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Il pittore e artista concettuale originario di Pozzuoli Valerio de Filippis fa il suo debutto da regista con The Mirror and the Rascal (letteralmente, lo specchio e la canaglia) una rivisitazione surreale e perturbante di un grande classico, ovvero la tragedia Riccardo III di William Shakespeare. Traendo spunto dal personaggio empio, egoista, sadico e fondamentalmente negativo costruito dal drammaturgo inglese, De Filippis diventa alter ego e voce di Riccardo III per metterne in scena follia pervasiva, ego-riferimento, e smania di potere perpetrata attraverso la prevaricazione costante e assoluta del prossimo.
Incarnando e proponendo la scalata di Riccardo verso il suo agognato trono, nella geometria più meschina di sfruttamento e adescamento di sentimenti e vite altrui, e inseguendo la spessa linea di sangue che separa il protagonista dal potere, The Mirror and the Rascal sfrutta la tragedia shakespeariana per elaborare metaforicamente una riflessione sull’uomo e sul sé, per mettere l’individuo e le sue brutture davanti a uno specchio di vili smanie e ancestrali ossessioni, e dunque specchiarlo nella totale amarezza di uno sguardo che non vede oltre il naso, il confine limitato e limitante del proprio abietto interesse.
The Mirror and the Rascal: Valerio de Filippis stratifica il Riccardo III di Shakespeare per raccontare il degrado dell’uomo
In una forma di recitar cantando e con una messa in scena che sfrutta la video-arte per restituire un’immagine teatrale ma artistica, e quindi una recitazione “chiusa” con una fondamentale staticità della narrazione, The Mirror and the Rascal è ritratto in movimento della perdizione umana più profonda, che si estrinseca attraverso un susseguirsi di malattia, abbandono, distruzione, prostituzione fisica e mentale, e il generale abuso dei corpi e dei sensi. Nella totale amnesia di un’umanità degradata, De Filippis muove così voce stentorea e azioni del suo Riccardo III, uomo fondamentalmente vuoto e privo di qualsiasi luce, e che qui appare infatti sempre immerso in immagini e scene che riproducono il chiaroscuro spento della vita, fotografie quasi del tutto prive della loro luminosità vitale.
Un’idea di fondo interessante che si scontra con tutti i limiti della complessità, del linguaggio e della stratificazione simbolica dell’opera shakespeariana, nonché con i limiti di una struttura sperimentale che ha alcuni punti di forza ma anche tanti problemi di fruibilità, come quella di una eccessiva fissità della scena o di un sonoro che sovrasta spesso il parlato, entrambi elementi che inficiano il normale processo di aderenza ed empatizzazione con l’opera audiovisiva.
Attraverso un prodotto sperimentale dai canoni estetici peculiari e di difficile fruibilità, Valerio de Filippis porta fondamentalmente in scena musica e voce “dell’inverno del nostro scontento”, il peregrinare vacuo di un’umanità abbrutita dalle macro e micro guerre portate avanti al fine di stabilire una supremazia tra popoli, gruppi, persone. E nella sua forma ibridata The Mirror and the Rascal aggira il senso ma fondamentalmente coglie la suggestione di una ricerca esasperata del potere a tutti i costi, di un mondo rumoroso, sovrastante, vanaglorioso e tristemente ancorato ai propri falsi ed effimeri miti e valori. L’etica e la morale sprofondate sotto il peso del denaro e del potere, in un inquietante parallelismo con il nostro presente di abulico consumismo di valori e persone.