Ari Aster: le 6 parole chiave del suo cinema
Joaquin Phoenix, Midsommar, A24 e altri elementi fondanti: ecco le sei parole chiave per capire il mondo cinematografico di Ari Aster.
Ari Aster è diventato in pochi anni uno dei nomi più rilevanti del cinema horror contemporaneo, ma definirlo solo “regista horror” sarebbe riduttivo. Le sue opere scavano nella psicologia umana con una precisione chirurgica, affrontando temi profondi come il lutto, la follia, l’eredità emotiva e l’alienazione. In questo articolo analizziamo le sei parole chiave che meglio descrivono la poetica e lo stile di Ari Aster, attraverso un viaggio tra i suoi film.
Ari Aster e le parole chiave per ripercorrere il suo cinema

Classe 1986, Ari Aster è un regista statunitense esploso nel 2018 con Hereditary – Le radici del male, un film che ha rivoluzionato il modo di intendere l’horror psicologico, unendo il dramma familiare a suggestioni esoteriche. Dopo il successo è arrivato Midsommar (2019), ambientato alla luce del sole di un villaggio svedese, e Beau ha paura (2023), un’opera visionaria interpretata da Joaquin Phoenix. Il suo cinema è caratterizzato da un’estrema attenzione al dettaglio, atmosfere disturbanti e una narrazione sempre tesa tra trauma e ironia nera. Aster non è solo un regista: è un autore che ha trasformato il disagio in poetica. In questo articolo andremo ad evidenziare sei combinazioni chiave che ne hanno caratterizzato il percorso cinematografico.
1. Ari Aster e Joaquin Phoenix

La collaborazione tra Ari Aster e Joaquin Phoenix ha segnato un punto di svolta per entrambi. Beau ha paura (2023) non è solo il film più ambizioso di Aster, ma anche una delle interpretazioni più estreme e sfaccettate di Phoenix. Il film è un’odissea paranoide, una psicoanalisi allucinata che mette al centro un personaggio fragile e sopraffatto da ansie ancestrali. Phoenix si è totalmente immerso nel ruolo, lavorando a stretto contatto con Aster per costruire un protagonista che è specchio deformato delle nostre paure più profonde. Inoltre, hanno lavorato nuovamente insieme in Eddington (2025), dove Phoenix interpreta il ruolo di uno sceriffo nel New Mexico.
2. Ari Aster e il trauma
Il trauma è il motore segreto del cinema di Ari Aster. Ogni suo film nasce da una ferita profonda e si sviluppa come un’elaborazione del dolore. In Hereditary, il trauma familiare si manifesta come maledizione ereditaria, una catena inarrestabile di sofferenze che si tramanda da madre a figlio. In Midsommar, è il lutto a scatenare il viaggio allucinatorio della protagonista Dani. In Beau ha paura, il trauma assume una forma quasi kafkiana, dove l’ansia e la paranoia diventano paesaggi mentali. Aster mostra come il dolore, se represso, non scompare ma si trasforma, muta, corrode. Il trauma, nei suoi film, non è mai solo personale: è un virus che infetta relazioni, identità, mondi interiori.
3. Ari Aster e la famiglia

La famiglia è il luogo del sacro e del mostruoso. Aster la osserva come un laboratorio emotivo in cui l’amore e l’odio si confondono. In Hereditary, la madre Annie è al tempo stesso vittima e carnefice, intrappolata in un destino che la sovrasta. La famiglia non è rifugio, ma una prigione costruita con affetti malati. Nel cortometraggio The Strange Thing About the Johnsons (2011), la struttura familiare è letteralmente perversa, tabù e incesto diventano metafore del non detto. Anche in Beau ha paura, la madre è una presenza dominante, castrante, ossessiva, che alimenta un senso di colpa cronico. La famiglia, in Aster, è un campo minato emotivo da cui raramente si esce vivi.
4. Ari Aster e Midsommar

Una delle combinazioni più note al pubblico è certamente quella che collega il regista al titolo di Midsommar, titolo che ha contribuito a rendere il regista un’icona del nuovo horror. Ambientato in una Svezia immaginaria, Midsommar è una favola disturbante che capovolge l’immaginario orrorifico: niente tenebre, solo sole accecante, fiori, e riti pagani. Il film è diventato un cult immediato anche per la sua protagonista, Florence Pugh, e per la sua estetica psichedelica e perfettamente simmetrica. Molti cercano online spiegazioni sul finale, sul simbolismo e sulle vere influenze etnografiche del film. Midsommar è la parola chiave perfetta per entrare nel cuore visivo e rituale del cinema di Aster.
5. Ari Aster e A24
La casa di produzione A24 è il vero braccio operativo dell’universo Aster. È stata A24 a credere in lui sin dall’inizio, distribuendo Hereditary, Midsommar e Beau ha paura. Il binomio “Ari Aster + A24” è diventato una garanzia per chi cerca un cinema d’autore fuori dagli schemi, disturbante ma anche ricercato visivamente. A24 ha saputo dare ad Aster la libertà creativa necessaria per osare, finanziare progetti rischiosi e trasformarli in cult. Ma il lavoro svolto nell’ultimo decennio dalla A24 apre ad una galassia cinematografica che include anche altri registi affini, come Robert Eggers (The Lighthouse) e Jonathan Glazer (La zona d’interesse), oltre alla realizzazione della trilogia di Ti West (X: A sexy horror story; Pearl, Maxxxine).
6. Ari Aster e l’elevated horror
Il nome di Ari Aster è spesso accostato al concetto di “elevated horror”, una definizione che ha diviso pubblico e critica ma che ha indubbiamente segnato un’epoca. Con questo termine si intende una nuova ondata di horror raffinato, dove la paura non nasce tanto da mostri o jump scare, quanto da temi profondamente umani come il lutto, la depressione, l’alienazione sociale e il trauma generazionale. Insieme a registi come Robert Eggers (The Witch, The Lighthouse) e Jordan Peele (Get Out, Us), Aster ha contribuito a ridefinire i confini del genere, inserendolo in un contesto autoriale, spesso legato al cinema d’arte europeo e alla tradizione del dramma psicologico. Film come Hereditary e Midsommar sono stati accolti come esempi paradigmatici di questa tendenza: racconti horror, sì, ma carichi di sottotesti familiari, filosofici e visivi che richiedono più livelli di lettura. L’estetica curatissima, i tempi dilatati, la recitazione teatrale e l’uso di metafore visive hanno spinto molti a parlare (con le dovute distinzioni del caso) di Aster come di un “Bergman dell’horror”. Il concetto di “elevated horror” significa entrare nel dibattito critico su cosa sia davvero il cinema dell’orrore oggi, e su come autori come lui lo abbiano trasformato in uno strumento per parlare delle paure più vere.
Leggi anche Ari Aster e Jordan Peele: i due volti del new horror americano