Veloce come il vento: recensione

Genere e presenza autoriale in un montaggio serrato e Veloce come il vento: narrazione e action si sposano alla perfezione nel nuovo film di Matteo Rovere.

Nostro Signore del sangue che corre nel buio delle vene, reggi il mio braccio sul volante. regola la forza dei miei piedi su acceleratore e freno. proteggimi e fa che niente mi accada

Una preghiera sussurrata a denti stretti, con le labbra premute contro un casco che potrebbe sembrare scomodo da indossare per una ragazza di 17 anni, una di quelle liceali con la messa in piega sempre perfetta e un guardaroba mozzafiato. Ma la Giulia De Martino protagonista di Veloce come il vento, interpretata da un’esordiente Matilda De Angelis (Tutto può succedere), è quanto di più lontano ci si possa immaginare. Figlia d’arte, Giulia è una ragazza emiliana, nonché promettente pilota GT, alle prese con una vita per nulla facile.

Veloce come il vento

Matilda De Angelis

Cresciuta senza madre (scappata in Canada qualche anno prima che la narrazione abbia inizio), la morte del padre la catapulta in una situazione critica: alle prese con i debiti contratti per avere la possibilità di gareggiare, e con Loris: il fratello maggiore tossicodipendente tornato a casa dopo anni di assenza, lo stesso che la allenerà per renderla invincibile (?) alla guida della sua sfrecciante Porsche. A vestire i suoi panni, un inaspettato Stefano Accorsi (Radiofreccia, 1992).

Veloce come il vento

Stefano Accorsi

Due interpreti magnifici, tanto discordanti quanto complementari, avvalorano il lavoro di scrittura compiuto dal regista Matteo Rovere (Un gioco da ragazze, Gli sfiorati) insieme a Filippo Gravino e Francesca Manieri. Non esattamente una passeggiata: la sceneggiatura è il risultato della fusione di decine di testimonianze raccontate da persone per le quali il pericolo della velocità è molto più che uno sport, qualcosa di più simile a uno stile di vita; anzi, un vero e proprio bisogno. Tonino Dentini (Paolo Graziosi sul grande schermo) è stato il narratore più prolifico per la produzione di Veloce come il vento che, dopo la sua scomparsa nel 2014, ha ritenuto doveroso dedicargli la pellicola.

Veloce come il vento: una combo incalzante di spettacolarità e narrazione

Dopo il grande successo di pubblico riscosso da Lo chiamavano Jeeg robot (con annesse le 16 nominations ai David di Donatello), Veloce come il vento si inscrive perfettamente nella nuova ottica di un cinema italiano sempre più di genere, spettacolare, incalzante, accattivante. Tanto vale prenderne atto, evitando di disperarsi per quella che si prevede essere l’annunciata morte dell’autorialità alla quale siamo tanto affezionati. L’una non esclude l’altra e Matteo Rovere ha saputo dimostrarlo (così come Mainetti).

Veloce come il vento

Matteo Rovere

Il regista 34enne ha azzardato, Domenico Procacci della Fandango è stato l’entusiasta produttore che ha reso tangibile qualcosa che, altrimenti, sarebbe stato di difficile realizzazione per un’industria come la nostra. Le riprese ad alta velocità sono state tutte eseguite dal vero, di effetti speciali neanche l’ombra. Ed ecco che un’intera generazione di stuntmen sono tornati in patria per un film in cui l’adrenalina scalpita per farsi posto tra il pubblico. Il capo-stunt Diego Guerra ha rivalorizzato un ruolo che nel nostro paese non trovava così tanto spazio da ben 40 anni.

I colori vivi voluti dal DOP Michele D’Attanasio e il sonoro totalmente avvolgente di Angelo Bonanni, uniti in simbiosi da uno straordinario montaggio di Gianni Vezzosi, ci immergono nella storia fino a convincerci fermamente che:

Vacca Boia lo vinciamo noi, il campionato, oh!

Sì, perché altro elemento fondante è il dialetto emiliano, quello con cui tutti gli interpreti del film non hanno avuto difficoltà a rapportarsi perché è lo stesso della terra dalla quale provengono.

Dopo essere stato scelto da The Space e UCI Cinema per la terza edizione del progetto “Adotta un film” (dopo Smetto quando voglio e Se Dio vuole), Veloce come il vento è pronto a debuttare e a tagliare il traguardo in sala il 7 aprile, senza dimenticarsi di effettuare un pit stop al BIF&ST (Bari international film festival – giunto alla settima edizione) il 4 aprile.

Regia - 4
Sceneggiatura - 3.5
Fotografia - 4
Recitazione - 4
Sonoro - 4.5
Emozione - 3.5

3.9