The Monkey King: recensione del film Netflix

The Monkey King di Anthony Stacchi punta a ripercorrere più o meno fedelmente la storia di Sun Wukong e della sua sfrenata corsa per l'immortalità.

Arriva su Netflix il 18 agosto 2023 The Monkey King, film d’animazione con l’ambizione di sintetizzare in chiave animata uno degli scritti fondamentali della letteratura cinese e del buddhismo tutto, Il viaggio in Occidente, attribuito al saggio Wu Cheng’en che ha ispirato in passato grandi maestri del manga e dell’animazione. The Monkey King di Anthony Stacchi che vuole, almeno sulla carta, ripercorrere più o meno fedelmente la storia di Sun Wukong e della sua sfrenata corsa per l’immortalità. Il punto è che la narrazione non è in grado di trasmettere al pubblico un testo dal grande valore etico.

The Monkey King: Un testo che non sembra brillare nel film d’animazione

Le storie del personaggio cinese noto come Sun Wukong, o Monkey King, sono state raccontate per generazioni, adattate molte volte in manga, serie TV e film. Il regista di The Monkey King Anthony Stacchi non riesce nel suo intento. Quella di Sun Wukong (Jimmy O. Yang) è una storia di eroismo, un road movie che porta due personaggi a compiere un viaggio all’inferno – in cui Monkey mira a trovare la sua pergamena e cancellare il suo nome (l’immortalità è una delle sue ossessioni ricorrenti) – e al paradiso. Questa versione di Sun Wukong (Jimmy O. Yang) è diversa. Come un emarginato che ha trascorso la maggior parte dei suoi anni in ​​isolamento, incarna la natura immatura di un’adolescenza. Invece del mascalzone intelligente ma dispettoso, The Monkey King presenta un personaggio ingenuo e irresponsabile.

La premessa è incentrata sulla lotta di Monkey King per diventare la persona che è destinato ad essere. Nato da un uovo di pietra, il protagonista viene respinto nei suoi tentativi di formare una famiglia con le altre scimmie, viene infatti denominato il reietto, e poi sarà lui a proporsi per unirsi agli Immortali, il pantheon degli dei guidato dall’Imperatore di Giada (Hoon Lee), ma neppure lì lo vogliono. Monkey ignora le sagge parole di Elder (James Sie) che lo avverte che gli sciocchi, egoisti e ribelli finiscono da soli: “Conosci il tuo posto, giovane”.

L’ambiziosa scimmia è destinata a essere fantastica ed eroica – ma spesso anche molto irritante -, addirittura Buddha si muove per proteggerlo e avverte i diffidenti immortali di lasciare in pace Monkey King e “lasciargli trovare la sua strada”, ma la creatura vanagloriosa è così egocentrica che infastidisce praticamente tutti quelli con cui entra in contatto, incluso l’aspirante aiutante che chiama sassolino.

Un personaggio a cui non si fanno sconti

I creatori non mancano di raccontare le qualità odiose del protagonista, tirando fuori gag che derivano dal suo essere un bambino mai cresciuto, dall’altra parte mostrano anche il suo lato più fragile, dietro a quell’insopportabile spavalderia c’è un desiderio profondo di appartenere ad un gruppo di essere amati, di far parte di una famiglia. L’unica persona con cui riuscire a stringere un rapporto di questo tipo, anche se quasi inconsapevolmente, nonostante la sua testardaggine e i suoi secondi fini, è Lin (Jolie Hoang-Rappaport).

Monkey – non verrà mai chiamato Sun Wukong – risulta fastidioso, impulsivo e spericolato, talmente egocentrico da poter sembrare divertente invece qualcosa non torna, non riesce a farsi amare fino in fondo. Un po’ alla volta inizia a sconfiggere i demoni, quelli più crudeli che terrorizzano ormai da secoli l’umanità, ma poi si impossessa di una miracolosa arma ancestrale, il bastone magico (Nan Li), una sorta di spada laser, che “attende sin dall’alba dei tempi l’arrivo del ribelle più forte di tutti”. Da qui comincia la sua corsa verso l’immortalità, perseguitato da un furioso quanto eccentrico Dragon King e accompagnato dalla piccola Lin, unico personaggio importante non presente nell’opera originale, che professa di essere la sua fan numero uno e che gli chiede di accompagnarlo nelle sue avventure ma c’è un secondo fine. Lin agisce e parla come un Grillo parlante, il suo tentativo di essere voce della ragione è credibile proprio in relazione con Monkey che è super egoico, molto sicuro di sé, convinto di diventare ciò che vuole/deve diventare. 

Come ogni storia anche qui c’è un villain, Dragon King, canta, balla, doppiato da Bowen Yang di Saturday Night Live, una delle caratteristiche più divertenti è che la sua pelle è talmente secca da costringerlo ad essere trasportato su una portantina/vasca piena d’acqua dai suoi servi, Benbo (Jo Koy) e Babbo (Ron Yuan). Il trio sembra trarre ispirazione da Ursula di La sirenetta e dalle sue anguille.

The Monkey King: Conclusioni e valutazioni

The Monkey King è per certi versi godibile, eppure non riesce a convincere fino in fondo lo spettatore che si sente catapultato in una storia che ha in sé varie anime, quella cinese ed anche quella americana che non sembrano incastrarsi. L’animazione non è tra le migliori e più sofisticate viste su Netflix, eppure non si può non trovare in essa una ricercatezza. A colpire è il mondo meraviglioso in cui chi guarda è condotto, con i suoi personaggi così ben caratterizzati.

Il ritmo non aiuta la visione, fin troppo veloce, a tratti superficiale e scontato, che non permette un giusto approfondimento. Questa favola avventurosa con un messaggio preciso contro ogni egoismo emerge lentamente e non arriva a toccare nel profondo nonostante ci siano vari elementi interessanti.

Regia - 2.5
Sceneggiatura - 2.5
Fotografia - 3
Recitazione - 3
Sonoro - 3
Emozione - 2.5

2.8

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