Toxic Jungle: recensione del film di Gianfranco Quattrini

Al cinema dal 7 luglioToxic Jungle è il secondo film di Gianfranco Quattrini, regista peruviano di origini italiane, formatosi in Argentina.

Protagonista del film – coprodotto da Italia, Argentina e Perù – è Federico Santoro (Robertino Granados), un uomo reso stanco, solitario e irascibile dal trascorrere degli anni ma che, in un tempo lontano, si chiamava Diamond Santoro (Emiliano Carrazzone) e insieme al fratello Nicolas (Manuel Fanego) era stato il pioniere del rock psichedelico argentino.

Toxic Jungle

A decenni di distanza dalla morte tragica di Nicky, Federico compie un viaggio dall’Argentina al cuore dell’Amazzonia per andare in cerca insieme a Pierina (Camila Perissé), che da giovane era stata la fidanzata del fratello, di quel curandero dal quale si sarebbe voluto recare Nicky stesso se la morte non lo avesse portato via anzitempo.

Lì, nel folto misterioso della foresta pluviale, Federico si lascia guidare dallo sciamano nel rituale di assunzione dell’ayahuasca, la bevanda allucinogena utilizzata dai popoli amazzonici e andini nel corso di cerimonie religiose, con finalità di carattere magico-terapeutico. Solo così Federico potrà liberarsi del fantasma di Nicolas, degli Hermanos Santoro e, soprattutto, della sua giovinezza.

Toxic Jungle

Gianfranco Quattrini porta al cinema un biopic immaginario basato sull’intreccio di molteplici piani temporali

In questo immaginario biopic, Gianfranco Quattrini sceglie di raccontare la storia di Federico e degli Hermanos Santoro intrecciando serratamente differenti piani temporali: la narrazione del presente è continuamente interrotta da repentini flashback che riportano lo spettatore agli anni Sessanta, a quando Diamond e Nicky sperimentavano con la musica, con le ragazze, con le sostanze psicotrope.

Il continuo passaggio da un piano all’altro – sia che si tratti di veri e propri flashback sia che si tratti di allucinazioni che tormentano il protagonista – crea un forte senso di discontinuità e di interruzione, comunicando in maniera efficace l’idea di una cesura nella vita di Federico.

La macchina da presa indugia lungamente sui corpi, cercando il contrasto netto tra quelli giovani e belli di Diamond e Nicky da ragazzi e quello stanco, rallentato, apatico di un Federico ormai invecchiato. Nella cornice di un Perù arcano e misterioso, ciascuno dei protagonisti di Toxic Jungle lotta per stare a galla mentre i propri demoni lo attirano sempre più in basso.

Come l’umanità alla deriva di cui racconta, Toxic Jungle è incapace di prendere una direzione

Toxic Jungle

Pur essendo efficace nel raccontare questa umanità alla deriva, il film di Gianfranco Quattrini sembra tuttavia incapace di prendere una direzione: gli inserti ambientati nel passato non riescono a legarsi alla vicenda presente del protagonista, al punto che i due piani finiscono talvolta per sembrare forzatamente giustapposti.

La sceneggiatura di Leonel D’Agostino, Lucìa Puenzo e Gianfranco Quattrini fatica a tenere insieme le diverse vicende che compongono il film: il viaggio – tutto sesso droga e rock’n’roll – negli anni dorati degli Hermanos Santoro, il percorso spirituale  compiuto da Federico culminante nell’assunzione dell’ayahuasca e, infine, la fuga disperata di Pato (Rafael Ferro), compagno di Pierina pericolosamente invischiato nel traffico della cocaina. L’impressione infatti è quella di diversi elementi scollegati tra loro, che non hanno fino in fondo motivo di stare insieme.

Toxic Jungle finisce per funzionare molto meglio quando racconta la crisi di Federico e il suo percorso verso il cuore della foresta e della saggezza sciamanica, rispetto a quando, invece, si proponene come film biografico intenzionato a ripercorrere la storia di un gruppo rock.

Regia - 3.5
Sceneggiatura - 2
Fotografia - 3
Recitazione - 2
Sonoro - 3
Emozione - 2

2.6