Da Il bruto e la bella a Mulholland Drive: 10 film in cui Hollywood racconta Hollywood

Siamo abituati ad immaginare la collina di Hollywood come un’isola felice abitata da persone assolutamente libere da ogni genere di preoccupazione. Eppure lontano dai riflettori e dallo scintillante red carpet, nell’intimità dei più acclamati registi e degli attori più talentuosi aleggia un profondo senso di inquietudine ben celato da sorrisi degni dei migliori musei delle cere, ma che inevitabilmente condiziona l’esistenza di personalità che scopriamo fragili e simili a noialtri. Chi può smascherare al meglio complessità e contraddizioni del principale centro dell’industria cinematografica statunitense? Hollywood stesso naturalmente! Questa settimana, abbiamo scelto di proporvi dieci titoli che sono celebri per averci raccontato al meglio quel mondo a noi così noto eppure così sconosciuto.

10 film su Hollywood da non perdere

Il prezzo di Hollywood (1994) di George Huang

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La vita non è un film: tutti mentono, i buoni perdono e l’amore non conquista tutto

Kevin Spacey ci regala una delle sue migliori interpretazioni che vale, da sola, la visione di questo gioiellino del cinema americano indipendente dalla trama estremamente semplice -qualcuno potrebbe aggiungere: fin troppo. Il volto peggiore di Hollywood emerge chiaramente dal confronto-scontro tra Buddy Ackerman (Kevin Spacey), produttore esigente ed arrogante, ed il suo nuovo assistente Guy (Frank Whaley che fa davvero un buon lavoro), disposto a tutto -o quasi…- per mantenere il posto privilegiato che ha conquistato a fatica. Anzi, è Buddy stesso quel volto deformato da un ghigno di chi a sua volta ha dovuto imparare a sopravvivere in quel terreno di guerra che sono gli Studios.

Barton Fink- è successo a Hollywood (1991) di Joel e Ethan Coen

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Il trattamento riservato dai fratelli Coen, i due registi e sceneggiatori geniali ed irriverenti, alla realtà hollywoodiana è spietato e si avvale del loro caratteristico humor nero, sempre efficace e disarmante. Barton Fink (John Turturro, ottimo caratterista) è un brillante sceneggiatore di Brodway a cui viene suggerito di “vendersi” ad Hollywood per guadagnare. Egli accetta di vedere svalutata la sua arte, ma incappa troppo presto nel blocco dello scrittore, dovuto forse ad un ripensamento, o meglio alla delusione di dover sottostare alle indicazioni di un produttore che gli affida una scontatissima storia sul wrestling, argomento, per altro, su cui Barton è davvero poco informato. La camera uggiosa, polverosa e claustrofobica è lo spazio della mente paralizzata di Barton Fink. La critica ad Hollywood arriva in maniera indiretta, attaccando la banalità delle storie proposte che attingono tutte dallo stesso canovaccio, tali da mettere in crisi la creatività degli autori. Il film è ambientato negli anni ’40, ma la mancanza di innovazione nell’industria cinematografica è oggi più che mai evidente. La pellicola si è aggiudicata la Palma d’oro, il Prix de la mise en scène a Joel ed Ethan Coen e il Prix d’interprétation masculine a John Turturro a Cannes e beh, niente ad Hollywood.

Mulholland Drive (2001) di David Lynch

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Un film oscuro ed inquietante -dunque un film di Lynch a tutti gli effetti- per narrare la storia di Betty (Naomi Watts), un’aspirante, talentuosa attrice che arriva ad Hollywood piena di aspettative e ancora felicemente abbandonata alle sue ingenue fantasie su un mondo patinato e scintillante che non conosce affatto. Che Betty sia tutto questo è l’unica certezza dello spettatore che segue con difficoltà, ma non senza quel genere di interesse o curiosità morbosa che è in grado di costruire un regista come Lynch, maestro nel creare atmosfere inquietanti e irreali con una sapiente combinazione di morbidi movimenti di macchina e cupe colonne sonore, strizzando l’occhio a improvvise apparizioni sullo schermo di mostri così simili alle nostre sciocche paure infantili. Essendo ignota, tanto per Betty quanto per lo spettatore, l’identità dell’altra protagonista del film che si fa chiamare Rita (Laura Harring) e che ha perso la memoria in seguito ad un incidente stradale, lo spettatore segue la vicenda di Betty, acquisendone il punto di vista in quanto unico personaggio sicuramente positivo. Eppure, proprio quando ognuno sembra aver trovato la sua personalissima chiave interpretativa di un film senza dubbio enigmatico, Lynch prende in giro lo spettatore ricordando che la realtà è il luogo dell’oggettività, fredda, spietata, ostile, con un rovesciamento dei ruoli delle due protagoniste che lascia interdetti e ribadisce la superiorità del regista rispetto al suo pubblico. Naomi Watts è perfettamente a suo agio nell’interpretare dunque ben due ruoli, dando una grande lezione di recitazione.

I protagonisti (1992) di Robert Altman

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Altman è feroce nella sua critica cinica e corrosiva al mondo dell’industria cinematografica, terra di mezzo tra il compromesso strategico e l’inganno ben congegnato, ambientazione perfetta dunque, per il background che offre, per un thriller mozzafiato. Griffin Mill (Tim Robbins, premiato a Cannes come miglior attore, è il dirigente di una major il cui compito è evitare che qualche sceneggiatura troppo brillante, troppo deprimente o troppo impegnata arrivi ad Hollywood. La calma glaciale con cui Griffin esercita il suo ruolo temuto, anzi detestato dagli altri protagonisti, lascia progressivamente posto ad uno stato di inquietudine e malessere dovuto alla tensione crescente nell’ambiente che circonda Griffin e che egli percepisce come sempre più estraneo e crudele, arrivando forse a comprendere le frustrazioni di chi lo minaccia e che fino a quel momento ha conosciuto solo rifiuti. Griffin è un antieroe figlio del suo tempo ed interprete a suo modo della crisi di Hollywood che, da tempo, ai contenuti preferisce lavoretti mediocri più facilmente inseribili nel circuito commerciale.

Il bruto e la bella (1952) di Vincente Minnelli

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“Un film onesto” lo ha definito Kirk Douglas che nel film interpreta Jonathan Shields, un produttore che è disposto a sacrificare i suoi legami affettivi e ferire i sentimenti degli altri, lui che non ne ha mai provati di autentici.

“Io non voglio vincere premi, voglio dei film che finiscano con un bacio e facciano dei soldi”. Questa la morale del produttore Harry Pebbel (Walter Pidgeon) destinata a diventare la stessa di Shields.

Fred Amiel (Barry Sullivan), Georgia Lorrison (Lana Turner) e James Lee Bartlow (Dick Powell) sono rispettivamente un regista, un’attrice ed uno sceneggiatore che vengono ingaggiati per collaborare con Shields, un’ultima volta ora che il produttore è in rovina. Ciascuno dei tre porta rancore nei confronti di Shields, motivo per cui tutti preferiscono declinare l’offerta di collaborazione con ostinazione e disprezzo. Tre flashback indagano il passato dei protagonisti con Shields, ma il vero pregio del film, oltre alla recitazione magistrale, è l’aver messo in luce il ruolo determinante del produttore per la realizzazione di un film che è in questo caso pesantemente invadente al punto da entrare nella vita privata degli altri personaggi e, in qualche modo, traumatizzarla.

Tropic Thunder (2008) di Ben Stiller

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Tre superstar del cinema, megalomani e capricciose, devono girare un film di guerra insieme, uno dei tanti su cui Hollywood investe buona parte dei suoi capitali. Purtroppo la guerra, gli attori, se la fanno tra loro rallentando le riprese ed esasperando il resto della troupe. Il giovane ed inesperto regista inglese e l’autore del bestseller da cui sarà tratta la pellicola, decidono di portarli in un vero e proprio territorio di guerra, immergendoli in una giungla che gli attori non sono in grado di distinguere da un set cinematografico. Tra trafficanti di droga e guerriglieri asiatici, emerge decisa e spietata, anche se impostata come parodia -un valore aggiunto, più che una limitazione-, la critica contro Hollywood: un contesto disumanizzante, quasi più della guerra stessa. Produttori che accettano di sottoporre gli attori a prove di sopravvivenza e di vedere il loro regista saltare in aria per una mina inesplosa piuttosto che rinunciare al progetto -ovvero agli investimenti- e attori che da parte loro sono disposti a tutto per conseguire l’Oscar. Una commedia politicamente scorretta ed esilarante, incentrata non sulla critica alla guerra (per conoscere i migliori film contro la guerra clicca qui), ma sulla denuncia di tutto quello che quotidianamente deve affrontare chiunque sia coinvolto in un progetto cinematografico a Los Angeles.

Viale del tramonto (1950) di Billy Wilder

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Eccomi, De Mille, sono pronta per il mio primo piano

Titolo intriso di nostalgica decadenza che è già un’immagine dallo straordinario potere evocativo da cui partire per raccontare questo film. La Sunset Boulevard, oltre ad essere stata la via attraversata dalle stelle più splendenti di Los Angeles, è quel che resta della strada che ha condotto Norma Desmond (Gloria Swanson, folle e meravigliosamente brava) al successo. Ex diva del cinema muto, Norma aveva toccato le corde del cuore di ogni singolo spettatore con le sue interpretazioni senza parole, di soli intensissimi primi piani. Ma Hollywood è, nella visione di Wilder, una macchina da soldi infernale in grado di rigirare a piacere le sorti di chi, per tutta la vita, si è nutrito di ambizione e popolarità per sopravvivere il più a lungo possibile in un mondo nel quale non si è mai stati veramente indispensabili. Quando il mercato del cinema si rinnova, Norma resta infatti senza occupazione, in uno stato di straniante isolamento, non più richiesta ora che le dive sono diventate altre e “altro” rispetto a quello che Norma incarnava.

Un noir amaro che riflette sulla precarietà di certe situazioni esistenziali, rese ancora più effimere da contesti esasperanti come Hollywood che lasciano gli animi molli, svuotati da ogni passione, vacillare tra la pazzia e il rimpianto, predisposti alla morte o al delitto.

A che prezzo Hollywood? (1932) di George Cukor

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Prima pellicola metacinematografica eppure meravigliosamente moderna. Mary (Constance Bennett, incantevole nella sua interpretazione vibrante di sentimento) è una small town girl che da cameriera sogna di diventare una diva del cinema. Il brillante regista Max sarà il suo pigmalione, ma il successo di Mary e quello di Max hanno ritmi sfasati: la prima conquista le più importanti sale cinematografiche del tempo, mentre il secondo precipita nel vortice dell’alcol e della depressione che ne segnano inesorabilmente il declino. È una storia di affetto commovente tra i due protagonisti che non si abbandonano mai e che rappresentano un’eccezione in quel mondo condannato con intelligenza ed arguzia e anche con una giusta dose di ironia dissacrante.

Il grande regista (1989) di Christopher Guest

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Nick Chapman (Kevin Bacon) è un giovane regista pieno di entusiasmo e aspettative nei confronti del cinema in cui egli crede di poter vedere realizzato e riconosciuto il suo talento. Un produttore nota il potenziale del ragazzo e decide di sfruttarlo al meglio, ovvero di stravolgere la trama pensata da Nick per renderla più adatta al pubblico disimpegnato e distratto di Hollywood, dove tutti i progetti devono sottostare alla logica del facile profitto per rientrare nei budget. Un film sulle ambizioni deluse del regista che ha rinunciato a lavorare per lo Studio di Allen Habel perché sedotto da quello che prometteva essere “la fabbrica dei sogni” e che invece è un incubo infernale.

Come eravamo (1973) di Sydney Pollack

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Hollywood sconvolge prepotentemente la vita di Hubbel Gardiner (Robert Redford) e la sua vicenda sentimentale con Katie Morosky (Barbra Straisand, in un’interpretazione intensa e appassionata) già estremamente complicata dal diverso temperamento e dai diversi ideali dei due. Lei ragazza ebrea e comunista impegnata in una lotta al maccartismo, lui scrittore di successo, conservatore. La politica è come l’amore, dunque prevedibilmente Katie è determinata e passionale, Hubbel più disposto al compromesso. Ed è la debolezza di quest’ultimo ad attirarlo nella trappola di Hollywood che con le sue meschinità ed ipocrisie ricompensa le sue vittime con una vita agiata, ma priva di stimoli.

Testo di Francesca Menna