TSFF – The Pink Cloud: recensione del film di Iuli Gerbase

Una nuvola rosa costringe la popolazione di tutto il mondo a restare a casa. Un uomo, Yago (Eduardo Mendonça), e un donna, Giovana (Renata de Lélis), due sconosciuti fino a poco prima, incontratisi ad una festa, sono costretti a passare insieme gli anni di lockdown. Questo è il punto di partenza di The Pink Cloud di Iuli Gerbase, presentato in anteprima in Italia al Trieste Science+Fiction Festival, nella sezione Asteroide.

The Pink Cloud: Gerbase racconta i vari stadi emotivi dei suoi protagonisti

The Pink Cloud_Cinematographe.it

Giovana e Yago devono superare i giorni, i mesi, gli anni, partendo da sconosciuti e, forse, restando tali per molto, moltissimo tempo. Arrivata quella nube, le persone si sono rinchiuse nei luoghi in cui si trovavano; uffici, negozi, case di amici diventano dei piccoli nidi da cui guardare fuori dalla finestra. Rifugio o prigione? Sono queste le due visioni dei due protagonisti. Lei anela alla fuga, pensando al momento in cui quell’incubo finirà, lui invece ha compreso il momento, capisce che quella ormai è la realtà, visioni opposte che ad un certo punto inevitabilmente confliggono. Gerbase, che ha pensato alla sceneggiatura già nel 2017, vuole proprio indagare i differenti stadi emotivi dei suoi personaggi ma la freddezza con cui percorre il loro lockdown ci fa sentire questa storia incredibilmente distante ed è sconvolgente se si pensa che reclusione, distacco dal mondo hanno fatto parte dell’esistenza umana di questi ultimi anni. Eppure questa storia post apocalittica, così originale (l’idea di una nube rosa che si impadronisce delle città è spaventosa e affascinante al tempo stesso) ma non così tanto se guardiamo a quanto si è modificata la nostra esistenza, resta sempre fin troppo algida per coinvolgere.

Al centro di The Pink Cloud c’è lo scontro tra la speranza senza fine che le cose andranno meglio e l’accettazione della verità: non ci si può salvare. Le persone cambiano carriera per trovare un lavoro da poter fare a casa, acquistano nuove abilità, trovano fidanzati e fidanzate virtuali e frequentano la scuola da casa. I bambini nascono e non sanno nulla di ciò che accade fuori, nel mondo esterno. Gli adulti che ricordano la vita prima delle nuvole rosa sognano di tornare nel mondo.

The Pink Cloud: una storia che vorrebbe narrare la psiche di Giovana e Yago

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The Pink Cloud non vuole spiegare gli aspetti logici vuole addentrarsi nella psiche, nell’animo di Giovanna e Yago che per sopravvivere, per continuare a credere, si “costringono” a desiderarsi, a stare insieme, a concepire un figlio – nonostante le resistenze della donna che non voleva assolutamente diventare madre all’inizio di questo viaggio spaventoso. Giovana e Yago, a causa di questa nube, diventano una coppia, hanno un figlio, si separano perché non si conoscono ma non possono lasciare l’appartamento, si frequentano virtualmente con altre, comunicano dalla finestra con altri e poi tornano insieme; eppure, mentre fuori la gente muore, si getta dalle finestre, si incontra grazie alla tecnologia, continuano a non capirsi, a sapere poco l’uno dell’altra. Tutto diventa un incubo, ogni cosa diventa insopportabile. Le chiamate FaceTime sono stanche e tediose, mangiare la stessa cosa giorno dopo giorno diventa una seccatura e l’unica altra persona con cui si divide la casa/prigione inizia a irritare. Si evince chiaramente che l’essere umano non è fatto per interrompere il contatto fisico con il resto del mondo e infatti gli effetti dell’essere tagliati fuori da tutto e da tutti sono catastrofici, silenziosamente distruttivi. La vita è talmente lenta che paradossalmente ogni cosa cambia repentinamente: Giovana è diventata mamma, sua sorella è una bambina e improvvisamente è una ragazza, Yago da uomo buono e calmo si fa nervoso e rabbioso.

Un film che manca di umanità

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The Pink Cloud è un film talmente lontano dall’umanità da far sentire lo spettatore ancora più solo e disperato di come non si sia sentito nel suo lockdown; è un lungometraggio che non smuove nessun tipo di vicinanza verso i due protagonisti, verso il loro bambino che sembra essere l’unico più maturo di tutti gli altri. Gerbase, nonostante i suoi buoni propositi, non riesce a raccontare profondamente e sinceramente le turbolenze emotive di chi teme per la sua vita e si sente in trappola.

Regia - 3
Sceneggiatura - 2.5
Fotografia - 3
Recitazione - 3
Sonoro - 2.5
Emozione - 2

2.7