Korea Film Fest 2021 – The day I died: Unclosed Case: recensione del film

Film di chiusura al Florence Korea Film Fest 2021, The day I died: Unclosed Case è il debutto della regista Park Ji-Wan.

Si chiude a tinte noir la 19esima edizione del Florence Korea Film Fest che quest’anno è stata programmata dal 21 al 28 maggio: il film scelto per calare il sipario su questa settimana di festival dedicato al cinema sudcoreano è infatti il poliziesco The day I died: Unclosed Case, firmato dalla regista Park Ji-Wan, al suo debutto sul grande schermo.

Un cast degno di nota, con protagonista una veterana del cinema in Corea del Sud, l’attrice cinquantenne Kim Hye-Soo.

The day I died: Unclosed Case, la trama

Kim Hyun-Soo (Kim Hye-Soo) è una detective alle prese con un momento molto delicato e alquanto difficile, sia per la sua vita privata, che professionale: infatti, la donna è in procinto di divorziare dal marito, dopo aver scoperto di essere stata tradita a lungo e anche con una possibile sospensione temporanea dal distretto di polizia di Seul presso cui lavora.

Proprio in questo momento in cui il divorzio sembra mettere a rischio la sua stessa carriera, alla detective viene proposto un caso particolare, definito come suicidio pur in assenza di un cadavere da piangere. Così, Hyun-Soo inizia le indagini sulla scomparsa della giovane Se-jin (Roh Jeong-Eui) e per condurle al meglio e vederci chiaro in fondo a questo mistero, decide di trascorrere del tempo sull’isola dove si è verificato il presunto suicidio, durante una notte di tempesta che pare abbia spinto lontano il corpo della ragazza.

The day I died, Kim Hye-Soo, Cinematographe.it

La detective cerca di ripercorrere le ultime tappe della vita della giovane, abitando persino nella sua stessa casa dove la famiglia l’aveva isolata in seguito a delle tensioni interne dovute alla testimonianza della stessa Se-jin contro il padre, coinvolto in un affare di corruzione.

A Hyun-Soo la storia del suicidio non convince affatto: nonostante ci sia un biglietto di addio, per una detective che si rispetti un caso non si può chiudere in assenza di un corpo. Inoltre, molti personaggi vicini alla ragazza – dall’ex poliziotto assegnato alla sua protezione fino alla vicina di casa (Lee Jung-eun) che non riesce a parlare – destano ulteriori dubbi in Hyun-Soo, ostinata a proseguire le indagini.

Un noir a cui mancano le basi della suspense

Le premesse – con un soggetto così – c’erano tutte perché The Day I Died: Unclosed Case si rivelasse un poliziesco denso di azione, colpi di scena e soprattutto di quella suspense che in una pellicola del genere deve sapientemente essere costruita per tenere lo spettatore con gli occhi incollati allo schermo dall’inizio alla fine.

Eppure, a Park Ji-Wan non riesce. Poco male, se le si perdona di essere al suo primo film, peccato però perché qualcosa di buono nella pellicola, effettivamente c’è. Basti pensare, ad esempio, alla presenza di Kim Hye-Soo che nei panni della detective ci regala un’interpretazione convincente e coinvolgente, mostrando la difficile riappropriazione di sé e della vita attorno a lei che questa donna, tradita e lasciata dal marito, si ritrova improvvisamente ad affrontare.

The day I died, Cinematographe.it

Un buon cast, dunque, in cui figura anche l’attrice Lee Jung-eun che abbiamo conosciuto – noi, pubblico occidentale – in Parasite nel ruolo della governante della famiglia Park, la signora allergica alle pesche con un oscuro, quanto strampalato, segreto tenuto nascosto fino alla fine.

Mettendo da parte l’analisi psicologica del personaggio della detective e di quello della fragile Se-jin, gli ingredienti che promettevano “il grande thriller” non si miscelano bene tra loro.

Il film, infatti, appare eccessivamente lento e la narrazione spesso dilatata – inutilmente – a distrarre lo spettatore: le quasi due ore di pellicola sembrano raddoppiare e più che sul crimine ci si concentra, forse fin troppo, sull’indagine interiore della detective verso se stessa. Appare, dunque, una volontà dietro la firma di una regista femminile di esplorare l’animo delle due donne e di valorizzarlo, che però diventa presto ridondante e fuori luogo.

No, siamo lontani dai risultati ottenuti da Bong Joon-ho con Memories of Murder (2003) e da Na Hong-jin con The Chaser (2008) e stavolta la regista sudcoreana non riesce nell’intento di ricalcare uno dei generi più apprezzati dal pubblico della macchina hollywoodiana. Ma di tempo per farci ricredere ce n’è, ci aspettiamo di meglio.

Regia - 2
Sceneggiatura - 2
Fotografia - 2.5
Recitazione - 2.5
Sonoro - 2
Emozione - 1

2