Roma FF18 – Roma, santa e dannata: recensione del documentario di e con Roberto D’Agostino

Il film, diretto da Daniele Ciprì, approfondisce bene le contraddizioni della Città Eterna, tra sensualità e sacralità, raccontando una Roma che non esiste più con un linguaggio estremo e provocatorio.

Roma, santa e dannata è il nuovo documentario diretto da Daniele Ciprì (È stato il figlio, La buca) con il contributo artistico di Paolo Sorrentino che vede il coinvolgimento, sia fisico che narrativo di due giornalisti “al limite” ovvero Roberto D’Agostino e Marco Giusti pronti a raccontare, in un viaggio notturno e infernale, l’universo nascosto della Capitale tra sesso, perversioni, follie e una libertà sfrenata in aperta contrapposizione con l’immagine sacra e religiosa di Roma, sede del potere papale da millenni.

Roma, santa e dannata - Cinematographe

Tra sacro e profano, un’avventura mistica, provocatoria e catartica che però tende a ripetersi, proponendo un linguaggio nudo e schietto che automaticamente respinge un certo tipo di pubblico. Roma, santa e dannata, prodotto da The Apartment, Kavac, Rai Cinema, è in arrivo nelle sale italiane, con Altre Storie, dal 6 novembre 2023, oltre ad essere stato presentato alla 18esima edizione della Festa del Cinema di Roma nella sezione Special Screenings.

Roma, santa e dannata: aprire le porte di una dimensione oramai perduta

Roma, santa e dannata 3 - Cinematographe

Roma, santa e dannata, al di là delle criticità che analizzeremo più avanti, ha, per prima cosa, un valore inestimabile: è un documento orale, visivo e narrativo di un luogo perduto, che sembra permanere solo nelle storie di periferia, in stralci di filmati introvabili, in macerie che riescono, ancora, ad evocare un ricordo. Una Roma che, nonostante sembra persa, è parte integrante del tutto, come inglobata in un particolare microcosmo della città. Enrico Vanzina, tra gli ospiti di questo peculiare viaggio, usa un’immagine molto calzante di questa perenne compenetrazione della Città Eterna, ricordando che proprio nella Capitale convive una storia di secolare memoria collettiva dove Medioevo, Fascismo, Rinascimento, Barocco, Post-Modernismo si intrecciano insieme, mantenendo sempre e comunque la propria identità.

Di conseguenza, il lavoro di D’Agostino e Giusti è di riscoperta, di restauro di un lato proibito che, per forza di cose (specialmente per ovvi motivi anagrafici) alcune generazioni non possono conoscere. Intrigante lo schema narrativo che, per tutta la durata del film, va avanti per contraddizioni e opposizioni, cominciando, chiaramente, con l’incongruenza più grande e palese di tutte: nella terra del Vaticano non poteva che svilupparsi un movimento underground che esorcizzava e riprendeva sotto la propria ala tutte le condanne e vizi ripudiati dalla Chiesa Cattolica. Tutto questo è complicato da capire nel 2023, con una società in perenne trasformazione che, mano a mano che andiamo avanti, si avvicina sempre di più ad una libertà mai vista nella storia (anche se il bigottismo così come il conservatorismo permangono in determinati contesti). Erano tempi diversi e mai così lontani, ma per fortuna vivi nella memoria.

Ricordi che riemergono attraverso le parole dei tanti ospiti che sono stati coinvolti all’interno del film che hanno toccato inevitabilmente questa romanità vorticosa e peccaminosa: da Massimo Ceccherini al già citato Vanzina, da Vladimir Luxuria a Carlo Verdone fino a passare per Sandra Milo, Vera Gemma e molti altri che, con estrema naturalezza, portano alla luce aneddoti divertenti, scorribande proibite, viaggi nella notte. Tutte imprese che ora non possiamo capire ma che, all’epoca, hanno rappresentato un’importante anelito di libertà a cavallo tra la metà degli anni 60′ e gli 80′. Una delle qualità più impattanti della pellicola risiede anche nell’unire diverse suggestioni dai più svariati campi.

Il mondo della politica si intreccia con quello del porno, la letteratura attraversa il cinema e così via: tutte diverse realtà che confluiscono sempre e comunque in un’unica direzione. Parliamo della mondanità e della ribellione come valori assoluti in un’ottica viscerale ed edonistica che è veramente difficile comprendere ora e che rivive nelle esperienze e nelle parole di personaggi noti che sono evocati continuamente come Silvio Berlusconi, Gianni Agnelli, Ennio Flaiano, Alberto Sordi, Bettino Craxi. Purtroppo, però, questa “seduta spiritica” carnale non va esattamente come dovrebbe.

Perdersi e ritrovarsi

Roma, santa e dannata 2 - Cinematographe

Si, perché finché Roma, santa e dannata si limita ad appoggiarsi ai personaggi vivi coinvolti e alle loro testimonianze, il pubblico riesce a seguire più facilmente questo flusso narrativo e contenutistico, quando invece coinvolge anche la presenza di altre figure non presenti ecco che si va a creare un po’ di confusione. Sicuramente non aiuta nemmeno l’idea di perseguire, con la sceneggiatura, una linea tematica più che cronologica che ha sicuramente il suo dannato fascino perché favorisce l’introspezione, ma che però si perde più di una volta anche in concetti totalmente agli antipodi. Il risultato è che non si comprende, a tratti, il messaggio di fondo, anche se il ricordo delle perversioni e delle dissacralità permane eccome.

Un altro problema fondamentale che poi, alla fine, è il perno centrale dell’intera pellicola, è il linguaggio estremo e diretto che D’Agostino e Giusti hanno scelto di adottare che potrebbe effettivamente non essere apprezzato da un certo tipo di pubblico. È assolutamente vero che il film, fin dall’inizio, si presenta come un’indagine di nicchia, ma al tempo stesso è anche opportuno capire che non sembra esserci un’apertura di fondo nei confronti di un pubblico generalista. Da un lato questo è un pregio nell’ottica in cui l’opera ha ben chiara la destinazione, dall’altro è un marchio respingente che si inimica la maggior parte dei fruitori.

Per quanto riguarda, invece, la scelta propria di coinvolgere D’Agostino e Giusti c’è poco da dire: una coppia perfettamente designata per questa avventura infernale tra i vicoli di una Roma notturna. La graffiante ironia e sagacia del primo che va a scontarsi con la formalità dell’altro è una cifra stilistica funzionale ed efficace che permette di entrare in connessione facilmente con il documentario, nonostante qualche ripetizione qua e là a livello di tematiche. Questi novelli Dante e Virgilio (come si autodefiniscono ironicamente all’inizio del film) hanno quindi il carisma e la cultura giusti per reggere l’intero lungometraggio anche perché siamo certi che, prendendo altri due nomi, il risultato non sarebbe stato affatto lo stesso.

Chiudiamo parlando della regia di Roma, santa e dannata che, alla fine della giostra, sembra effettivamente essere l’unico elemento stabile dell’intera produzione. La mano ferma e sicura di Virzì, infatti, vira la narrazione verso schemi ben precisi, sfruttando in modo suggestivo i vari contrasti scenici che solo il paesaggio notturno romano può regalare. L’opposizione visiva più evidente e solida è rappresentata dall’opposizione tra la luce di San Pietro e le ombre del Tevere, mentre, a livello stilistico, il cineasta talvolta utilizza il bianco e nero per rafforzare le contraddizioni narrative.

Roma, santa e dannata: valutazione e conclusione

D'Agostino e Giusti - Cinematographe

Una regia espressiva, portatrice di contrasti scenici e stilistici; una sceneggiatura vulcanica e graffiante che si perde in direzioni inaspettate; una fotografia ben calibrata dalle infinite suggestioni; un sonoro assordante che cavalca il dissenso e la perversione; un viaggio insolito dai toni pulp ed estremi. In conclusione un progetto di nicchia che indaga il lato oscuro della romanità, lontano dai riflettori e dalla storia.

Regia - 3.5
Sceneggiatura - 3
Fotografia - 3.5
Sonoro - 3.5
Emozione - 3.5

3.4