Viva a Vida: recensione della pellicola brasiliana Netflix
Viva a Vida, una commedia brasiliana ricca di colpi di scena e guizzi originali che colpisce il pubblico dritto al cuore.
Nell’oceano sempre più affollato delle commedie drammatiche targate Netflix, Viva a Vida! emerge come un film sommesso e autentico, un’opera che non ha paura di rallentare, di lasciare spazio al silenzio, di guardare negli occhi le sue domande. Diretto dalla regista brasiliana Cris D’Amato, già nota per aver esplorato l’universo femminile in chiave pop, il film abbandona i toni frizzanti per approdare a una dimensione più intima, spirituale, persino contemplativa. Una scelta coraggiosa che si traduce in una narrazione tutta costruita sul “non detto”, sullo spazio tra le parole, sulla tensione gentile tra ciò che ci è stato nascosto e ciò che siamo pronti a scoprire.

Al centro della storia troviamo Jéssica, interpretata con misura e profondità da Thati Lopes, che qui si sveste della sua solita ironia per affrontare un ruolo di intensa vulnerabilità. Jéssica è una donna apparentemente risolta: gestisce un negozio di antiquariato, ha una vita sentimentale stabile, eppure porta dentro di sé una crepa, un’assenza non nominata. Alla morte del padre, scopre un oggetto dimenticato – un medaglione –, che diventa la chiave d’accesso a una verità taciuta: la madre biologica che l’ha messa al mondo era un’altra donna, e le sue radici affondano in una storia mai raccontata.
Il film si trasforma allora in un viaggio alla ricerca dell’origine, un pellegrinaggio laico che la conduce fino in Israele. Ma non c’è nulla di pittoresco o turistico in questa trasferta: Gerusalemme, Tel Aviv, i paesaggi desertici non sono mai solo scenari, ma piuttosto riflessi del tumulto interiore che agita la protagonista. La regia di D’Amato è quieta, quasi invisibile: lascia parlare le architetture antiche, i silenzi dei vicoli, la luce che filtra tra i muri bianchi come se portasse con sé una risposta sussurrata.
Viva a Vida: il peso delle assenze e la voce delle radici

Viva a Vida! ha l’incredibile capacità di raccontare il dolore senza mai renderlo melodrammatico. Il passato non è mai catastrofe, ma eco sottile; le assenze non sono grida, ma bisbigli che risuonano nella memoria. Rodrigo Simas, nei panni dell’uomo che accompagna Jéssica nel suo percorso di ricerca, rappresenta quella dolcezza che non salva, ma sostiene: è una figura maschile finalmente non invadente, non protagonista, ma lì per ricordare che la scoperta di sé è un processo anche condiviso.
E poi c’è lui, Jonas Bloch, nel ruolo del rabbino: enigmatico, sereno, capace di rendere con uno sguardo solo tutta la saggezza di chi ha imparato a convivere con il mistero. Il dialogo tra Jéssica e il rabbino è uno dei momenti più poetici del film, una scena costruita sull’ascolto, sull’accettazione, sulla consapevolezza che non sempre si ha bisogno di tutte le risposte per potersi sentire interi.
L’altro volto materno, quello di Regina Braga, appare in brevi flashback, ma lascia un’impronta profonda. È la madre che ha taciuto per amore, per paura, per protezione: e il film non la giudica, non cerca colpevoli. Preferisce muoversi nel territorio più difficile e raro: quello della comprensione, anche quando fa male.
Una spiritualità sottile e universale

Nonostante la cornice religiosa del film, Viva a Vida! non è un’opera confessionale. Anzi, la sua spiritualità è laica, inclusiva, universale. Si interroga sul significato dell’identità, sull’eredità che ci portiamo dentro senza nemmeno sapere da dove provenga. Ed è forse questo il tratto più riuscito della sceneggiatura: non cadere mai nella trappola del predicozzo, ma anzi lasciare che le domande risuonino libere, senza essere costrette in una morale.
La fotografia ha un ruolo fondamentale nel restituire questa dimensione sospesa. I colori caldi del Brasile si spengono progressivamente nei toni neutri della terra israeliana, come a rappresentare un’umanità che si spoglia delle sue certezze. Gli oggetti – i libri, i gioielli, le lettere – diventano punti di contatto con chi eravamo, chi siamo e chi potremmo ancora diventare.
Il titolo, Viva a Vida!, è tanto ironico quanto profondo: è un invito, ma anche una constatazione. La vita, per essere vissuta pienamente, va conosciuta nelle sue contraddizioni, nelle sue origini, nei suoi vuoti. Va guardata in faccia anche quando fa male, perché solo attraversando il dolore si può davvero scorgere la luce.
Viva a Vida!: conclusione e valutazione
In un tempo in cui il cinema cerca spesso di colpire, stupire, provocare, Viva a Vida! fa una scelta diversa e coraggiosa: si limita ad accompagnare. Non forza, non esplode, non pretende. Ma si insinua, si prende cura dello spettatore, gli lascia spazio. È un film che respira con te, che non ti dice cosa pensare, ma ti invita ad ascoltare quel che dentro di te già sapevi.
Perfetto per chi ha voglia di fermarsi, di interrogarsi, di attraversare il tempo senza fretta. Una piccola perla di sensibilità che – come le storie più autentiche – si lascia ricordare senza fare rumore.