Biografilm 2022 – Rimini: recensione del film di Ulrich Seidl

Il nuovo film di Ulrich Seidl, che fa di una Rimini invernale e aliena il teatro della fine della società europea.

Il Biografilm Festival 2022 ha ospitato l’anteprima italiana dell’ultimo lavoro di Ulrich Seidl, Rimini. Per quest’opera l’autore austriaco, dopo l’interessante documentario Im Keller (2014) e lo sgradevole ibrido documentario/fiction Safari (2016), ritorna al film di fiction vero e proprio. Il suo sguardo cinico e spietato sull’umanità contemporanea può così esser restituito a un contesto che, scevro di contraddittorietà estetico-contenutistiche, ne attualizza le potenzialità in un affresco sulla condizione umana e culturale dell’Europa moderna, di rara desolazione.

La storia raccontata nel film è quella di Richie Bravo (Michael Thomas), cantante di schlager, una particolare musica leggera, diffusa in Germania e Austria. Bravo vive la maggior parte del suo tempo a Rimini, dove, durante l’inverno, intrattiene comitive di turisti tedeschi e a volte si prostituisce per le sue attempate fan. La madre di Richie muore a inizio film, il fratello (Georg Friedrich) vive in Romania, mentre il padre di Richie (Hans-Michael Rehberg) è ospite di una casa di riposo in Austria. La vita del cantante si svolge nella città romagnola, fra il ricordo camp di una celebrità sbiadita e i cialtroneschi tentativi di tirare a campare. Le cose prendono una piega inaspettata quando Tessa (Tessa Göttlicher), figlia diciottenne del protagonista, ritorna prepotentemente nella sua vita. La giovane donna, accompagnata dal fidanzato di origine mediorientale (Amir Kozman), pretende i soldi del mantenimento che Bravo avrebbe dovuto versare, negli anni, a lei e all’ex moglie.

Rimini: lo sguardo cinico e spietato di Ulrich Seidl

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La località balneare, teatro delle disavventure di Bravo, è messa in scena come uno spazio simbolico. Ogni inquadratura della città è costruita sul principio di una profondità di campo che accentua le linee di fuga prospettiche verso un orizzonte quasi sempre inghiottito dalla nebbia, dal buio, dal mare o dalla neve. È come se la razionalità architettonica che delimita gli spazi urbani della società umana fosse lentamente sopraffatta dalle forze della natura. Le lunghe peregrinazioni di Bravo in cerca di nuovi modi per racimolare denaro, allora divengono i tentativi dell’individuo moderno di sopravvivere a una fine imminente e impossibile da evitare. D’altronde il fatto che il protagonista non sia solo un disperato qualsiasi, ma una immagine dell’uomo europeo in preda a una crisi identitaria, è sottolineato da Seidl in maniera sottile ma inequivocabile. In questa direzione va l’attenzione per il rapporto con il padre, che rappresenta il legame con una ideale (ma non idealizzata) tradizione culturale europea. L’anziano genitore è dipinto, infatti, in una fase di regressione senile, perduto in un mondo di sentimentalismi, canzoni popolari della gioventù e ricordi del suo periodo da nazista. Eppure recupera un momento di lucidità per fare un saluto romano verso la macchina da presa e affermare che «ciascuno ha ciò che si merita», dopo che il figlio ha cercato di rubargli gli ultimi risparmi. Cioè egli ha il figlio che si merita. Il fallimento di quella cultura di matrice tedesca, diffusa in tutta Europa e che ha portato al nazismo, non può che generare lo squallore kitsch del sistema democratico liberista, imposto dalla cultura statunitense dopo la guerra: dalle canzoni sentimentali del Reich alla versione pop dello schlager; dall’idea di un popolo unito sotto un’unica cultura e un’unica razza all’individuo isolato, espatriato e costantemente in cerca dei mezzi per sopravvivere; dal nazismo al capitalismo.

Non vi sono vie d’uscita per Seidl. Si passa da un fallimento dell’umanità a un altro. Così Bravo, ma anche tutti gli altri personaggi, non possono che vagar per una Rimini invernale, vuota e aliena. Cercano vie di fuga dalla povertà, dalla solitudine e dall’alienazione, ma si trovano davanti solo le mura dei nuovi templi del kitsch, discoteche, hotel, bar e balere. Qui lo schlager diventa il segno dell’impossibilità comunicativa fra gli esseri umani. Esso canta di affetti e sentimenti, dovrebbe creare empatia fra i suoi ascoltatori, favorendo il nascere di una comunità, ma non è così. Finita la musica ognuno è di nuovo solo e se può approfittare del prossimo, economicamente o sessualmente, lo fa. Sembra di sentire riecheggiare le parole di Adorno che riteneva la musica leggera, in quanto destinata semplicemente al consumo, «direttamente complementare all’ammutolirsi dell’uomo, all’estinguersi del linguaggio inteso come espressione, all’incapacità di comunicazione» (Adorno, Introduzione alla sociologia della musica, 1971). La compravendita del proprio corpo, dei propri beni e della propria identità sono l’unica attività possibile in questo mondo in decadenza.

Una riflessione sulla decadenza

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All’opposto, coloro i quali creano nuove comunità, appaiono essere i migranti. All’inizio presentati quasi come elementi scenografici, silenti testimoni della decadenza, incarnano una presenza sempre più pressante durante lo svolgersi della vicenda. Nel finale essi arrivano a rubare la scena allo stesso Bravo, quando Tessa e il fidanzato vanno a vivere nella vecchia villa del cantante, accompagnati da tutta la comunità musulmana, cui appartiene il ragazzo di lei. Ancora una volta Seidl, come già in Paradise: Love (2012) e Paradise: Faith (2012), offre una riflessione non scontata sul rapporto tra il decadimento della tradizione culturale e sociale europea e la nascita, all’interno dell’occidente, di nuove comunità, completamente altre. Queste forse, in qualche maniera provocatoria, rappresentano l’unica speranza per l’Europa di abbandonare, una volta per tutte, i demoni del proprio passato e l’attuale schiavitù verso un sistema di vita individualista, basato sulla compravendita assoluta.

Regia - 5
Sceneggiatura - 5
Fotografia - 5
Recitazione - 4
Sonoro - 5
Emozione - 3

4.5