Via Don Minzoni n. 6: recensione del film di Andrea Caciagli

Un viaggio intimo e personale che riguarda ciascun essere umano.

Quando qualcuno muore c’è un momento impercettibile e ingovernabile in cui chi resta sente di perdere non solo la persona che se ne va ma anche una parte di sé. Accade questo ad Andrea, protagonista di Via Don Minzoni n. 6 (prodotto da Laura Catalano per 8 Production, distribuito da Emera Film), primo lungometraggio di Andrea Caciagli, al cinema dal 22 febbraio 2024. Il protagonista del film, Andrea Ceccanti (interpretato da Francesco Gaudiello), 28 anni, passa l’ultima notte nella casa dei nonni in Via Don Minzoni n.6 in cui è cresciuto. La casa, dopo la scomparsa della nonna, deve essere venduta e lui ha il compito di consegnare le chiavi ai nuovi proprietari la mattina successiva. In quelle ultime ventiquattrore il protagonista cresce, saluta il bambino che passava le giornate assieme ai nonni, agli amici di sempre, e entra definitivamente nell’età adulta.

Via Don Minzoni n. 6: lo sguardo misurato di Caciagli per una storia di lutto e crescita

Un tavolino verde su cui troneggiano mazzi di chiavi e due uomini, seduti l’uno di fronte all’altro, padre e figlio. Uno consegna, l’altro prende. Andrea è pronto, aprire la porta di casa della nonna, mettere tutto, cose, avvenimenti, persone, dentro a numerose scatole e poi chiudere. Come in una favola, la porta si apre, quasi magicamente, e il protagonista è lì, immobile, pronto ad affrontare quel percorso di ricordo e malinconia, passare in rassegna ogni luogo, ogni angolo. Questo è ciò che fa Andrea.

Paolo: “Sono un nostalgico del cazzo”

Via Don Minzoni n. 6 è un viaggio nostalgico dall’infanzia all’età adulta, un amarcord dove ogni cosa, ogni elemento d’arredo assume un significato, si fa percorso di formazione, o per meglio dire di maturazione, commovente e sincero. Andrea ha bisogno di quel tempo per lasciare andare, ricordare e anche, perché a volte serve, dimenticare ciò che ha fatto male, riposizionare tutto in fila con rigore (le macchinette del  caffè, i libri messi in ordine in modo maniacale, la porta che dà sul giardino e due sedie, di plastica, bianche) per poi salutare anche un parte di sé. C’è però una cosa che deve assolutamente trovare: una scatola blu, balsamo per l’anima e chiave per metabolizzare ogni cosa. La scatola è importante, chiede a chiunque incontri, alla vicina, agli amici, anche a se stesso, dove possa essere, lì dentro c’è un tesoro per lui e per la nonna, oggetto-legame che li ha uniti e li unirà sempre.

La casa dell’infanzia, dove ha giocato a carte, si è sbucciato le ginocchia, ha portato gli amici, ha iniziato ad amare il cinema – nella sta stanza ci sono cimeli del percorso/viaggio nella settima arte -, è un personaggio del film, pronta ad un dialogo muto ma potentissimo con il protagonista e anche con lo spettatore

Caciagli conosce ciò che racconta perché è anche la sua storia, ci sono punti di contatto tra lui e quell’Andrea fatto di celluloide, parole e silenzi, proprio come il protagonista del film, si è scontrato con la necessità di affrontare una perdita (della nonna, delle memorie della casa venduta), entrambi devono metabolizzare un lutto ma anche affrontare un momento di crescita. Il regista usa uno sguardo misurato per narrare il peregrinare del protagonista perché per far entrare lo spettatore nell’intimità della perdita non serve molto più di così, i movimenti di macchina sono ridotti al minimo perché potrebbe diventare patetico aggiungere, caricare una storia di lutto. Per questo è sufficiente seguire in rigoroso silenzio o scegliere le parole giuste.

Via Don Minzoni n.6: un viaggio intimo e personale che riguarda ciascun essere umano

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Signora Gina: “Il tempo nini mio, il tempo c’ammazza a tutti”

Elemento fondamentale è il tempo, acqua ragia per le cose brutte ma anche crema addolcente per lenire gli strazi del cuore, schermo dietro al quale ci si può nascondere (quel “non avere tempo” che a volte è salvifico). Lui, adulto, guarda le fotografie di quando era piccolo in braccio alla nonna, o mentre aspetta di soffiare sulle candeline per festeggiare il suo compleanno. Andrea è testimone e spettatore di quanto tutto scorra, di quegli anni belli e amari insieme, “le patate arrosto della nonna”, “la semifinale del 2006”, “le cene d’estate sotto il gazebo”, “il dondolo”, “le battute sconce del nonno”, “la padella verde dell’uovo al tegamino”. Compone questa lista di ciò che non può e non deve dimenticare.

In una sovrapposizione di immagini, quando lo spettatore vede l’uomo giocare a calcio, percepisce anche il piccolo Andrea, quando cammina per le stanze, a camminare è anche il bambino. Il regista gioca con i piani, li lega insieme con delicatezza, basta uno sguardo, un parola. Caciagli inserisce video di famiglia che arricchiscono di emozione e sentimento il racconto senza calcare mai troppo la mano e lo spettatore viene accompagnato in questo percorso e pensa al proprio passato e presente. Via Don Minzoni n.6 è un tenero racconto, profondamente umano, di quanto sia difficile ma necessario porre tutto negli scatoloni e partire per un nuovo “viaggio”, è un percorso intimo, personale – e inevitabilmente universale – fatto di fotografie, musiche, video e ricordi che acquista sempre più profondità e calore, di minuto in minuto.

Via Don Minzoni n.6: il racconto di una generazione tra paure e ansie del futuro

Andrea: “Ho solo paura che da un momento all’altro mi crolli tutto addosso”

Andrea, tra i vari scaffali, trova anche uno dei suoi giochi, una casetta che sta in bilico su un piccolo omino in plastica che la regge, lui è proprio così ed ha paura che tra poco tutto ciò che è stato si disperda. Tra quelle mura è cresciuto ed ora, perso quel luogo in cui tornare, il futuro è un po’ più incerto, c’è bisogno di un proprio luogo, della propria strada.

Per dire addio, almeno fisico, alla casa e a tutto ciò che rappresenta, Andrea chiama gli amici per passare la serata insieme; ci vuole un saluto degno. Così, quattro chiacchiere, una partita a poker, tradizione che morirà con la vendita della casa, riflessioni sull’oggi, le ore passano e si avvicina sempre più il momento.

Quella che sembra quasi una cronistoria del rapporto nipoti-nonni, della relazione speciale che spesso li unisce, diventa qualcosa di diverso, il racconto di una gioventù che si sta costruendo, una riflessione su quanto sia difficile crescere, diventare grandi, lasciare la casa per crearne un’altra. Caciagli grazie a questi momento non scorda l’ironia, anche feroce, un lieve cinismo che fa essere scomodi assieme agli amici e a chi si vuol bene (“accidenti, non c’è più niente qui, che tristezza”, “se mi cadono le pizze, qui è un lutto”), e intanto fa emergere paura (di non riuscire a fare e ad essere ciò che si desidera ) e tristezza (di chi si rende conto che non è semplice), ansie e errori propri della loro età.

Via Don Minzoni n.6: conclusione e valutazione

Via Don Minzoni n.6 _Cinematographe.it

Via Don Minzoni n.6 è una storia che accomuna ciascuno di noi portando a galla i ricordi, è un film sulla perdita e sulla crescita che riesce con memorie, lettere scritte a mano, canzoni, fotografie e video di famiglia a condurre lo spettatore nel mondo di Andrea e anche un po’ nel proprio. Si percepisce chiaramente tutto ciò che ha abitato quelle stanze e ci si sente grati di poter essere parte, anche se per un breve istante, della vita della casa in Via Don Minzoni. La sensazione è quella di essere con il protagonista, mentre cerca (la scatola blu, un po’ di pace, cosa mettere in “valigia”) e compone un memorandum, mentre guarda le fotografie e ripensa. Il film di Caciagli sa dosare bene dolore e malinconia ed anche risate e tenerezza per ciò che tra quelle stanze è accaduto, ed è capace di aprirsi mostrando anche il suo lato più delicato e addirittura onirico. A sostenere la storia c’è il bravo Francesco Gaudiello, Andrea nel film, in grado di interpretare bene smarrimento e paura di chi ha perso qualcuno, dolore frenato e bisogno di smettere di trattenersi. L’Andrea di Gaudiello abita lo spazio in modo da dare l’impressione di essere ben piantato a terra, forte, come se nulla possa scalfirlo, quindi il suo viaggio acquista più senso perché il suo piegarsi ha un valore ancora più profondo. Ad un certo punto della narrazione, lo sguardo si ribalta, non è più Andrea a sfogliare i ricordi, ma è lo spettatore a guardare lui nel momento forse più importante e Gaudiello è bravissimo a sostenere l’inquadratura. Il bagaglio emotivo di Via Don Minzoni n.6 viene consegnato con delicatezza e rispetto, grazie anche allo sguardo del regista, in grado di spiegare tutto senza lasciarsi andare a facili patetismi, dando profondità e valore a cose, persone, volti e parole.

Regia - 4
Sceneggiatura - 4
Fotografia - 3.5
Recitazione - 4
Sonoro - 3.5
Emozione - 4

3.8