Shiva Baby: recensione del film d’esordio di Emma Seligman

In uscita l'11 giugno sulla piattaforma streaming MUBI, l'opera prima della giovane regista è una cringe comedy con del potenziale, a cui quel "qualcosa" in più.

Una commedia ebraica in chiave horror. O un horror mascherato da commedia ebraica. Non è facile classificare Shiva Baby, film che maschera sotto situazioni al limite della sopportazione i disagi di una cultura specifica, ma anche di un’intera generazione. Se pensavate di conoscere il cringe, quella sensazione che fa accapponare la pelle e fa venire voglia di urlare ai personaggi di fuggire via, aspettate di vedere Shiva Baby. La situazione ingarbugliata in cui si trova la protagonista Danielle è così ai limiti del disagio da diventare quasi fastidiosa da guardare. Il risultato è una commedia crudele, scritta in modo che si muova su due piani, raccontando da una parte la cultura ebraica – un po’ come fa (in modo imbattibile) La fantastica signora Maisel – dall’altra il disagio di una generazione che spesso fatica a trovare il suo posto nel mondo.

Pur presentandosi in una confezione ben realizzata e basandosi su un’idea buona, Shiva Baby non è perfetto e ha alcuni problemi legati soprattutto alla storia, di cui si ha la sensazione che rimanga incompleta. Probabilmente questo difetto è figlio dell’origine del film, che è l’evoluzione di un omonimo cortometraggio scritto e diretto dalla stessa regista. La sensazione è che, passando da una manciata di minuti a più di un’ora di film, la storia sia troppo “breve” per lasciare lo spettatore pienamente soddisfatto.

Shiva Baby: una cringe comedy dove la famiglia diventa soffocante e asfissiante

Il film si svolge durante una sola giornata, in cui Danielle (Rachel Sennott), una ragazza ebraica bisessuale, femminista e che si guadagna da vivere con lo sugar dating, viene costretta a partecipare dai genitori a uno uno shiva, un momento appartenente alla tradizione ebraica in cui, dopo un funerale, ci si ritrova nell’abitazione della famiglia del defunto. Danielle si trova in difficoltà in questi momenti, in cui sia i genitori sia amici e parenti sono pronti a giudicarla e a passarla alla lente d’ingrandimento. Come se non bastasse, ad aumentare il suo disagio ci pensa la presenza della sua ex ragazza Maya (Molly Gordon) e del suo sugar daddy Max (Danny Deferrari), che Danielle scopre essere sposato con una splendida donna in carriera (Dianna Agron) e con una figlia di 18 mesi. Tra dialoghi imbarazzanti, bugie, equivoci e colpi bassi, la casa diventerà un vero incubo.

Una cringe comedy dalle sfumature horror su quanto è difficile trovare la propria strada 

Shiva Baby Cinematographe.it

Il nome singolare Shiva Baby è in realtà la perfetta unione tra il concetto alla base del film di Emma Seligman, quella lotta tra le aspettative che gli altri hanno per te e quello che tu vuoi fare, magari anche sbagliando. Shiva viene, per l’appunto, dalla veglia funebre ebraica che fa teatro tragi-comico alla vicenda, mentre baby si riferisce al mestiere di Danielle, che si mantiene offrendo prestazioni sessuali a pagamento a uomini più grandi di lei. Questa intersezione continua tra intimità e isolamento che è alla base è troppo specifica per essere casuale, e infatti non è una sorpresa scoprire che la giovane regista condivide con il suo personaggio ebraismo e bisessualità, e anche un periodo di lavoro come sugar baby. In questo modo, riesce a esprimere dinamiche e sentimenti universali. Ma ancorandosi con la macchina da presa a Danielle, la Seligman racconta anche il mondo delle dinamiche culturali degli ebrei-americani, fatto di pressioni sociali, incomprensioni familiari, pettegolezzi, aspettative e imposizioni che rendono la vita sociale – familiare e comunitaria – un vero incubo.

E dell’incubo il film prende le sfumature, trasformandosi in una specie di horror psicologico man mano che il disagio di Danielle aumenta. Lo notiamo dall’uso della colonna sonora firmata da Ariel Marx e dal cambio della fotografia che inizialmente è luminosa e che diventa sempre più cupa, con tinte tipiche del thriller. Un cambio stilistico che accompagna lo spettatore nella crescita del disagio, ma che racconta anche la tensione lacerante di una ragazza alle prese con la scoperta di sé stessa, sospesa tra la tradizione di cui è parte e un mondo moderno in cui non sa ancora quale è il suo posto. Anche se l’idea di base è interessante, il problema di Shiva Baby è che lascia insoddisfatti. Quando arriviamo al massimo punto di rottura finale, ecco che arrivano i titoli di coda lasciando uno spiacevole senso di incompiuto, come se la storia si interrompesse proprio sul più bello. Inoltre, il film paga l’assenza di una scena madre, un momento memorabile che spicca  su tutti gli altri e che rimane impresso in chi guarda. Si sussegue un lento accumulo di situazioni che caricano l’attesa verso una scena esplosiva che, purtroppo, non arriva mai.

Shiva Baby: ottimo esordio tecnico con una protagonista convincente

Shiva Baby Cinematographe.it

Nonostante la storia non convinca pienamente, il comparto tecnico è invece molto buono, soprattutto se si pensa che Shiva Baby è un film low budget realizzato da una regista esordiente di appena 26 anni. La scelta di ambientare il film quasi interamente all’interno di una casa è vincente, perché l’opera diventa quasi una pièce teatrale in grado di trasmettere tutto il senso di ansia che vive Danielle. Più la casa si riempie di gente più ci sentiamo soffocati, e quando arriva la (poco) allegra famigliola dello sugar daddy, quel delizioso ambiente di periferia si trasforma in una prigione. Il senso di claustrofobia crescente ci arriva anche dalle inquadrature: sempre strette e attaccate ai personaggi, non li lasciano respirare cogliendo tutta una serie di sguardi ed espressioni che dicono più delle parole. In questo gli attori sono bravi, soprattutto la giovane protagonista Rachel Sennott, coetanea della regista e anche lei praticamente esordiente. Il suo sguardo buca lo schermo e il suo viso riesce a trasmettere tutta la gamma di emozioni che tormentano Danielle durante la shiva, un’insicura che lotta tra l’affermarsi e le aspettative della tradizione.

Grazie all’umorismo tipicamente ebraico messo in scena, Shiva Baby non diventa un film che soffoca ma rimane una commedia grottesca dalle tinte thriller. Una commistione di generi che rende l’opera prima di Emma Seligman un buon esordio, pur con i suoi difetti, per una ragazza di cui sicuramente sentiremo ancora parlare.

Regia - 2.5
Sceneggiatura - 2
Fotografia - 2.5
Recitazione - 2.5
Sonoro - 2.5
Emozione - 1.5

2.3