Biografilm 2023 – Silent Land: recensione del film

L'esordio alla regia di Aga Woszczyńska, al Biografilm Festival 2023.

Proiettato nel 2021 al Toronto International Film Festival, arriva al Biografilm 2023, Silent Land, primo lungometraggio di Aga Woszczyńska.
La coppia polacca Anna e Adam (Agnieszka ŻulewskaeDobromir Dymecki) affitta una villa in un’isola italiana per una vacanza. Mentre l’isola viene lentamente militarizzata (a causa della crisi migratoria, forse, ma non viene esplicitato) i due si dedicano a prendere il sole, nuotare, mangiare e fare sesso. La loro routine vacanziera viene però turbata da un incidente mortale che coinvolge Rahim (Ibrahim Keshk), giovane operaio clandestino, inviato dal padrone della villa ad aggiustare la piscina. Da questo momento in poi parte una “bancarotta emotiva”, come la definisce la regista stessa, che, attraverso la fredda osservazione di un dramma psicologico, rivela le ipocrisie e le storture di una cultura europea sempre più inadeguata a gestire in maniera civile e umana il dramma delle migrazioni.

Silent Land. Il rigore formale di Aga Woszczyńska

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Silent Land è un film rigoroso, costruito su geometrie dello sguardo ben precise. Si basa principalmente su piani medi e campi lunghi, perché è fondamentale per la regista mostrare sempre i suoi personaggi inseriti nell’ambiente circostante. Così facendo, attraverso anche l’utilizzo di una recitazione molto stilizzata, debitrice forse di quella in trance che alle volte utilizza Lynch, la Woszczyńska sottolinea costantemente lo spaesamento, con annessa tensione nascosta, nei suoi protagonisti, i quali vivono come assediati da una forza oscura e inespressa. A ottenere questo effetto concorre inoltre l’aver bandito l’uso della camera a mano – c’è solo una steady in una sequenza onirica – e il ponderato utilizzo di pochi movimenti di macchina fluidi e significativi, che spesso abbandonano i protagonisti nel mezzo di un’azione o dialogo, per andare a inquadrare una porzione di spazio, che assume dei tratti alieni. Ciò ridimensiona l’importanza del visibile, spingendo gli avvenimenti in un fuoricampo di cui sentiamo solo i rumori. Il sound design allora traccia un’alternanza di pieni e vuoti in cui i silenzi della voce umana, riempiti dai rumori di una natura minacciosa, divengono emblema di quel male oscuro che sembra attanagliare la coppia.

Il fantasma delle migrazioni nella silente terra europea

Ma l’autrice ben presto capovolge il gioco e ci fa intuire sottilmente, ma inesorabilmente, che questa tensione, questa angoscia oscura, questa natura minacciosa, che agisce nel non visibile, ha reali effetti nefasti solo su coloro i quali sono relegati sempre nel fuori campo della civiltà occidentale, cioè i migranti, i profughi, la cui presenza incombe costantemente, ma di cui si parla poco e i cui corpi non sono mostrati. O meglio, brevemente la regista ci mostra solo quello di Rahim. Un corpo diverso, in tutto e per tutto, sia da quello dei protagonisti, che da quello degli italiani e della coppia di sub francesi che Anna e Adam incontreranno. La diversità di status è anche diversità fisica, linguistica e di colore, in definitiva diversità quasi ontologica. Proprio per questo durante le brevi apparizioni del giovane uomo, si ha l’impressione che l’intero ambiente domestico cerchi di espellerlo. Anna e Adam stessi provano a ignorarlo. Ne sono alternativamente infastiditi (per i rumori che produce il suo lavoro nella piscina) o attratti (Anna, sessualmente), ma sempre a distanza. Lo guardano da dietro una finestra o dalla terrazza, come fosse un animale esotico e probabilmente pericoloso. Quello che manca in tale dinamica è il suo riconoscimento in quanto essere umano. Anche la sua morte, i protagonisti, vorrebbero derubricarla a evento accidentale e privo di importanza. Eppure non possono. Aga Woszczyńska senza esitazioni, prendendo una posizione etica ben precisa, trasforma l’evento della morte del profugo in una sorta di tempesta psichica che scardina le sicurezze borghesi di Anna e Adam. Fa emergere così non solo le ipocrisie dei due, ma anche quelle della piccola cittadina, fatta di poliziotti razzisti, operatori turistici arraffoni ed europei apolidi – la coppia francese, inizialmente presentata come molto diversa da Anna e Adam, alla fine appare accomunata ai due dalla gretta incapacità di interessarsi ad altri all’infuori di sé stessa.

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La figura del migrante ridotta, dall’intera società europea, a figura non umana, fantasmatica personificazione di un inesistente assedio – nella realtà storica sono le nazioni europee ad aver assediato e colonizzato i paesi africani e mediorientali – diventa, nel film, un vero e proprio fantasma di cui l’Europa non si libererà finché non ne riconoscerà l’umanità e dunque i diritti.

Silent Land: valutazione e conclusione

La regia è razionale e chirurgica nella messa in scena. La fotografia è caratterizzata da un’eccezionale pulizia, nella sua determinazione a restituire la luce e le geometrie dell’isola italiana in chiave sinistra. La recitazione molto stilizzata, ma adatta allo scopo. Il sound design aggiunge ulteriore senso al film creando una narrazione parallela. Forse l’unico difetto è che in alcuni passaggi della sceneggiatura i protagonisti risultano palesemente vettori di una certa metafora. D’altronde questa piccola imperfezione è bilanciata dalla capacità dell’autrice di mantenere sfumature positive e negative per entrambi i protagonisti. In definitiva Silent Land si può considerare davvero un ottimo esordio.

Regia - 4.5
Sceneggiatura - 3.5
Fotografia - 4
Recitazione - 3.5
Sonoro - 4
Emozione - 4

3.9