de I Diavoli, altra opera di culto, diretta da Ken Russel due anni prima.

5. Tetsuo (1989)

Uno dei film più potenti sul piano strettamente visivo che il cinema giapponese abbia saputo regalare è senza dubbio il Tetsuo di Shinya tsukamoto, regista indipendente e autore completo (si occupa di montaggio, fotografia, scrittura e recitazione) che nutre una valida considerazione nella cerchia di cinefili e critici, pur essendo ancora sconosciuto al grande pubblico.
Questo suo film di esordio è un ibrido vorticoso di estetica da videoclip frenetico e di incubo pruriginoso e tetro. Divenuto un vero e proprio manifesto del cinema cyber punk, è un’esperienza allucinata e vivacissima, dai movimenti di macchina frenetici ed il montaggio sincopato, con connotazioni erotiche (il fallo meccanico del protagonista, le escrescenze metalliche corporali dal taglio fetish, la donna con un “pene serpeggiante”) ed un classico duello finale tra buono e cattivo che sembra venuto fuori dal circuito dei Manga.

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