Sick of Myself: recensione del film di Kristoffer Borgli

Sick of Myself, il film norvegese diretto da Kristoffer Borgli ed interpretato da Kristine Kujath Thorp ed Eirik Saether, è al cinema dal 5 ottobre 2023 con Wanted Cinema.

Kristoffer Borgli porta al cinema Sick of Myself, una sorta di cautionary tale che non ha niente di romantico ma che accende i riflettori su tutto il disagio e la follia a cui può giungere la mente di chi ha costruito un’immagine del tutto distorta di ciò che significhi davvero amare ed essere amati. Il film con Kristine Kujath Thorp e Eirik Saether tiene con il fiato sospeso fino alla fine, proprio perché capace di nutrire la curiosità di sapere se esiste un limite a qualcosa di cui, in fondo, tutti siamo circondati ogni giorno e che questa opera ci costringe a vedere senza voltarci dall’altra parte.

Fino a dove può spingerci la paura dell’anonimato?

Sick of Myself: recensione del film di Kristoffer Borgli - Cinematographe.it

Si può mettere a repentaglio la propria incolumità per un sentimento nutrito nei confronti di un’altra persona? Probabilmente si è sempre fatto e sempre si farà. Il vero problema, però, è quando si abusa della parola “amore”, nascondendo dietro di essa un universo di quelle che potremmo tranquillamente definire come vere e proprie patologie mai riconosciute o risolte con se stessi. In questo caso, infatti, non è tanto per amore che avvengono le cose mostrate sullo schermo ma, piuttosto, per la totale assenza di amore, soprattutto per se stessi. Un’assenza che ti porta a non temere di infliggerti ferite “esterne” se questo potrebbe aiutarti a colmare le ferite, evidentemente più profonde e dolorose, che hai dentro. Non a caso il sottotitolo di Sick of myself è “an unromantic comedy”: ringraziamo il cielo che venga sottolineato quanto niente di tutto ciò che vediamo sia riferibile a qualsivoglia forma di romanticismo (cosa che, ahinoi, non accade quando quotidianamente i media ci informano degli ennesimi casi di omicidi definiti “passionali”, laddove nulla ha davvero a che fare con passione e romanticismo, ma, lo ripetiamo fino allo sfinimento, solo con patologie irrisolte).

Dicevamo, non c’è niente di romantico o romanzato in Sick of Myself: il regista mostra, in maniera molto nuda e cruda, il perverso labirinto nel quale può perdersi ogni mente umana, anche la più insospettabile, persino la nostra. Al posto del filo di Arianna per ritrovare la strada della razionalità, la protagonista (ma potremmo tranquillamente parlare al plurale, visto che di patologie è pieno anche il co-protagonista maschile) lascia dietro di sé una lunga serie di menzogne che finiscono per farle perdere completamente il senno, portandola a costruire una narrativa distorta, capace di convincere chi è intorno a lei e, in certi momenti, anche se stessa. In alcune scene, infatti, la vediamo fantasticare sui possibili risvolti positivi che potrebbero scaturire dal suo piano diabolico, trovando un appiglio per pensare che, in fondo, quello che sta facendo non sia poi del tutto sbagliato. In fondo lo sta facendo per amore… nella sua testa. Noi che la osserviamo da fuori, invece, non possiamo che provare un forte senso di disagio, nonché la voglia di urlarle di fermarsi, perché ormai incapace di riconoscere un limite alle proprie follie.

Kristoffer Borgli racconta una piaga sociale, lasciando una tenue possibilità di redenzione

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Un’opera non molto adatta ai deboli di stomaco, che ti lascia una sensazione di nausea e disturbo una volta lasciata la sala ma che, comunque, lascia spazio anche a scene talmente grottesche da rendere difficile il trattenere più di una risata. Dall’inizio alla fine emerge la brama di calamitare l’attenzione degli altri, non solo del proprio fidanzato che, lo ricordiamo, soffre della stessa patologia ma è fin troppo innamorato di se stesso per pensare, anche solo lontanamente, di mettere a repentaglio la propria immagine (soprattutto per qualcun altro che non sia lui stesso). In un quadro così malsano si salva solo l’amica della protagonista, la quale, però, si sente incredula e impotente quanto noi di fronte ad un tale livello di disagio. Tutto il resto fotografa perfettamente le contraddizioni e le mancanze di un mondo nel quale noi stessi ci ritroviamo quotidianamente a vivere, dove la tecnologia ci permette di essere costantemente collegati ma la sempre più carente empatia non ci fa accorgere davvero delle persone che abbiamo intorno a noi, a meno che queste non raggiungano un punto di non ritorno o non finiscano sulla prima pagina di qualche giornale che spettacolarizza il loro dramma.

Sick of Myself: valutazione e conclusione

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Sick of myself narra un disagio generazionale, una contemporaneità dove l’unica cosa che conta è apparire: non importa come o attraverso quali mezzi, talmente tanta è la paura di risultare anonimi e di cadere nell’oblio senza lasciare traccia di sé dopo il proprio passaggio sulla Terra. E allora non è solo la protagonista ad essere “stanca di se stessa”, come ci dice il titolo dell’opera, ma dovremmo esserlo anche noi di tutto quello che rappresenta la nostra realtà, in cui sempre più cose ci urlano di fermarci, perché ormai incapaci di riconoscere un limite alla nostra follia.

Regia - 3
Sceneggiatura - 3
Fotografia - 3
Recitazione - 3
Sonoro - 3
Emozione - 3.5

3.1