Un couteau dans le coeur: recensione del film di Yann Gonzalez

Il secondo film di Yann Gonzalez in concorso a Cannes e presentato in anteprima italiana al Festival MIX di Milano è una variazione cinefila sul genere thriller

Un Couteau dans le coeur, opera seconda del cineasta francese Yann Gonzalez, classe 1977, viene presentato in anteprima nazionale al Festival MIX di Milano, arrivato quest’anno alla sua 32° edizione. Complice lo scenario importante del Teatro Strehler, oltre che un impegno nel portare una programmazione che possa essere cinefila e al contempo trasversale, la rassegna di cinema gaylesbico e queer culture seleziona quest’opera già in concorso all’ultimo Festival di Cannes.

Milano intrattiene una sorta di rapporto privilegiato con i film del regista: il suo esordio nel lungometraggio, il sinuoso e crepuscolare Les rencontres d’après minuit (You and the night), aveva vinto il Milano Film Festival del 2013, che a sua volta teneva ad inserirlo in competizione dopo l’eco positiva proveniente, anche in quell’occasione, da Cannes.

Yann Gonzalez prosegue la sua indagine teorica e meta-cinematografica con una variazione sul genere-thriller: una regista e produttrice di film gay-pornografici nella Parigi degli anni ’70, interpretata da una filiforme Vanessa Paradis, si vede invischiata in una spirale di morte, poiché i suoi attori vengono uccisi uno dopo l’altro da un Freddy Kruger dal volto deturpato che fredda giovani omosessuali utilizzando un coltello nascosto in un fallo meccanico.

Un couteau dans le coeur: il film di Yann Gonzalez in concorso a Cannes

Basterebbe l’incipit della sinossi (anche se chi è familiare con l’autore non si stupirà) per delineare immediatamente le atmosfere di cui l’opera si nutre. Torna l’ossessione per il cromatismo notturno, enfatizzato qui dall’utilizzo di diversi formati di pellicola come supporto visivo: la grana torbida innerva l’immagine di ogni elemento necessario al citazionismo schietto di cui il film fa vanto. De Palma, Buñuel, Almodóvar, Fassbinder su tutti: i rimandi testuali si avvicendano in un’operazione metà cerebrale e metà allucinatoria, mentre l’omaggio lascia troppo spesso il passo alla derivazione.

L’estetismo smaccato si innesta di sovrimpressioni e parentesi oniriche sottolineate da sequenze in negativo (Anne continua ad avere sogni sul killer e sull’uccello esotico che lo accompagna), mentre siparietti volutamente comici e ridondanti della troupe sul set virgolettano l’incedere narrativo. La forza di Gonzalez è senz’altro l’atto registico tout-court: una scena d’apertura mozzafiato mette in campo tutto ciò che lo spettatore deve aspettarsi, in una sorta di auto-celebrazione (legittima) di un’eccelsa maniera di fare cinema.

Gonzalez lavora sull’estetica dei suoi personaggi dentro un mondo fisico, ma atemporale

Vanessa Paradis, nostalgica femme fatale, è un po’ ragazza con la parrucca bionda di Hong Kong Express (Wong Kar-wai) e un po’ Jeanne Moreau in Querelle De Brest (Fassbinder), di cui Gonzalez fa propria la massima: “Each man kills the thing he loves”. L’omicida i giovinetti nei quali rivede il proprio amante perduto da adolescente durante un incendio, Anne l’ex compagna-montatrice a cui sfregia a colpi di forbice la pellicola nel laboratorio, in un’ossessione-feticcio anch’essa mortifera e terminale. Netto infatti il fil rouge che percorre questo e il film precedente: la passione amorosa come movente, la passione amorosa come primato anche all’interno dell’artificio. Anne desidera disperatamente Loïs (Kate Moran), la rivuole indietro, ma incontra le reticenze della donna, decisa ad evitare le sue continue richieste d’attenzione.

L’identità autoriale di Gonzalez fatica a staccarsi dai suoi idoli e da una vocazione ludica che, tuttavia, egli prende troppo sul serio. Al di là di uno sguardo impressionante, emergono con evidenza le opacità di una scrittura tiepida; laddove il film sa scorrere senza sabotarsi, evidenza però l’impossibilità di un risvolto, che sia metaforico/simbolico o di contenuto, che lo faccia emancipare dalle sue stesse velleità. Se Les rencontres riusciva nella creazione di un microcosmo di memoria teatrale assolutamente malato, in cui la sessualità assurgeva a manifesto fluido ma certificante e le perversioni passavano attraverso mille spunti interpretativi, qui l’esercizio della finzione non riesce ad evocare davvero o a seguire nuovi tracciati d’indagine gender, se non quelli strettamente cinefili. Non è cosa di poco conto, comunque.

Knife + Heart (questo il titolo inglese) è nuovamente calato nelle ambientazioni sonore elettropop del duo francese M83 fondato dal fratello del regista, lido perfetto per la morbida tortuosità degli scenari al neon.

Non è possibile rimanere del tutto imperturbabili di fronte all’impatto degli scenari messi in campo da Gonzalez, eppure si ha la sensazione che al di là della potenza immaginifica ci sia (volutamente?) poco. O poco di nuovo.

Regia - 4
Sceneggiatura - 2
Fotografia - 4
Recitazione - 3
Sonoro - 3
Emozione - 3

3.2