The Dark Nightmare: recensione del film di Kjersti Helen Rasmussen

Un horror psicologico che attraverso la figura del demone Mara parla dei lati oscuri della maternità.

The Dark Nightmare, esordio alla regia, nel 2022, della sceneggiatrice norvegese Kjersti Helen Rasmussen, arriva in sala, anche in Italia, dall’11 giugno 2025 grazie a BiM.

The Dark Nightmare Cinematographe.it

Il film racconta la storia di Mona, una giovane donna che va a vivere con il compagno Robby in una nuova casa. La coppia ha acquistato l’appartamento a un prezzo irrisorio, perché dentro vi è morta una donna incinta. Proprio quando Robby suggerisce la possibilità di metter su famiglia, Mona cade vittima di alcuni disturbi del sonno, fra cui la paralisi del sonno. Fra vicini inquietanti, con neonato che piange di continuo, un dottore poco scientifico e un compagno incapace di comprendere la situazione, la protagonista si troverà a dover fronteggiare da sola l’incubus per antonomasia della tradizione scandinava, il Mara, quello protagonista del celebre dipinto di Füssli, che qui assume le sembianze di una versione sexy e palestrata di Robby.

The Dark Nightmare: un prestige horror psicologico

La Rasmussen adotta, per questo esordio, un linguaggio tipico di certo horror contemporaneo, quello definito elevated o prestige. La fotografia è curata e realistica, con pochi colori luminosi – attribuiti per lo più alla protagonista – che spiccano in un backgraund desaturato. È inoltre improntata su una certa razionalità geometrica, forse scelta anche per rendere al meglio l’atmosfera domesticamente opprimente di un appartamento non ancora pienamente agibile. Il montaggio a sua volta è essenziale e trasparente, il che aiuta a creare un senso di indecisione e spaesamento nello spettatore, quando la regista ci porta dalla realtà a un mondo onirico, dove le marche fantastiche sono quasi sempre assenti.

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Il fulcro concettuale dell’opera pare dunque essere quello, legato a certa tradizione psicanalitica junghiana, secondo cui il mondo del sogno, l’inconscio, può rivelare le dinamiche opprimenti sottostanti alle relazioni umane. In questo caso si tratta della relazione di coppia con le sue aspettative, i suoi ruoli sociali e personali e della maternità. L’horror, d’altronde, ha più volte eletto la maternità a campo semantico entro cui impostare una riflessione sul valore simbolico del corpo della donna e su come diverse forme di potere, da secoli cerchino di appropriarsene per privare la donna della propria individualità, rendendola un meccanismo della continuazione della specie o un segno astratto per le fantasie sessuali maschili. The Dark Nightmare segue questa scia, ma a differenza di film come Brood – La covata malefica (Cronenberg, 1979), Alien (Scott, 1979) o anche i recenti Titane (Ducournau, 2021) e The Substance (Fargeat, 2024), non utilizza mai la carta del body horror. La regista preferisce concentrarsi sugli aspetti psicologici della questione, chiamando in causa il realismo psico-emotivo di Mona, che più che un’eroina o una vittima appare un individuo in crisi, a causa della propria incapacità ad autodeterminarsi e quindi della propria tendenza a lasciarsi trascinare dalle aspettative del compagno. Ecco perché il Mara assume il ruolo di doppelgänger di Robby.

L’intera dinamica narrativa, di conseguenza, per tutto il primo e secondo atto, presenta un andamento da dramma borghese in cui fan capolino eventi straniant,. Dal terzo atto in poi il film cambia invece traiettoria e si riallaccia alle corde fantastiche, tipiche del genere, facendo addirittura pensare a Nightmare 5 – Il mito (Hopkins, 1989), in cui Freddy cercava di ingravidare la final girl di turno, per rinascere nel mondo della veglia.

The Dark Nightmare: valutazione e conclusioni

La maternità come imposizione sociale, tendenzialmente retaggio di un sistema di potere patriarcale che sembra non voler mai sparire completamente, è un argomento sicuramente interessante. Così come è interessante la metafora della possessione demoniaca per la depressione post-parto – con riferimenti concettuali a Rosemary’s Baby – Nastro rosso a New York (1968). Purtroppo però non si fanno cenni alle questioni di potere economiche e religiose che innervano l’asservimento dell’identità femminile a una funzione biologica, lasciando il discorso su terreni forse troppo astratti e convenzionali.
In generale, comunque, The Dark Nightmare risulta un esordio interessante, che articola bene la tensione e la suspense, al netto di alcuni cliché, anche grazie a una colonna sonora mai invasiva, ma che tra distorsioni, pianti di bambino e dissonanti rumori di insetti, ci trascina inesorabilmente dal realismo iniziale all’orrore finale.

Regia - 3
Sceneggiatura - 2.5
Fotografia - 3
Recitazione - 3
Sonoro - 3.5
Emozione - 2.5

2.9