Biografilm 2023 – The Book of Solutions: recensione

Michel Gondry affronta il proprio periodo di inattività con un film sull'arte di fare film.

Michel Gondry si è preso una pausa di ben sette anni prima di tornare dietro la macchina da presa, con The Book of Solutions, presentato in anteprima italiana al Biografilm 2023.

Il film è una riflessione, quasi una sorta di autoanalisi, proprio sul periodo di inattività del regista stesso. Marc (Pierre Niney), il protagonista di The Book of Solutions, è infatti un cineasta in crisi che, dopo una riunione con i produttori del suo ultimo film, decide di estromettere il suo co-regista, rubare tutto il girato e rinchiudersi in campagna in casa della zia Suzette (Françoise Lebrun). Qui con l’aiuto della montatrice, del suo assistente e della direttrice di produzione vorrebbe finire di montare il film. Le cose però prendono una piega grottesca e surreale nel momento in cui Marc smette di assumere gli psicofarmaci che lo aiutano a mantenere la lucidità. Il regista inizia infatti a perdersi nel suo mondo interiore e a imbarcarsi in progetti sempre più strampalati, dalla costruzione di un camion per il montaggio, all’assunzione del ruolo di sindaco del paesino in cui è cresciuto, passando per la direzione dell’orchestra paesana, uno scontro a fuoco con il co-regista e la scrittura di un manuale dal titolo “Il libro delle soluzioni”.

The Book of Solutions. Mostrare il cinema attraverso il cinema

The Book of Solutions Cinematographe.it

The Book of Solutions è forse il film più personale di Gondry, sia per la storia velatamente autobiografica, sia per le tematiche trattate. Vi si ritrovano dentro infatti alcuni dei capisaldi della poetica dell’autore, primo fra tutti il desiderio di esporre il meccanismo di creazione del cinema attraverso il cinema stesso. E la conseguente impossibilità, tipicamente postmoderna, di trovare una forma narrativa conclusa. Il processo di scrittura del racconto filmico diviene, nel lavoro di Gondry, metafora per l’aspirazione della mente umana a riordinare la storia della propria vita, o meglio i ricordi che costituiscono la storia di una vita, attraverso le facoltà intellettuali e creative dell’uomo. Man mano che il film procede risulta però evidente che una simile operazione è inattuabile. Ogni tentativo di analizzare il proprio vissuto si trasforma per Marc/Gondry in una fuga/spinta a cercare una nuova attività verso cui rivolgere il proprio interesse. Attraverso l’artigianato, il bricolage, per così dire – altra tematica prettamente gondriana – l’artista produce nuovi oggetti che sono anche eventi da riprendere. Produce cioè nuovi ricordi, nuove scene di un futuro film, senza mai però riuscire a dare ordine alle precedenti. Anzi ogni volta che la montatrice si sforza di prendere il girato e inserirlo in una narrazione logica, le azioni del regista sabotano tutto, spesso in maniera involontaria – si noti che in controtendenza con la retorica maschilista che vede nelle donne le incarnazioni dell’istintualità, Gondry attribuisce al femminino l’attributo della razionalità ordinatrice in contrapposizione a un principio maschile caotico e folle.

Produrre, riprodurre, filmare, vivere

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Il cinema dunque in The Book of Solutions non appare come un’arte sequenziale della narrazione, in grado di fornire allo spettatore una visione/spiegazione del mondo. Il cinema è qui un processo circolare meccanico di produzione e riproduzione, che riesce a trovare una sua utilità solamente una volta liberato dai vincoli socioeconomici – i produttori e il co-regista – e di conseguenza dagli standard estetici convenzionali. L’atto di filmare può così diventare un atto creativo puro, fine a sé stesso, che ha come unico scopo quello di permettere a chi lo compie di vivere la propria esistenza attraverso il continuo riplasmare il proprio vissuto nelle nuove realtà messe in scena di volta in volta. In altre parole fare film permette al regista di non affrontare la propria interiorità, il proprio passato e dunque di non dover fissare la propria identità in una storia precisa e puntellata da dolori e rimpianti. Il cinema di Gondry, d’altronde è sempre stato un dispositivo atto a destrutturare i principi narratologici alla base delle elaborazioni dell’identità offerte dalle narrazioni mediali – si pensi soprattutto a Se mi lasci ti cancello (2004) e Be Kind Rewind – Gli acchiappafilm (2007). In questo lavoro l’autore risulta semplicemente più esplicito del solito e più disperatamente nichilista nella sua «riflessione dolorosa sui meccanismi di oblio e selezione della memoria» (R. Menarini in Michel Gondry. L’eterno dodicenne, Edizioni Il Foglio, 2012). Qui tale riflessione diventa una negazione della possibilità stessa dell’arte anche solo di dare conto di quei meccanismi, pur mettendoli in scena, in quello che appare un contraddittorio loop intellettuale, destinato a portare l’artista all’autodistruzione.

The Book of Solutions: valutazione e conclusione

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Il film presenta una narrazione improntata su un tono realistico, che spesso si tinge di surrealismo grottesco. Sono presenti numerose gag che confinano con la commedia slapstick. La fotografia è meno raffinata e più naturalistica rispetto ad altri lavori del regista, mentre il montaggio, come sempre in Gondry, si fa vettore del senso dell’opera. La regia è quasi furiosa nel tracciare una moltitudine schizofrenica di cambi di tono. Come al solito il regista privilegia quegli aspetti metafilmici attraverso cui ama mettere in scena il processo creativo – è il caso, per esempio, delle sequenze in animazione frame by frame, vero e proprio marchio di fabbrica del cinema di Gondry.

Regia - 4
Sceneggiatura - 4
Fotografia - 3.5
Recitazione - 4.5
Sonoro - 4
Emozione - 3.5

3.9