Unfriended: Dark Web – recensione del film

Unfriended: Dark Web riprende la struttura narrativa del capitolo precedente del 2014 inserendo politica, satira e un citazionismo autoreferenziale semplice ma efficace

Dopo un discreto ritardo nella distribuzione cinematografica Unfriended: Dark Web arriva nelle sale italiane per la regia dello statunitense Stephen Susco. La pellicola si presenta come un sequel concettuale dell’omonimo film del 2014 di cui conserva la matrice strutturale dell’opera senza rinunciare a una graduale evoluzione della sceneggiatura; questo singolo aspetto, estrapolato dal contesto filmico, costituisce di per sé un plauso all’intelligenza editoriale della Blumhouse, casa di produzione del film.

Dopo il successo di pubblico del film del 2014 (capace di incassare al botteghino 64 milioni di dollari a fronte del costo produttivo di 1 milione) sarebbe risultato comprensibile cadere nella fretta editoriale di dirigere un sequel per ripetere l’esito commerciale del primo capitolo. Con Unfriended: Dark Web Jason Blum ha scelto di aspettare che il rapporto sociale tra il pubblico fruitore e il mondo digitale di internet cambiasse per evitare una copia carbone del primo film.

In Unfriended: Dark Web il giovane Matias O’Brian trova un portatile Mac incustodito e decide di appropriarsene, felice di sostituire il suo vecchio e lento laptop. Il vero proprietario cercherà di tornare in possesso del computer sfruttando la pericolosità del lato oscuro di internet. La sceneggiatura appare estremamente lineare nello sviluppo narrativo degli eventi eppure questa rigida linearità non si rivela essere un difetto di scrittura: la narrazione è stata impostata per essere volutamente schematica e per presentare personaggi che compiono determinate azioni in maniera meccanica.

La sceneggiatura stessa mostra allo spettatore in sala di essere consapevole della sua schematica caratterizzazione; e reputo poeticamente intelligente una riflessione dialogica messa in scena per rappresentare questa consapevolezza. I personaggi del film interagiscono tra loro attraverso Skype e decidono di trascorrere la serata, durante la quale è ambientato l’arco narrativo del film, giocando a Cards Against Humanity (un gioco di carte a libera licenza basato sulla formulazione di frasi volutamente cariche di ironia e black humor); nonostante il gioco di carte sia solo un pretesto narrativo per introdurre i personaggi, la tematica sull’intrattenimento ludico di un passatempo (il regolamento, il ruolo dei giocatori, la modalità in solitario o in cooperativa di una partita,…) ritorna più volte nella pellicola: l’intelligenza della scrittura, cui precedentemente mi riferivo, nasce in un dialogo avviato dal personaggio di Damon (Andrew Lees) che in chiave metacinematografica paragona lo schematismo decisionale di un gioco alla linearità della sceneggiatura del film.

Unfriended: Dark Web – la pericolosità oscura di internet

Cards Against Humanity costituisce un collegamento ideologico tra Unfriended: Dark Web e la pellicola del 2014 dal momento che rivela il tentativo di rendere l’opera del 2018, a partire dai dettagli, più matura rispetto al capitolo precedente: nel primo film è ugualmente presente un gioco di gruppo, Never have I ever (gioco modellato su Truth or Dare, Obbligo o Verità); un passatempo decisamente più infantile rispetto al citazionismo politico e culturale alla base di Cards Against Humanity. Proprio la politica è un elemento fortemente presente nei dettagli che emergono dalle molteplici schermate digitali che appaiono sul desktop del protagonista della pellicola. Matias (Colin Woodell) inserisce molte password basate sui riferimenti mediatici della politica statunitense (talmente mediatici da essere diventati dei meme): feelthebern2020, in riferimento alla candidatura anti-Trump di Barnie Sanders per le presidenziali del 2020; letmein, slog virale collegato sempre all’ambito democratico di B. Sanders; covfefe, meme nato come risposta provocatoria sull’utilizzo discutibile dei social media da parte di Donald Trump.

La recitazione degli attori è paradossalmente un buon contraltare alla meccanica introspezione dei personaggi: il loro rigido agire è espresso, in modo diametralmente opposto, attraverso una recitazione carica di pathos in cui emerge una solida struttura teatrale che riesce a muoversi nel limite dell’overacting e della stereotipizzazione. In Unfriended: Dark Web alcune scelte registiche presentano il medesimo equilibro: le inquadrature sono ottenute attraverso il capture full-screen di un computer, una tecnica semplice ma non semplicistica dal momento che facilmente può creare confusione nello spettatore se gestita in maniera inconsapevole. Andrew Wesman in montaggio riesce a rendere comprensibile sia l’azione su schermo sia l’azione off-screen.

Unfriended: Dark Web – Han Solo contro la vittoria del potere di internet

Ritorna l’aggettivazione di meccanico, stavolta in campo sonoro. Unfriended: Dark Web è un fedele compagno per un nostalgico dell’analogico e del meccanico rumore di una macchina da scrivere perché presenta un sound design piacevole all’ascolto, dalla pressione delle lettere su una tastiera all’ovattato rumore del cursore su schermo. La colonna sonora sembra didascalicamente seguire i precetti di Dogma 95 perché lo spettatore può letteralmente osservare la soundtrack della pellicola tramite l’applicazione Spotify presente sul computer del protagonista; la prima canzone che apre il film è un piacevole sussulto per un cultore horror perché presenta in omonimia il titolo di una nota saga slasher, Wrong Turn. I rimandi al cinema orrorifico sono presenti anche attraverso l’utilizzo della fotografia: una scena presenta il medesimo contenuto informatico e il medesimo colore cobalto del thriller Nella rete del serial killer di Gregory Hoblit.

Unfrieded: Dark Web presenta una semplicità calcolata e consapevole, mai pretestuosa e seriosa; probabilmente l’intenzione è racchiusa in una citazione cinematografica presentata a inizio pellicola, “Han shot first” (il riferimento è alla polemica sul personaggio di Han Solo in Star Wars: Episodio IV – Una nuova speranza sollevata dai fan in occasione della riedizione del film nel 1997): viviamo in un mondo social in cui noi siamo il prodotto proprio come il pilota ribelle in balia dei fan di una saga cinematografica.

Regia - 3
Sceneggiatura - 3
Fotografia - 3
Recitazione - 3
Sonoro - 2.5
Emozione - 2

2.8