Speak No Evil: la recensione dell’insostenibile horror su Prime Video

Una famiglia olandese e una famiglia danese: un weekend che doveva essere tra amici si trasforma in un incubo abissale

Speak No Evil (Gæsterne) è un film di Christian Tafdrup girato tra Italia, Paesi Bassi e Danimarca durante la pandemia Covid-19. Presentato al Gothemburg Film Festival del 2021, è approdato al Sundance Festival nel gennaio 2022, per poi uscire a settembre su Prime Video.

Speak No Evil: una trama lineare

Una famiglia danese -Bjørn (Morten Burian) e Louise (Sidsel Siem Koch) con la piccola figlia Agnes- fa visita ad una famiglia olandese -Patrick (Fedja van Huêt), la moglie Karin (Karina Smulders) e il figlio Abel, un ragazzino che non può parlare a causa di un’aglossia- incontrata per caso in un recente viaggio in Italia, senza conoscerne bene provenienza e abitudini. Un tranquillo weekend tra amici si incrina lentamente per trasformarsi in un incubo senza via di scampo.

C’è tutta la trama in poche righe: eppure, il film di Tafdrup contiene un abisso di senso.

Dalla letteratura all’esistenza

Quando dà il suo meglio è poco peggio di un uomo, quando dà il suo peggio è poco meglio di una bestia”, dice Porzia a proposito di Shylock, nel Mercante di Venezia di Shakespeare. Come anche Aristotele, che sosteneva che chi vive al di fuori della società è una bestia o un dio. Cosa succede allora quando i due estremi si confrontano, si toccano, si confondono? Quanto lo stile di vita mollemente ma anche socialmente regolamentato ci rende quello che siamo cancellando l’istintiva natura umana, fatta di caos, sopraffazione e sangue?

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Speak No Evil indaga senza indugi illuminando questi confini malmostosi, mostrandosi prima di tutto come satira sociale affilatissima, tagliente come lama di rasoio, ancor più insostenibile perché inaspettata: e si maschera inevitabilmente da horror, prendendone i canoni narrativi e di messa in scena ma scarnificandoli di ogni vicinanza splatter o gore.

Il film di Tafdrup è girato essenzialmente in esterni notturni o grigi, oppure in ambienti interni claustrofobici: e il teatro da camera di cui ripercorre la messa in scena diventa un vero scannatoio esistenziale, tra famiglie borghesi compresse tra le frustrazioni del fare la cosa giusta (come poter -soprav-vivere altrimenti?) e l’anarchica, devastante libertà del branco.

La borghesia, il male e la società

Tafdrup ha sempre indagato con occhio cinico le sbarre dei confini borghesi (tra Dopo Il Matrimonio e Parents), e quasi questo Speak No Evil sembra dovesse essere il necessario sfogo e compendio: liberatorio e senza freni, perché il film è strutturato come una catena, tra tempi e ritmi ineluttabili.

L’incontro tra le due famiglie, la proposta, il viaggio, la convivenza, i primi scricchiolii: sono tutti elementi della trama che portano a costruire il film come un lunghissimo preambolo, portando lo spettatore a chiedersi quando, proprio come in un horror qualsiasi, arriverà il jump scare. Che invece arriva solo ad una manciata di minuti dalla fine, svelando l’atrocità del reale in maniera brusca e improvvisa.

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Nei tanti strati che compongono il senso del film, la fascinazione del Male assoluto è solo uno dei tanti, e forse neanche il più interessante: proprio come l’occhio dello spettatore è attirato con curiosità dallo svolgimento di un film che turba in maniera viscida e sottile (per poi esplodere in uno dei finali più insostenibili della storia, anche per lo spettatore più scafato), la coppia danese ha una psicologia contorta e per questo tridimensionale, e viene attirata come in un gorgo ineluttabile dall’alterità assoluta, inconoscibile, insondabile, di quella olandese.

Tafdrup fa un utilizzo del sonoro e della fotografia magistrale, nel momento in cui usa suoni e luci e ombre e silenzi per strizzare l’cocchio, per sviare, per accarezzare e alla fine per dare un pugno nello stomaco, senza preoccuparsi di sfondare quello che forse è l’unico tabù rimasto al cinema e nell’audiovisivo (la violenza sui bambini).

Speak no Evil: conclusione e valutazione

Se poi nelle intenzioni originali dello script ci fosse la volontà di far eseguire molte più esecuzioni sul finale, addebitando le colpe su una setta, la scelta invece di incentrare tutto su una semplice coppia rende il film ancora più denso, enigmatico, misterioso nella sua crudeltà.

Tutto è male. Tutto quello che è, è male: ciascuna cosa esiste per fin di male: l’esistenza è un male e ordinata al male. Tutte le cose sono cattive”, diceva Giacomo Leopardi.

Perché se Patrick e Karin sono il Male, quale bene c’è in Bjorn e Louise nel momento in cui nonostante i segnali decidono per ben due volte di tornare indietro e tuffarsi nel cuore dell’oscurità?

Regia - 4
Sceneggiatura - 4
Fotografia - 4
Recitazione - 4
Sonoro - 3
Emozione - 5

4