Young Hearts: recensione del film dalla Berlinale 2024

In concorso nella sezione Generation Plus della 74ª edizione del Festival internazionale del cinema di Berlino, Young Hearst è l'ultima opera del regista belga Anthony.

La 74esima edizione della Berlinale, l’evento cinematografico iniziato lo scorso 15 febbraio presso lo Zoo Palast di Berlino, ha in concorso quest’anno diverse chicche, tra queste l’ultimo lungometraggio del belga Anthony Schatteman, Young Hearts.
Toni morbidi e atmosfera tenue dalla fotografia alla regia – che manca di audacia e non spinge abbastanza in creatività e tecnica – Young Hearts si rivela un’opera che porta sullo schermo una storia forte, con del potenziale narrativo evidente, ma non la racconta con altrettanta intensità visiva e argomentativa.

Young Hearts, la trama in breve: ecco di cosa parla il film di Anthony Schatteman

Elias (Lou Goossens) è un ragazzo di tredici anni che vive in una famiglia il cui protagonista assoluto è il padre, un cantante pop famoso a livello locale e nazionale. A metà dell’anno scolastico, nella vita di Elias subentra Alexander (Marius De Saeger), un ragazzo di Bruxelles che da subito stringe un rapporto con il coetaneo, ma si dimostra molto diverso per indole e personalità. Elias è timido e insicuro, Alexander è estroverso, ha carisma e nonostante la giovanissima età sa già molto di se stesso: il ragazzo di Bruxelles è gay e racconta a Elias della sua ultima storia d’amore. Nonostante non riesca a negare a se stesso i sentimenti che giorno dopo giorno maturano in lui nei confronti di Alexander, Elias non riesce a fare coming out e rimane attanagliato nelle proprie paure. Una persona a Elias molto cara, però, sarà in grado di far capire al ragazzo che non serve a nulla razionalizzare quanto più possibile i sentimenti, rinnegarli è più difficile che arrendersi ad essi vivendoli appieno.

Young Hearts, look nostalgico e charme amatoriale (e autoriale)… Ma che occasione sprecata!

I nostalgici dei romance adolescenziali e dei teen drama Anni Duemila saranno entusiasti di ritrovare in Young Hearts quella patina così edulcorata, i toni tenui e la luce uniforme che abbraccia tutta la scena, con pochi contrasti, che fa tanto Dawson’s Creek o La vita di Adele. Peccato, però, che a discapito dell’apprezzabile look amateur e da cineasta indipendente che Schatteman dona alla pellicola, Young Hearts di difetti non sia privo, anzi, l’ultima opera del regista belga soffre di mancanze che si sentono in primis nella sceneggiatura e che avrebbero fatto fare quel salto di qualità a un film che in questo modo non può che restare mediocre.

Il tema trattato in Young Hearts, la scoperta dell’identità sessuale da parte di un quattordicenne che si innamora di un suo coetaneo – già apertamente gay – e la successiva necessità di poter fare coming out per vivere la relazione senza nascondersi, è indubbiamente un argomento significativo e attuale che merita di essere esplorato, anche dal cinema meno sensazionalistico e anche in chiave più indie.

Tuttavia, Schatteman aveva diverse possibilità di portare alla cinepresa la storia di questi due giovani ragazzi che attraversano la tempesta adolescenziale emotiva, psicologica e ormonale immersi in dinamiche voraci quali i rapporti familiari, le amicizie, le interazioni con il mondo esterno. Ma Young Hearts di Elias e Alexander dice tutto e niente: i personaggi sono poco o nulla caratterizzati, i dialoghisti si sono impegnati poco per dare voce agli attori in un continuo e interrotto flusso di concetti stucchevoli, banali fino al midollo, espletati sopra una struttura tecnica e una regia elementari e monocorde. Il risultato? Un impatto emotivo compromesso e una grande limitazione di un racconto che aveva sicuramente maggior potenziale.

Il finale è forse la parte più controversa di Young Hearts: dopo alcune scene in cui Schatteman prova a empatizzare con lo spettatore, con tanto di love songs e timidissimi baci tra Elias e Alexander, le ultime scene di Young Hearts ci servono un epilogo fiabesco, tanto auspicabile quanto improbabile. La famiglia – l’intera famiglia, a partire dal nonno per arrivare ai fratelli – di Elias che a braccia aperte accoglie il ragazzo del figlio appena 13enne in un “hey, sei gay, che problema c’è! Ti amiamo così come sei” è qualcosa che tutti vorremmo sapere accadere in qualsiasi nucleo familiare in cui qualcuno ha il coraggio e il bisogno di fare coming out sulla propria identità sessuale, ma in questo modo Schatteman comunica nel modo sbagliato.

Se è vero che il film sembra rivolgersi più alle vecchie generazioni che alla late GenZ, cercando di trasmettere un messaggio di accettazione e amore incondizionato (“ecco come dovreste comportarvi quando i vostri figli rivelano se stessi, dovreste incoraggiarli ad accettarsi e amarli incondizionatamente”) è innegabile che lo fa con troppo poco impegno. Ci sono così tanti tratti dati a pennellate leggere nella sceneggiatura e nella narrazione in senso ampio di Young Hearts che il risultato è solo un quadretto da spot Barilla davvero (molto) poco credibile.

Ma diamo un attimo uno sguardo al contesto sociale attuale della comunità LGBTQ+ in Belgio per capire meglio il paradosso che porta Young Hearts a svalutarsi da solo: la nazione europea è una delle più “avanti” sul tema, tanto che lo stesso personaggio di Alexander è figlio di una coppia omosessuale (in Belgio le adozioni omosessuali sono legali dal 2006), una vera e propria pioniera dei diritti della comunità LGBTQ+ in tutta Europa tanto da aver vietato la cosiddetta “terapia di conversione” – e sì, per trasparenza di cronaca, in Italia è ancora una pratica legale. Young Hearts poteva quindi osare di più ed essere un film più audace, più bold, sotto vari aspetti? Assolutamente sì. Schatteman aveva a disposizione un soggetto interessante per la platea europea e la possibilità di dar voce a una realtà che nella nazione di produzione è più civile che in altri Paesi, con un’autorevolezza e una solidità notevoli che avrebbero dato maggiore credibilità al suo storytelling e avrebbero potuto parlare con molta più forza narrativa ed emotiva al pubblico internazionale. Occasione sprecata, peccato: Young Hearts sfiora il cielo, ma non spicca il volo.

Young Hearts: valutazione e conclusione

Una storia d’amore queer adolescenziale trattata con un approccio quanto più delicato possibile, che diventa pregio e difetto della stessa opera di Anthony Schatteman, al suo primo lungometraggio dopo una serie di corti.

Ricca di scene cliché del genere, la pellicola di Schatteman si inserisce in una panorama filmico da “film per famiglie” ed è capace di rivolgersi sia agli spettatori più giovani, che alla generazione genitoriale ma non sfrutta al massimo il potenziale e dalla regia e dalla sceneggiatura tutta. Il regista, d’altronde, ha dichiarato di aver voluto realizzare un film che potesse essere visto “anche da un bambino di otto anni”, motivo per cui, se guardato da questo punto di vista, Young Hearts resta un’opera di formazione per il pubblico di giovanissima età, non ancora maturo emotivamente per scene del calibro di Moonlight o Boys Don’t Cry.

Regia - 3
Sceneggiatura - 2.5
Fotografia - 3
Recitazione - 3
Sonoro - 3
Emozione - 2.5

2.8