Tornare all’anormalità (più complesso di un virus): recensione del documentario

Il documentario collettivo Tornare all'Anormalità (più complesso di un virus) racconta le contraddizioni sociali esplose con la pandemia.

Otto storie da otto Paesi del mondo: il documentario collettivo Tornare all’Anormalità (più complesso di un virus) racconta le contraddizioni sociali che, preesistenti al Covid-19, sono esplose con la pandemia.

Si parla ormai da un anno di Covid-19. Parole come pandemia, virus, emergenza, lockdown, sono entrate nel vocabolario comune di tutti noi e non esiste giorno in cui non ne sentiamo parlare in TV, sui giornali o tra la gente. Il virus ha spazzato via con un colpo di spugna la vita come la conoscevamo e ha portato in evidenza le contraddizioni sociali specifiche di ogni Paese del mondo.

 

In Tornare all’anormalità, nove documentaristi indipendenti raccontano la situazione in otto Paesi del mondo, soffermandosi su come la pandemia abbia esasperato delle problematiche gravi già esistenti. Gli autori e le autrici devolveranno il ricavato del film a EMERGENCY ONG ONLUS, per contribuire all’impegno e alla missione dell’Associazione nella difesa del diritto alla salute per tutti gli individui.

C’è un panorama apocalittico, una visione macabra, una follia diffusa, che si stende come un velo sul nostro pianeta. Si trova sotto infinite vetrine e insegne luminose. Da più parti grida strazianti, diritti negati da argomenti difficili da sostenere, dignità soffocate.

Il film non nega e non discute il tema sanitario ma, partendo da questo, racconta le disuguaglianze economiche, le ingiustizie sociali, l’aumento della violenza domestica, il diritto alla salute negato. Problemi esacerbati dalle conseguenze dell’emergenza sanitaria, ma insiti in un sistema che ci accomuna tutti, nessuno escluso, da un estremo all’altro della Terra.

Tornare all’Anormalità: dov’è finita la dignità?

Si parte dall’Ecuador, nello specifico da Guayaquil. La regista Priscilla Aguirre mostra e racconta la città più colpita dal Coronavirus, quella con il numero più alto di morti. Si passa dai 338 di fine marzo 2020 al picco più alto raggiunto dagli oltre 6 mila morti di aprile dello stesso anno. Molti di loro non hanno potuto avere una degna sepoltura, tantissimi sono quelli abbandonati sul ciglio della strada dalla stessa polizia che non sa dove tenere le vittime del Covid. Un vero e proprio dramma, consumato giorno per giorno durante i mesi più terribili dello scorso anno.

In Colombia, Lukas Jaramillo e Juan Pablo Patiño ci raccontano la vita di una famiglia in uno dei quartieri più poveri di Medellín. Rosa e Fredy non temono il Covid, perché dovrebbero? La loro vita è già stata segnata da morte, disperazione, paura e clausura forzata. Si può avere paura di un virus invisibile quando l’omicidio, ben più tangibile, è all’ordine del giorno?

Paulina Gutierréz parte dal suo Paese natale, il Cile, per parlarci del suo viaggio intorno al mondo “inseguita” dal Covid-19 che sembra aver percorso con lei tutte le tappe. Le immagini di una Cina deserta agli inizi del 2020 sono il primo segno di allarme che qualcosa non va di cui ancora nessuno era a conoscenza. La mancanza di informazioni, il controllo capillare, i vari gradi di consapevolezza dei diversi Paesi: dalla Cina alla Turchia, poi la Spagna e il Cile. Come sottolinea la regista “non importa quanto scappi, se la vita vuole insegnarti qualcosa ti troverà sempre”.

Tornare all’Anormalità: salute o economia?

Approdiamo in Italia con Stefano Virgilio Cipressi e lo slogan “l’economia non si può fermare”, ripetuto ad oltranza dal Governo durante tutto il 2020. Il regista mostra le interviste fatte ad alcuni lavoratori delle fabbriche della Val Seriana nei mesi caldi della pandemia, ma anche le parole della sindacalista della Fiom-CGIL Eliana Como. Tutti, nessuno escluso, si è sentito carne da macello in un periodo in cui la salute dei lavoratori è passata in secondo piano rispetto all’economia. Lo stile accentua il disagio e stacca nettamente da quello dei filmati precedenti: unisce le animazioni video a filmati in bianco e nero, interviste e titoli di giornale.

Si passa poi a Spagna e Stati Uniti grazie ai registi Xabier Ortix de Urbina e Andrés Rico. Nel primo caso viene affrontato in modo delicato ma toccante il problema dell’assistenza agli anziani, del crescente business delle case di riposo e dell’aumento delle vittime nelle residenze per anziani. Il regista ci mostra un altro sistema di cura possibile, dove alla base c’è l’amore incondizionato. Attraverso le parole di Gene Sullivan, invece, entriamo a gamba tesa nell’America favorevole al possesso delle armi. Il protagonista è un membro della National Rifle Association, l’organizzazione che agisce a favore dei detentori di armi da fuoco) e ci spiega come mai sia così importante il secondo emendamento della Costituzione americana. Importanza, secondo lui, ancora più evidente durante la pandemia da Coronavirus.

Gli ultimi due capitoli di Tornare all’Anormalità sono forse i più toccanti e riguardano due Paesi attraversati sempre più spesso da gravi problematiche che sembrano irrisolvibili. Il Brasile che ci viene mostrato dalla regista Raíssa Dourado è quello degli indigeni, della foresta amazzonica devastata dagli incendi. È un viaggio tra i suoni e i colori che resistono e tra quelli perduti per sempre, tra le voci indigene e le loro richieste disattese. Il presidente Bolsonaro, in piena pandemia, ha accusato gli indigeni di aver dato fuoco alla foresta, alla loro casa, al luogo in cui vivono e che gli fornisce sostentamento. Gli stessi indigeni che sono stati abbandonati dal Governo durante l’emergenza sanitaria.

Tornare all'anormalità

Il Messico, infine, è lo Stato con il più alto tasso di femminicidi mai registrato. Mentre vediamo la città scorrere sotto i nostri occhi, la voce di Diana Maria Gonzales elenca le donne uccise nei mesi del lockdown. Date, nomi, luoghi elencati freddamente il cui impatto nello spettatore è totale e devastante. Sono 1618 le donne e bambine uccise da gennaio a maggio 2020: una media di 10.3 omicidi al giorno.

La violenza contro  le donne e le bambine è una pandemia millenaria, non richiede vaccino per sconfiggerla. tuttavia la cura non sembra vicina.

Prodotto da Fujakkà – sostegno al cinema indipendente, il documentario è disponibile dal 30 gennaio su Streen.org.

Immagini da finis terrae.

Regia - 3.5
Sceneggiatura - 4
Fotografia - 3.5
Recitazione - 3.5
Sonoro - 3.5
Emozione - 5

3.8