Sotto il vestito niente: recensione dell’horror di Carlo Vanzina
Cat People presenta, in versione restaurata, l'horror diretto da Carlo Vanzina. Un Cult di genere tra il pittoresco cinematografico e l'enfasi voyeuristica hitchcockiana.
Sotto il vestito niente: un modello sartoriale che, attraverso un’interazione evasiva tra illusionismo e realtà, annienta l’identità thriller, suscitando, per mezzo di una rievocazione stilizzata e apertamente provocatoria, il riverbero di un horror disgregato, articolato nel ritmo lancinante di un tormento(ne) estivo. Così, si configura la struttura centrale di una commedia nera e ironica che, con ineguagliabile perizia, scivola nel cuore di un incubo incestuoso, costringendo la conflittualità degli anni Ottanta in un contesto dorato e depravato.
Architettura Visiva e Grottesca in Sotto il Vestito Niente

Tra il pittoresco e il grottesco, l’eloquenza di Sotto il vestito niente — sebbene datata, ma con una fascinazione intrinsecamente positiva — si manifesta nell’assurdità della sua trama, rivelando una struttura che suggerisce una connessione profonda tra il rapimento cinematografico e la sovranità di un attimo visionario. Un attimo che riesce ad afferrare e sublimare l’impulso di un esperimento futuristico, custodendo la logica di tendenze comunicative, sempre velata dal declino etico degli spazi ostentati dalla moda. Il film compie un’operazione chirurgica riavvolgendo la trama nella sua stessa stesura con una narrazione scrupolosa, riducendola volutamente alla sua essenza più cruda, per poi ricollocarla in un atelier che mescola il voyeurismo hitchcockiano con l’esuberanza di un cinema neo-psichedelico.
Si tratta del tentativo di restituire vitalità a un decennio cruciale, che, con spirito indomito, ha riformulato l’identità dell’estetica del giallo. Sotto il vestito niente è un film che, pur giungendo al quarantesimo anniversario, continua a incarnare l’esagerazione e l’artificiosità di una forma aristocratica visiva, che emerge dal torbido di un cinema di massa, forgiando il suo ritorno come una scultura del decadimento estetico.
L’irruenza visiva e l’ineluttabile vacuità esistenziale

L’irruenza dell’immagine si manifesta come una garza di lino, purissima ed elegante: un tocco pungente che scioglie vodka e ghiaccio nell’eccentricità visive che i Vanzina in questo film continuano a custodire, senza mai rinnegare. Sotto il vestito niente evoca il demone di un’ossessione che è, allo stesso tempo, apparente e tangibile, incanalando il loft come il luogo del crimine e dell’esagerazione, un palcoscenico in cui la soubrette si deforma in icona ridondante su passarelle dove il pettegolezzo e la perfezione scandalistica si intersecano nell’esibizionismo, nell’esasperazione fisica, nell’incoscienza del corpo e nell’irruenza dell’immaginazione.
Il rapporto tra la sacralità filmografica e l’aridità nuda emerge con una precisione geometrica calcolata su stoffe ripiegate all’interno di portali esclusivi, impassibili e inaccessibili. La luce, proiettata sul vizio dell’ingratitudine, diventa strumento rivelatore di una tensione inestricabile tra consapevolezza e occultamento, con l’eroe da sipario che si trasforma nel simbolo di una solitudine inquietante: il mostro che affiora da un vuoto esistenziale costante. Carlo Vanzina accelera il ritmo del film, facendo correre ogni sequenza verso una sola direzione; la regia non insegue mai, ma si erge ad assoluta padrona dell’immagine, smontando e ricomponendo la sua estetica con determinazione implacabile, paralizzandola nelle freddezze eteree delle crisi della bellezza; un gioco tra l’aspetto catartico di un cinema asettico e il disastro del barocco sociologico dell’effimero: giogo plurale tra sospetto, mistero e perdizione elitaria.
L’ipocrisia formale e l’ironia tragica dell’immagine

Sotto il vestito niente di Carlo Vanzina si afferma come una delle operazioni cinematografiche più emblematiche del cinema italiano degli anni Ottanta, mettendo in scena ironia, glamour e un’analisi affilata delle dinamiche sociali e dei vizi del consumismo. Vanzina, con maestria stilistica, padroneggia le tecniche persuasive del mezzo visivo, mettendo in risalto la filosofia odierna della fotografia, rimanendo schiavo di un’architettura d’immagine modellata da Vincenzo De Seta; quest’ultimo, infatti, predilige una disposizione centrica degli ambienti dorati, esaltando con disinvoltura la superficialità che il lusso occupa, in un contrasto sempre più evidente tra l’eleganza esteriore e la sciatteria d’anima che permea la narrazione.
La luce calda e coinvolgente che inchioda le scene, risulta essere una riflessione transitoria sull’illusione ingentilita dall’ostentazione.La regia, con un raffinatissimo gioco di equilibri visivi, esalta l’essenza di un vuoto esistenziale che si svela attraverso un minimalismo scenografico, austero e disadorno, in cui ogni dettaglio è scarnificato per rivelare la disperazione nascosta soppressa dalle apparenze del silenzio. Il disordine, costruito dalla direzione artistica, diventa così una potente metafora della dissoluzione di una società inghiottita da solitudini dorate, immergendo lo spettatore in un’atmosfera di intima desolazione.

Intima desolazione sorretta dalla colonna sonora, un flusso continuo e impetuoso, si sviluppa senza vincoli, un’onda ritmica che sfida la tradizione e riscrive il tempo con una patina pop e una sinfonia soft-sintetica, perfettamente in sintonia con la decadenza degli anni Ottanta. Questa leggerezza apparente, che pervade l’intero film, è solo un velo sottile che cela un disincanto tagliente, una critica sottile ma implacabile che percorre l’eccentricità formale e la potenza emotiva di un’opera che sa perturbare la seduzione.
Sotto il vestito niente: valutazione e conclusione
La regia di Vanzina si distingue per la capacità di delineare con precisione le sinuosità drammatiche dell’horror senza cedere alle convenzioni, preparando lo spettatore a un’esperienza priva di orpelli. Interpretativamente coreografa una performance che oscilla tra parodia e autenticità emotiva, creando una filmologia personificata e intrisa di inestricabili molteplicità comiche involontarie riaccese da una invisibile disperazione. La sua abilità nel dosare il sarcasmo con accensioni di intima riflessione emerge come uno dei tratti più raffinati e compiuti di questa scrittura horror con le regole della commedia.
Nel contesto diegetico e formale, Sotto il vestito niente ,si rivela come un’opera che esemplifica l’ipocrisia strutturale, emblema di una decadenza della lucidità cinematografica. La scrittura, abile e penetrante, non si limita a graffiare ma erode impudente le fondamenta stesse di una reputazione corrotta, tracciando i contorni di una società consumistica che, nell’indifferenza, accoglie la sua ineluttabile rovina.
Sotto il vestito niente è un film del 1985 diretto da Carlo Vanzina. In tutti i cinema, in versione restaurata, dal 4 agosto 2025; distribuito da Cat People.