Tutto è possibile: recensione del teen drama di Billy Porter

La recensione di Tutto è possibile, teen comedy di formazione che racconta un romance adolescenziale fra un ragazzo e una ragazza trans

Dal 22 luglio è disponibile su Prime Video, Tutto è possibile, debutto alla regia del cantante e attore, Billy Porter.
Per la sua prima volta dietro la sedia da regista, Porter ha scelto una commedia sentimentale di formazione che prende di petto i diritti LGBTQ+ e in particolare quelli legati alle persone trans.

La sceneggiatura di Tutto è possibile è di Ximena García Lecuona e racconta la storia di Kelsa (Eva Reign), una teenager afroamericana che ha fatto la transizione ed è all’ultimo anno di liceo. Kelsa è una ragazza sicura di sé, ha un vlog su youtube in cui parla della propria vita, due ottime amiche, la “diva” Em (Courtnee Carter), la simil-punk Chris (Kelly Lamor Wilson) e una madre single iperprotettiva (Renée Elise). Durante una lezione di arte, la ragazza si innamora, ricambiata, di Khal (Abubakr Ali), timido e gentile ragazzo musulmano con genitori egiziani. Da questo momento in poi il film ruota attorno alla costruzione della relazione fra i due e al tentativo di Kelsa di comprendere come vivere a pieno la propria identità trans, senza dover per forza farne il centro delle proprie relazioni. I problemi non mancano però, poiché anche Em è innamorata di Khal e Otis (Grant Reynolds), il migliore amico del giovane, si rivela omofobo e transfobico.

Tutto è possibile: un teen drama ricco di cliché

Già da questa breve sinossi si può dedurre come il film di Porter metta sul tavolo una serie di questioni molto complesse e importanti. Forse anche troppe, giacchè alla fine la cornice estetica entro cui tali istanze si situano è quella di un film sentimentale con elementi da teen comedy, girato con mestiere, ma nulla di più. La sceneggiatura prende il punto di vista della protagonista e non lo abbandona quasi mai, così che tutte le problematiche legate all’omofobia e all’inclusione di genere risultano trattate in maniera acritica. Non vi è un tentativo di comprendere il contesto psicologico e sociale entro cui alcune discriminazioni nascono, né vengono mai messi in dubbio i giudizi di Kelsa nei confronti degli altri. La correttezza delle posizioni progressiste appare data per scontata in maniera assolutistica. Il che ne depotenzia il valore, da vari punti di vista, come nel caso delle qualità di rottura, che tali posizioni potrebbero avere nei confronti di un certo estabilishment culturale. Così si parla un po’ di tutto, ma non si esamina niente: dalla questione dei bagni solo per trans alla possibilità delle atlete trans di gareggiare nelle categorie femminili, dalla malafede di chi protesta a favore delle minoranze solo per mettersi in mostra allo scontro tra femministe e TERF. Tutto viene ricondotto entro i cliché più abusati del teen movie.

Tuttavia non siamo dalle parti di John Hughes. Piuttosto sembra che Porter, attraverso la solita, patinata fotografia teal and orange (che in alcuni momenti non ci risparmia neanche un pacchiano effetto sogno), canzonette pop strappalacrime e protagonisti fin troppo emotivamente maturi per la propria età, si voglia rifare all’immaginario seriale televisivo. Inserendolo, però, più marcatamente nel contesto della Gen Z, ovvero di una generazione che ha fatto della fluidità sessuale e di genere, il proprio vessillo.
Marca definitiva di questa intenzione di contemporaneità è la tematizzazione diegetica di chat, reddit, iPhone e instant video usati come principali strumenti di comunicazione fra i personaggi. Porter arriva al punto di inglobare nelle inquadrature i testi delle chat e i commenti dei vlog, recuperando, quando necessario, anche l’artificio dello split-screen. Effettivamente, la creazione di questo continuo rumore bianco digitale, entro cui la vita della protagonista è inserita, quasi imprigionata, è forse l’elemento più intressante del film.

Tutto è possibile inquadra la questione dell’autodeterminazione della propria identità in una quotidianità spettacolarizzata, una società/continuum di individui sempre connessi e sempre intenti a mettere in scena sé stessi. Dunque se tutti siamo costretti a mediare le nostre scelte e l’immagine che abbiamo di noi con quella che gli altri hanno e con le scelte che si aspettano noi facciamo, Kelsa è doppiamente condannata a questa mediazione. A una individualità caratterizzata dalla differenza (l’essere trans, ma anche afroamericana) viene, infatti, richiesta una ulteriore mediazione. Quella fra la propria autorappresentazione e il valore simbolico che questa assume in un contesto sociale e dunque politico. Ciò dà adito a interessanti quesiti che però il film si rifiuta di affrontare, riducendo il concetto di differenza a quello di una banale unicità da manualetto da self help. Così emerge una lettura della realtà fin troppo semplificata. La società statunitense descritta da Porter appare già pacificata, tollerante e accogliente, una volta che quegli individui caratterizzati dall’essere unici comprendono la propria peculiarità quasi ontologica. Non è casuale allora che le forme attive di lotta collettiva per i diritti LGBTQ+ vengano ridotte irrispettosamente a mera manifestazione di protagonismo egoista, da parte di benpensati ipocriti.

Tutto è possibile: un inno all’ individualismo edonista

Tutto è possibile è, in definitiva, un inno a un individualismo emotivamente edonista e apolitico. Ciò risulta tanto più inquietante se si considera che questo film esce in un momento in cui gli Stati Uniti sono preda di rigurgiti reazionari di ogni sorta, come quelli che han portato a una legge che permette ai singoli stati di vietare l’aborto. Mentre in numerose componenti della società americana, legate soprattutto al cristianesimo più retrivo, l’omosessualità e la transessualità continuano a subire lo stigma della depravazione – si pensi alle teorie complottiste di QAnon, che legano omosessualità a pedofilia. Un film che invece descrive un’America progressista e safe, dove gli impulsi retrivi sono limitati ai cliché filmici dell’atleta idiota e della ragazzetta gelosa, mentre ogni istanza politica viene annullata in favore del principio di unicità testé descritto, risulta essere, allora, solo un’occasione perduta per le forze che spingono (giustamente) a una maggiore e più complessa rappresentatività delle istanze della comunità LGBTQ+.

Regia - 2.5
Sceneggiatura - 2
Fotografia - 2.5
Recitazione - 2.5
Sonoro - 2.5
Emozione - 2

2.3