Skywalkers: A Love Story – recensione del documentario Netflix
Skywalkers promette di essere tanto, ma si rivela uno spettacolo senza profondità e verità: da guardare solo per i panorami mozzafiato
Skywalkers: A Love Story si presenta come un documentario romantico, ma il suo cuore si perde tra i grattacieli e i selfie mozzafiato dei protagonisti, Angela Nikolau e Ivan Beerkus. Il film, diretto da Jeff Zimbalist e Maria Bukhonina, cerca di emulare l’intensità di documentari come Man on Wire e Free Solo, ma manca della profondità emotiva e della riflessione che li rendono memorabili. Disponibile in streaming su Netflix a partire dal 19 luglio 2024, è un prodotto gradevole ma superficiale, d’intrattenimento e scenari mozzafiato, ma senza lo spessore che promette allo spettatore.
Skywalkers: A Love Story – tra grattacieli e selfie mozzafiato, molto spettacolo e poca realtà
La pellicola inizia nel 2019, con Nikolau e Beerkus che si preparano a scalare la guglia del Merdeka 118 in Malesia, uno degli edifici più alti del mondo. Questo scenario imponente promette un’esperienza visiva mozzafiato, ma mentre le immagini sono sicuramente spettacolari, la narrazione rimane superficiale. Nikolau e Beerkus sono presentati come moderni trapezisti digitali, che scalano per ottenere visibilità su Instagram, più che per una passione genuina per l’alpinismo.
Angela Nikolau ha un passato interessante: cresciuta in una famiglia circense, ha sempre ammirato i suoi genitori trapezisti. Tuttavia, quando il padre lascia la famiglia, la madre crolla e Angela viene cresciuta dalla nonna. Questo evento traumatico sembra aver spinto Angela a cercare una forma di indipendenza estrema. Vede nel rooftoping una via di fuga e un modo per risplendere, proprio come facevano i suoi genitori sul trapezio. La sua determinazione a superare gli uomini in questo campo è ammirevole, ma il film non riesce a esplorare a fondo le motivazioni più profonde dietro questa sua scelta di vita.
Ivan Beerkus, d’altra parte, è descritto come un amante dell’adrenalina, con il maggior numero di follower su Instagram in Russia. La sua attrazione per Nikolau nasce proprio dai social media, quando vede i suoi post audaci e la invita a unirsi a lui in una scalata sponsorizzata in Cina. La loro relazione si sviluppa tra un post e l’altro, con un rom-com di immagini che li mostra in situazioni romantiche e avventurose. Tuttavia, la loro storia d’amore sembra più costruita per la telecamera che reale.
Il film si sforza di sottolineare che le scalate della coppia rappresentano le sfide e la fiducia che ogni coppia affronta. Tuttavia, questo simbolismo risulta forzato e ripetitivo. I registi cercano di infondere un senso di profondità con metafore sul trapezio, dove il catcher è meno appariscente ma più importante del flyer, ma queste immagini risultano banali e poco convincenti.
Uno degli aspetti più problematici del documentario è la leggerezza con cui vengono trattate le conseguenze letali del rooftopping. Viene mostrato un rooftopper che cade e muore, ma la reazione della coppia è quasi indifferente. Sono più preoccupati per la perdita di sponsorizzazioni che per la perdita di vite umane. Questo atteggiamento solleva questioni etiche che il film non affronta adeguatamente. In un’epoca in cui i social media influenzano fortemente il comportamento delle persone, la mancanza di una riflessione critica sul pericolo di emulazione è una grave omissione.
La colonna sonora del film, che accompagna una scalata di oltre 30 ore con una melodia allegra e spensierata, sembra fuori luogo e contribuisce a rendere il tutto ancora più superficiale. Anche se le immagini delle scalate sono reali, il film stesso ha una qualità artificiosa, come se fosse stato creato per impressionare visivamente piuttosto che per raccontare una storia autentica.
Un momento potenzialmente autentico è l’interazione con un rifugiato ucraino, un clown da circo, che sembra offrire un barlume di verità. Tuttavia, anche qui, la mancanza di consapevolezza di Nikolau la fa apparire egocentrica, incapace di vedere oltre la propria ricerca di fama.
Skywalkers: A Love Story: valutazione e conclusione
Skywalkers: A Love Story non è un brutto documentario, ma presenta delle criticità difficilmente ignorabili. Fallisce, infatti, nel suo tentativo di essere più di un semplice spettacolo visivo. Nonostante le acrobazie mozzafiato e i panorami vertiginosi, il film non riesce a connettersi emotivamente con il pubblico o a offrire una riflessione significativa sui pericoli e le responsabilità del rooftopping. La narrazione resta piatta, le metafore sono banali e il potenziale di una storia davvero avvincente rimane in gran parte inesplorato. In un’epoca in cui i confini tra realtà e performance sui social media sono sempre più sfumati, questo documentario avrebbe potuto offrire molto di più.