Tokyo Ghoul: recensione del film tratto dal manga di Sui Ishida

Ambientato in un mondo dove creature cannibali si cibano si carne umana, Tokyo Ghoul (al cinema solo il 6 e 7 febbraio su Nexo Digital) è un interessante e avvincente fantasy che cerca di rispondere a una difficilissima domanda: cosa stabilisce chi è umano?

Il cibo è vita. Da questo semplice ed empirico assunto prendono origine tutta una serie di norme e tabù che regolano il consumo del cibo soprattutto da un punto di vista etico e sociale. Mangiare non è un’attività innocua, né innocente, e si configura come un gesto sempre pregno di significato: non è un caso che la disumanizzazione definitiva di qualcosa che vogliamo dipingere come un mostro avvenga attribuendogli l’etichetta di cannibale. Mangiare carne umana è il massimo tabù legato al cibo, e Tokyo Ghoul decide di mettere il cannibalismo al centro della sua storia per rispondere a un classico dilemma: chi decide cosa è umano e cosa è un mostro?

Tratto dall’omonimo manga di Sui Ishida già adattato in una serie animata di grande successo, Tokyo Ghoul racconta la storia di creature chiamate, appunto, ghoul, fisicamente simili agli esseri umani ma costretti a nutrirsi esclusivamente di carne umana. L’introduzione in questo mondo sanguinoso e violento avviene seguendo la tragedia personale del giovane Kaneki (Masataka Kubota), che seguito all’attacco di una di queste creature scopre si essersi trasformato lui stesso in un mostro; disperato e orripilato dalla sua nuova natura, Kaneki dovrà cercare un modo di sopravvivere sfuggendo ai cacciatori di ghoul e procacciandosi il cibo anche a costo di uccidere le persone a lui care.

Tokyo Ghoul: ovvero, cosa fa di una persona un mostro?

Tokyo Ghoul è un lungo e oscuro viaggio nella natura umana travestito da urban fantasy, un soft horror che cerca la mostruosità dentro le persone prima ancora che nel loro aspetto, inquietantemente simile al nostro. La trasformazione di Kaneki, infatti, è tutta interiore, lasciando come unico segnale della sua perduta umanità un’iride cremisi; l’occhio è, d’altronde, un altro potente simbolo che sottolinea l’umanità di una creatura, ed è pertanto scelto anche come immagine iniziale e finale del film per chiarirne il messaggio. Se la trama si concentra su combattimenti e macabri pasti, il film indaga continuamente le differenze tra gli umani e i ghoul, confrontandoli e facendoli interagire per scoprire cosa effettivamente li renda diversi, e se la violenza sia davvero l’unica forma di comunicazione possibile tra le due specie.

Dopo il primo, traumatico, contatto con la società parallela dei ghoul, Kaneki scopre una realtà fatta di solidarietà tra simili, compassione e affetto che lega queste creature maledette dal proprio corpo. Se però i ghoul uccidono per sopravvivere, gli uomini lo fanno spinti dalla paura verso qualcosa che va oltre la loro comprensione. Come spesso accade, ci troviamo di fronte alla paura di una diversità che viene rifiutata perché considerata deviante, e per questo perseguitata fino a un’ideale estinzione dell’anomalia che mette in pericolo la sopravvivenza non solo fisica della comunità, ma anche e soprattutto sociale e consuetudinaria.

Tokyo Ghoul cinematographe

Kaneki (Masataka Kubota) in una scena del film.

Alla fine il mostro è sempre negli occhi di guarda senza vedere, accecato dalla paura e incapace di concepire una natura parallela e più vasta di quello che ha potuto percepire fino a quel momento. Dietro la guerra scatenata contro i ghoul per proteggere le persone comuni si scorge l’odio verso una creatura che sembra voler sfidare l’ordine del mondo, una chimera alla quale si vorrebbe negare il diritto alla vita sulla base del suo comportamento dettato dalla propria natura biologica. Un problema enorme e difficile soluzione, che il film sembra decidere di non risolvere fino in fondo: la scelta di Kaneki di non uccidere l’ufficiale alla sua mercé non deriva da un utopistico senso di giustizia o da un obbligo morale, quanto dal desiderio di essere una persona migliore di coloro che gli danno la caccia. La realizzazione che lui e Amon hanno in momenti diversi della pellicola su quanto il loro mondo sia sbagliato racchiude in sé il seme del cambiamento: il vero problema è la violenza, l’odio che divide le specie e le spinge a uccidersi a vicenda fino alla reciproca estinzione. Tokyo Ghoul non raggiunge in questo un definitivo lieto fine, in maniera molto coerente con le sue premesse; ma forse, se sarà ancora possibile riconoscere un barlume di umanità in un’iride scarlatta e in una nera nello stesso momento, un futuro migliore sia per gli uomini che per i ghoul potrà davvero essere possibile.

Tokyo Ghoul: un film solido e dal forte impatto visivo

Tokyo Ghoul è un film molto denso, concentrando nel relativamente breve volgere di un paio d’ore una storia molto lunga e articolata senza mai sembrare frettoloso o superficiale nella risoluzione dei problemi che solleva. Questo è possibile grazie alla buona sceneggiatura firmata da Ichiro Kisuno, capace di conferire al film un ottimo ritmo, nonostante qualche leggerezza narrativa in diverse scene. Kisuno rielabora sapientemente la prima parte del manga di Ishida mantenendo sempre molto saldo il controllo della sua creatura senza mai soccombere al numero di linee narrative parallele o di personaggi, quasi tutti molto credibili e ben diversificati dal copione. Ognuno dei personaggi principali ha un obiettivo, un desiderio e un ruolo più o meno ampio da giocare nell’economia della storia, e vengono abilmente mossi da Kisuno come pedine su una scacchiera per raggiungere il risultato finale.

Tokyo Ghoul cinematographe

Kaneki (Masataka Kubota) in una scena del film.

Il copione è portato in vita dall’ottima regia di Kentaro Hagiwara, che, nonostante qualche lieve caduta di stile, si dimostra molto abile sia nelle scene dialogate che nelle lunghe e frequenti sequenze d’azione. Se la sceneggiatura tratteggia i personaggi e il loro sviluppo, la regia si sofferma molto di più sulla mostruosità della loro natura, concentrandosi soprattutto su Kaneki: Hagiwara indugia costantemente sul cibo e sulla sua ingestione, con dettagli dei piatti e delle bocche in movimento in una fissazione orale quasi freudiana che rende fisico il senso di disgusto provato da uomini e ghoul circa le reciproche diete. Nelle scene di combattimento dimostra poi una grande vivacità seguendo le fantasiose acrobazie dei protagonisti, rese possibili anche dagli ottimi effetti speciali che danno il meglio di sé nella creazione e animazione dei poteri dei ghoul, come la loro agilità e le loro letali appendici.

Tokyo Ghoul è un film dall’estetica eccezionale grazie all’ottima fotografia che segue non solo l’evoluzione della storia, ma anche quella dei personaggi. Sempre molto naturale, la fotografia riesce comunque a trasfigurare le ambientazioni da una scena all’altra, rendendo Tokyo un paesaggio quasi onirico in cui l’apparizione dei ghoul non sembra solo possibile ma addirittura probabile.

Tecnicamente molto valido e con una solida narrazione, Tokyo Ghoul supera in qualità la maggior parte degli esperimenti compiuti nell’adattamento di popolari manga, e lascia in sospeso per eventuale, graditissimo, secondo capitolo.

 

Regia - 3
Sceneggiatura - 3
Fotografia - 4
Recitazione - 3
Sonoro - 4
Emozione - 4

3.5