Everything Everywhere All At Once è da Oscar e se non siete d’accordo è perché non l’avete capito (ve lo spieghiamo!)

Perché Everything Everywhere All At Once ha vinto come Miglior Film dell’anno agli Oscar 2023? Ecco la nostra spiegazione è il significato di un film che trionfato alla 95esima edizione degli Academy Awards.

All’alba del 13 marzo 2023, alle 5 del mattino – ore italiane – avevamo la certezza della vittoria agli Oscar 2023 di Everything everywhere all at once come Miglior Film.
Un successo che ha fatto la storia, perché l’eccentrico film dei Daniels ha conquistato in totale ben 7 statuette tra le undici nomination, 6 delle quali appartengono alle categorie più prestigiose (incluse Miglior Regia, Miglior Sceneggiatura Originale, Miglior Attrice Protagonista e Miglior Attore Non Protagonista) – con un premio tecnico meritatissimo, Miglior Montaggio. 

Eppure, questa vittoria – così come le 11 candidature – era già stata pronosticata con non poche polemiche da parte dei critici cinematografici e dei cinefili in genere.

Everything everywhere all at once è apparso da subito come un film divisivo: da un lato i numerosi riconoscimenti ai festival e l’apprezzamento di una parte della critica, dall’altro le accuse di essere solo “un’accozzaglia”, caotico, uno dei film più sopravvalutati di sempre, un copione già visto che finge e pretende di essere originale. 
E mentre coloro che non l’hanno ancora visto – ricordiamo che il film dei Daniels ha in realtà persino sofferto una distribuzione a tratti ridicola, con interi territori che non ne hanno visto la programmazione neppure in una sala – si chiedono come recuperarlo e quando Everything everywhere all at once uscirà in streaming e su Netflix, chi l’ha già visto si è ormai schierato: o lo si ama o lo si detesta.

Si potrebbe riflettere sulla reale meritocrazia dell’intero sistema degli Academy Awards per ore, pagine e articoli, ma non se ne uscirebbe vivi: che vi piaccia o no, Hollywood è un’industria con le sue regole, spesso a noi poco chiare o poco gradite.
Certamente, 7 Oscar appaiono forse troppi per una pellicola come quella dei Daniels: la performance di Michelle Yeoh probabilmente impallidisce davanti a quella della Blanchette, eppure si è portata a casa anche questa vittoria, la regia di Spielberg forse ha emozionato di più, ma non ha avuto la meglio.
Ma poiché la categoria Miglior Film è alla fine la più “chiacchierata” anche da quella parte di spettatori e persone che di cinema parlano solo una volta all’anno (durante gli Oscar, appunto), la domanda cruciale a cui vogliamo cercare di rispondere è la seguente: Everything everywhere all at once merita l’Oscar nella categoria Miglior Film? 

Perché Everything everywhere all at once ha meritato di vincere agli Oscar 2023? La spiegazione del perché è il miglior film dell’anno

sag awards 2023 vincitori cinematographe.it

Lo snobismo degli Academy Awards per i film di genere è noto a tutti, ma già da qualche anno (vedasi le nomination del cinecomic Black Panther) è in parte stato sorpassato. Perché molti considerano Everything everywhere all at once un film di genere, che in realtà si potrebbe più correttamente definire “sui generis”.

La trama di Everything everywhere all at once fa iniziare il film come se fosse un dramma familiare a tinte emotive, per poi evolvere in un film di kung fu, azione, sci-fi. Ecco perché “l’accozzaglia di generi”. Eppure, bisognerebbe forse riflettere meglio sul concetto di “multiverso”: è qualcosa di ordinato? No, di certo. Abbiamo prestato a questa pellicola la stessa attenzione e concentrazione che riserbiamo a film come Inception, o Interstellar di Nolan? Se pensate che i Daniels vi parlino di multiverso in maniera ridicola e imparagonabile, forse avete guardato Everything Everywhere all at once con troppo snobismo.

In un’edizione in cui Everything everywhere all at once si è trovato a concorrere con film autoriali (bellissimi, sì) quali Gli spiriti dell’Isola, improbabili candidature come Top Gun: Maverick (e qualcuno direbbe  persino che meritava più dei Daniels!) e dichiarazioni d’amore metacinematografiche come The Fabelmans, la pellicola non fa fatica a uscirne vincitrice, nella sua forma così iconica, bizzarra, visionaria.

Everything everywhere all at once e le tematiche dietro al film

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Everything everywhere all at once è un film “rotondo”, che non ha spigoli da smussare: intrattiene e lo fa benissimo, con un montaggio pazzesco, scene action esilaranti e gag che strappano la risata più di una volta e, al tempo stesso, emoziona con significati che si ripiegano in una sceneggiatura che va letta per forza di cose a più livelli.
Lo spettatore distratto vedrà in Everything everywhere all at once solo un film che pretende di esibire una forma pseudo-pulp e fumettistica, tutta estetica e povero di contenuti, l’ennesimo film che fa la morale sulla vita, parla dei drammi del microcosmo familiare e dell’amore tra una madre e una figlia (che poi, saranno anche temi già visti, ma “banali” non lo sono mai).

Chi invece ha prestato più attenzione ai dettagli e alle sottigliezze di una sceneggiatura “da Oscar” avrà compreso che oltre la forma c’è tanta altra sostanza: Everything everywhere all at once è un film che ci parla di possibilità, di infinite possibilità (racchiuse in un bagel in cui annegare insieme al proprio nichilismo), di tante possibilità quante altrettante scelte e del disorientamento che proveremmo se posti dinanzi a ognuna di esse nel concreto. Evelyn (Michelle Yeoh), vede coi propri occhi ciascuna delle vite che avrebbe potuto vivere se solo avesse fatto – in ciascuna di queste – una scelta diversa: ma vedere gli infiniti “se” della propria esistenza, può portare a una completa certezza di quale sarebbe stata la migliore versione di se stessi? Il finale del film ci dice di no, che non è così. In ciascuna di quelle vite a Evelyn sarebbe sempre mancato qualcosa che avrebbe avuto invece in un’altra, anzi: nella versione in cui Evelyn è un’attrice di successo e non ha mai sposato Waymond, ciò che le manca è il suo amore più grande, la figlia Joy.

Ancora di scelte fatte e di scelte non fatte (e dell’inadeguatezza interiore che spesso sentiamo posti dinanzi ai bivi della nostra vita) il film ci parla attraverso altri espedienti narrativi: ci insegna, con la metafora delle assurdità che Evelyn deve fare per trovare “il trampolino di lancio” che le permetterà di acquisire una nuova abilità, che anche le azioni più improbabili e più bizzarre che prendiamo nelle nostre vite possono essere fonte di crescita e maturità, che anche la più insensata di queste ci permette di fare “level up”. 

Il coraggio del dolore e la riflessione sulla Gen Z  

Everything everywhere all at once continua anche a parlarci del coraggio di fare le scelte più dolorose, anche quando si pensa di essere arrivati a un’età in cui è meglio vivere passivamente piuttosto che cambiare vita: è così il personaggio taciturno e apparentemente goffo di Waymond ha però il coraggio di chiedere il divorzio alla moglie, nonostante la cinquantina d’anni di entrambi.

Il film, inoltre, fa riflettere anche una generazione, quella dei più giovani: il personaggio di Joy parla alla Gen Z e al vuoto che spesso la attanaglia, così come anche la Evelyn che dice al padre “perché non mi hai impedito di fare questa scelta? Perché non mi hai obbligata a restare?”, mostra un’altra faccia della dinamica genitore-figlio. 

E sì, Everything everywhere all at once è anche un film che parla di fantascienza, di quantistica, di filosofia e di tematiche inclusive come quella lgbtq+ ma non lo fa pretendendo di essere visto come un caos insulso e fine a se stesso: Everything everywhere all at once ci mostra di avere la stoffa per essere un film che intrattiene, diverte, emoziona, insegna. Quella stessa verve che lo rende il Miglior Film dell’anno tra i candidati agli Oscar 2023.