Sangue nella bocca: recensione del film

Recensione di Sangue nella bocca, film diretto da Hernàn Bèlon che parla di pugilato e della fatica di abbandonare la giovinezza, il passato.

Sangre en la boca (in italiano Sangue nella bocca) ha come protagonista l’irrequieto Ramon Alvia (Leonardo Sbaraglia), pugile argentino di grande esperienza e valore, per il quale sembrano non esservi alternative oltre a salire sul ring e combattere. A quasi 40 anni, il pugnace Ramon non sembra convinto di voler mollare, nonostante la moglie Carina (Erica Banchi), i figli, gli amici, persino chi sta al suo angolo gli chieda di appendere i guanti al chiodo.

Nel suo ultimo combattimento Ramon ha battuto un giovane pugile venezuelano, vincendo l’ennesimo titolo continentale, ma rimediando ferite tutt’altro che leggere, motivo per il quale decide apparentemente di voler accontentare la moglie e aprire con lei un negozio. Tuttavia a rovinare tutto ci pensa la giovane Deborah (una conturbante Eva de Dominici), bellissima e procace ragazza messicana che comincia ad allenarsi nella sua palestra di pugilato. In breve tra i due comincia una relazione clandestina alquanto turbolenta e instabile, che porterà entrambi (ma soprattutto Ramon) a un punto di rottura totale con il loro passato, con ciò che credono di volere e di essere.

Sangue nella bocca: un film sul tramonto della giovinezza, oltre successo e fallimento

Diretto da Hernàn Bèlon (già regista de Il Campo) Sangue nella bocca si muove sulle linee instabili di una sceneggiatura scritta dallo stesso Bèlon e da Marcelo Pitrola, che ci descrive il tramonto della giovinezza di un uomo abituato da sempre a vivere in un mondo dove la forza, la decisione, la vittoria, sono il metro con cui si misura il successo o il fallimento.

Immaturo, volitivo, naufrago della sua stessa esistenza, Ramon ha l’espressione malandrina e sperduta di un Leonardo Sbaraglia assolutamente perfetto nel mostrarci un personaggio alquanto sgradevole, superficiale, egoista, ma umano. Il suo Ramon è il perfetto ambasciatore degli eterni ragazzi mai cresciuti, ma anche di un universo, quello della boxe di “periferia”, dei piccoli campioni locali o nazionali, mai veramente arrivati ai palcoscenici che contano, figli della miseria e dell’ignoranza che fuggono continuamente, ma di cui non riescono a scacciare del tutto l’influenza. E che sovente anche in Italia vedono la loro esistenza naufragare o deragliare. I nomi di Loris Stecca, Mirco Ricci, Vincenzo Nardiello, Mauro Galvano, Romolo Casamonica sono quelli più noti per ciò che riguarda l’incapacità di avere un futuro dopo il ring normale o anche di rimanere fuori da giri sbagliati.

La fotografia di Sangue nella bocca è soffocante, labirintica, ma il film è prevedibile

La fotografia di Guilliermo Neto è perfetta nel valorizzare le luci e ombre di un universo oscuro, grigio, stantio, soffocante dove gli spazi chiusi attorniano il protagonista come una gigantesca trappola, un gigantesco labirinto che non permette mai di essere liberi.

Il montaggio di Natalie Cristiani sublima la buona regia di Bèlon soprattutto per quello che riguarda i match sul ring, abbastanza realistici e fluidi, anch’essi mezzo di espressione per un protagonista che solo nella sofferenza, nell’instabilità, si sente vivo, si sente sé stesso, che rifugia l’equilibrio in modo sistematico.

Tuttavia vi è un grosso problema di intensità e di iter narrativo, dal momento che l’insieme manca di reali svolte, di variazioni di ritmo, risulta alla fin fine abbastanza prevedibile, nonostante l’energia e la vitalità che i protagonisti danno ai loro personaggi, le cui interazioni sono tanto sopra le righe quanto in realtà assolutamente plausibili e coerenti con l’universo di appartenenza.

Sangue nella bocca cinematographe.it

Se Ramon in Sangue nella bocca infatti appare come personaggio abbastanza distante dall’antieroe o dall’eroe, quanto piuttosto un’umanissima canaglia, un ex maschio alpha che non accetta il tramonto e insegue un ultimo scampolo di giovinezza e di spensieratezza (anche a costo di rimetterci la famiglia e tutto ciò che ha attorno), sono Carina e Deborah ad apparire sicuramente più interessanti come personaggi. Apparentemente dimessa, ingenua e succube di questo marito così incostante e inaffidabile, innamorata ma non per questo cieca, la prima lotta finché può per riaverlo, per poi abbandonarlo e riprendere la propria dignità e la propria libertà.

Deborah, ennesima donna oggetto, altare della giovinezza perduta, è invece una pupa verso la quale il protagonista sfoga frustrazioni e incapacità di cambiare, di controllare la sua vita. Il sesso è centrale nel descrivere la relazione con entrambe, il confronto tra la dimensione romantica, rassicurante e quotidiana nel primo caso, carnale, senza controllo, ma spensierata nel secondo.

Sangue nella bocca cinematographe.it

Sangue nella bocca: la contrapposizione tra ring e vita

Sangue nella bocca alla fin fine si nutre della contrapposizione tra ring e vita, tra il loro esser simili eppure diversi. Nel primo non vi è altra preziosa certezza, di azione e reazione, causa ed effetto, dell’appartenere a un universo dove se non altro si sa quali possono essere le conseguenze, e dove ogni cosa bene o male può dipendere da noi. La vita, invece, non ha regole scritte, non ha regole chiare, non segue alcun percorso certo, ed è lì che il protagonista si perde, incapace di andare oltre sé stesso, il proprio egocentrismo, di capire che è il momento di cambiare.

“Per ogni pugile” diceva Ron Lyle, pugnace talento del ring dei tempi di Mohammad Alì mai sbocciato del tutto, “l’ultimo incontro è sempre quello successivo”. Anche di questo parla il film di Bèlon, dell’incapacità per moltissimi combattenti di dire basta, di quanto per molti proprio la sicurezza di ciò che è la vita tra quelle corde (per quanto terribile), verso l’anonimo caos del fuori dal ring sia irrinunciabile.

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Perché per Ramon, come per cento, mille altri pugili come lui, tutto ciò che hanno e che sono diventati lo devono a quei pugni, a quei salti con la corda, a quel sacco, che gli ha dato fama, rispetto, la sensazione di essere finalmente qualcuno e non più dei nessuno, di valere qualcosa.

E Sangue nella bocca, con tutti i suoi limiti, il suo essere a volte troppo auto-indulgente, con una parte sonora ben poco riuscita, parla in modo perfetto, a pochi giorni dalla morte di due pugili sul ring in questo 2019, della spietata promessa di rivalsa e gloria che rappresenta la boxe per uomini che dietro una scrivania o in un ufficio non potrebbero mai starci. Meglio quel sangue in bocca, meglio sentirsi vivi al rischio di essere morti o morenti che morire lentamente.

Il film arriva nelle sale italiane a partire dal 1 agosto 2019 distribuito da Cinedea srl.

Regia - 3
Sceneggiatura - 2.5
Fotografia - 3.5
Recitazione - 3.5
Sonoro - 2
Emozione - 3.5

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