Solo no: recensione del film di Lucilla Mininno

Al Festival Cinema d’iDea – dedicato alle registe donne, la Mininno presenta il suo grido di amore per il teatro e per l'Arte

Giunto alla sua quarta edizione Cinema d’iDea nel 2020 decide di dare voce a registe donne come Lucilla Mininno, che entra nel programma del festival con il suo Solo no. Un lavoro decisamente particolare, il cui messaggio risulta fin da subito potente, ma la cui resa non convince pienamente. Nonostante i suoi difetti, però, a Solo no va riconosciuto il merito di essere un prodotto diverso dal solito, che strizza fortemente l’occhio al cinema sperimentale, aggiungendo un pizzico di noir e di thriller. Una scelta coraggiosa per la regista, che per il suo esordio cinematografico sceglie un linguaggio complesso e non facilmente fruibile. Uno stile che, se da una parte può attirare quella fetta di pubblico interessata al cinema d’autore, dall’altra potrebbe risultare ostico per il grande pubblico non avvezzo a questo tipo di linguaggio. Ricordiamo che, viste le particolari condizioni di quest’anno, il festival Cinema d’iDea si sta svolgendo interamente online: per veder Solo no – e gli altri film in programma – è possibile collegarsi dal 15 al 21 novembre sulla piattaforma streaming www.streeen.org.

Amore, ostinazione e necessità

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Solo no segue la storia di Cecilia (Anna Teresa Rossini), attrice che, come un fantasma, vive da anni rinchiusa nel suo teatro per impedirne la distruzione fisica e morale. Il suo unico legame con la vita, con il mondo, è Francesco (Francesco Zecca), quell’attore più giovane che ha sempre creduto nel suo progetto. I due s’incontrano esclusivamente nella scena di quella Madama Butterfly che non sono riusciti a far debuttare per un misterioso incidente accaduto anni addietro. Cecilia non uscirà dal teatro fin quando Giovanni (Giovanni Boncoddo), il suo Pinkerton, scomparso dopo l’incidente, non tornerà e insieme porteranno in scena l’opera… Ma Francesco non è più lo stesso, il suo sguardo cambia, diventa ambiguo, sfuggente. I confini della scena si rompono, l’equilibrio di silenzio, rigore e disciplina e il codice che lega i due si spezzano. Il teatro diventa un labirinto di sospetti, di porte che aprono al buio delle loro ferite. La vita spinge fuori dalla porta e il passato ritorna per chiudere per sempre il sipario.

Un inno all’amore per il teatro e al ruolo dell’arte

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“Se questo teatro crollerà, non avrò fallito solo io. Avrà fallito, per l’ennesima volta, il più vero, il più intimo e universale progresso di tutti noi.” (Cecilia)

Nelle parole della protagonista si racchiude tutto il senso più intimo del film di Lucilla Mininno: un’opera che parla di amore e ostinazione, amore per quell’Arte – il teatro, nel nostro caso – che può donare forza e può toglierla, che ferisce, destabilizza, unisce, separa. Cecilia si aggrappa disperatamente a quello che conosce e che ama, dimostrando che la forza della fede, a volte, può sostenere una persona anche quando sembra ormai che sia tutto finito. Il suo isolamento autoimposto, tentativo disperato di salvare il suo teatro, è anche il tentativo estremo di salvare se stessa da un mondo esterno che cambia, che si affanna, che rende sempre più difficile trovare qualcosa in cui crede. E che cosa è, l’essere umano, senza qualcosa in cui crede? Cecilia rinuncia a tutto, alla sua vita, alla sua relazione, all’amicizia, pur di credere intensamente e profondamente che con il suo gesto, per quanto apparentemente folle, possa restituire all’umanità quella sfera culturale di cui ha bisogno. Perché un mondo senza Arte, Bellezza e Cultura è un mondo che non consegnerà nulla di sé. Potrebbe sembrare una visione dolorosamente tragica delle cose, eppure la regista lascia anche un messaggio di speranza: lo fa con il personaggio di Francesco, che crede nel teatro, ma in un modo diverso rispetto a Cecilia. Dove lei, fuori dal teatro, vede solo un mondo che si sgretola, lui vede ancora una possibilità per l’Arte: molto bello il passaggio in cui la maestra, vecchia e stanca, apprende che il suo allievo è stato preso come protagonista da una compagnia rispettabile. “Allora c’è ancora speranza”, sussurra stancamente Cecilia, e con questa consapevolezza si forza a rompere quella bolla di vetro in cui si è rinchiusa per fermare il tempo, e si abbandona alla vita di fuori, che chiama con forza.

Solo no: un messaggio potente, ma che non basta

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Nonostante le eccellenti intenzioni di Lucilla Mininno e del forte messaggio a fare dell’Arte che vuole trasmettere con la sua opera, Solo No è un prodotto che ha più ombre che luci, esattamente come la sua ambientazione. Il film è, abbastanza chiaramente, interpretato come se fossimo effettivamente a teatro: se questo funziona per Anna Teresa Rossini, molto brava e intensa, negli altri a volte risulta eccessivo ed esageratamente caricato, risultando spiacevolmente finto. Inoltre, la scelta di utilizzare come linguaggio espressivo il cinema sperimentale non risulta particolarmente azzeccata. La storia di Solo No è già piuttosto drammatica, e questa estrema lentezza, questi dialoghi faticosi, questi non detti e questi lunghi silenzi non aiutano la scorrevolezza del film, che troppo spesso risulta macchinoso, noioso e pesante da seguire fino alla fine dei suoi 87 minuti. Ed è un peccato, perché visivamente il film è molto interessante, soprattutto nel forte contrasto che viene dato all’interno del tetro e al mondo esterno: le scene al chiuso sono buie, desaturate, quasi in banco e nero, e il teatro è avvolto in un’atmosfera cupa e decadente che esprime perfettamente lo stato d’animo di Cecilia. Al contrario, l’esterno risulta particolarmente solare, brillante, luminoso e colorato, e quando esplode davanti agli occhi ci viene da coprirli con una mano proprio come fa Cecilia, abbagliati da una realtà troppo splendente che ci fa paura. Alcuni passaggi sono davvero molto belli, come la sequenza iniziale che ci lascia intendere il momento dell’incendio, o il momento in cui Cecilia, finalmente, termina la sua opera e si affaccia di nuovo al mondo esterno, alla vita. Il tipo di linguaggio scelto, però, fa passare la bellezza registica e fotografica in secondo piano, rendendo Solo No un prodotto fruibile a pochi, quando invece avrebbe meritato di arrivare a più persone per il messaggio potente che manda sul ruolo dell’Arte e sull’importanza di credere nelle proprie idee fino in fondo, a qualsiasi costo.

Regia - 2.5
Sceneggiatura - 2
Fotografia - 3
Recitazione - 2.5
Sonoro - 2
Emozione - 2

2.3