Return Sasyk to the Sea: recensione del documentario di Andrea Odezynska

Return Sasyk to the Sea è un documentario nostalgico e doloroso.

È il 1972 quando il governo dell’allora Unione Sovietica mette in atto un progetto sperimentale di irrigazione nell’Ucraina del Sud, per far diventare tutti gli estuari di acqua salata della zona riserve di acqua dolce utili a favorire l’agricoltura. I primi esperimenti di irrigazione vengono fatti nell’estuario del Sasyk nel Mar Nero. Questo sistema di irrigazione ha creato un disastro ecologico che continua ancora oggi a mostrare i suoi terribili frutti. Documenta questo Return Sasyk to the Sea di Andrea Odezynska, anteprima italiana e film d’apertura del Festival Cinema e Ambiente di Avezzano 2022 dal 13 al 21 giugno 2022.

Return Sasyk to the Sea: la storia di come l’uomo vuole addomesticare la natura

Odezynska torna nel suo paese di origine per narrare dell’estuario del Sasyk, non raccontando della guerra in Donbass o in Crimea, Sasyk però diventa, attraverso un evento di quasi cinquant’anni fa, metafora della storia dell’Ucraina stessa e della guerra dei giorni nostri tra Russia e Ucraina. La regista realizza Return Sasyk to the Sea, un documentario intenso e asciutto insieme, partendo dalle immagini aeree del territorio, che porta al centro del suo lavoro le tragiche vicende di questa nazione che, come ex membro dell’Unione Sovietica, all’epoca dei fatti deve sottostare alle regole di quest’ultima. I sovietici ambiscono a “vincere” contro l’America e il suo strapotere e uno dei campi in cui pensano di poter eccellere è quello agricolo, l’Ucraina può essere il mezzo attraverso cui arrivare al successo. Il governo realizza una diga per chiudere la connessione con il mare, svuotando l’estuario dall’acqua salata per riempirlo con quella dolce proveniente dal fiume. Si vuole addomesticare la natura, indirizzarla, l’operazione mira a sfruttare la terra fertile e, come spesso fa l‘essere umano, credendosi demiurgo, dio in terra, non tiene conto delle conseguenze di questo gesto.

Il progetto di irrigazione mostra fin da subito le sue falle, l’ecosistema, gli abitanti diventano vittime di una terra che inizia ad urlare il suo dolore. Inesorabilmente, nei decenni seguenti la laguna di Sasyk si fa piscina di acqua che emana cattivo odore e che non ha più il suo colore cristallino. Il luogo in cui le famiglie andavano a passare le giornate, a respirare l’aria salubre, il luogo dove gli uomini andavano a pescare, diventa una “bomba ad orologeria”, un bubbone purulento pronto a esplodere.

L’acqua è la base della vita

“L’acqua è la base della vita”

Parole affilate come lame. Gli esperti, gli intervistati dalla registra evidenziano come per Sasyk ci sia stato un prima e un dopo quel folle sistema di irrigazione e appare chiaro come questo prima e questo dopo siano passati per un assurdo e ingiusto paradosso attraverso l’elemento che più di tutti rappresenta forza rigeneratrice e creatrice, fonte di nascita e rinascita. L’acqua avrebbe dovuto irrigare l’irrigabile, fertilizzare le rocce, dare vita a ciò che vita non aveva, invece la grande varietà di pesci che arricchiva le acque dell’estuario ora non c’è più e a poco a poco sulla bocca degli abitanti di quei luoghi inizia a farsi strada una parola tanto spaventosa quanto fino ad allora quasi “sconosciuta”: tumore. Il numero di tumori nella zona è aumentato in maniera esponenziale, i bambini muoiono, le malattie polmonari diventano compagne di vita. Quei luoghi prima paradisi incontaminati sono ora l’ambientazione di una favola nera e spaventosa. Lungo il documentario gli intervistati ricordano le strade piene di bimbi urlanti, di pescatori che andavano a “raccogliere” il loro bottino, oggi invece c’è solo una vuota e solitaria fotografia di un film apocalittico.

Di minuto in minuto emerge con un rigore tanto doloroso quanto matematico che un gesto all’apparenza “minimo”, di “scarsa importanza” – nulla in realtà è minimo e neppure di scarsa importanza – può distruggere un ecosistema con i suoi abitanti, uomini, donne, bambini che hanno perso acqua potabile, le loro vite, le loro case, i loro lavori. Sasyk non è più un paradiso terrestre è diventato la rappresentazione di “una catastrofe ambientale”.

“Il sistema di irrigazione ha portato la tragedia”

Questa laguna, “il risultato di quell’orribile progetto”, è il simbolo di una battaglia lunga e inesorabile tra ecologisti e bracconieri, burocrati, funzionari corrotti; come in tutte queste guerre se da una parte gli uni portano le evidenze di un errore umano che ha creato morte e distruzioni con test, analisi, tabulati, dall’altra i fautori, con l’appoggio di politica e industria, dicono il contrario. A capo di questo movimento ecologista ci sono i membri del Tuzlivski Estuaries National Park: Iryna, Ivan e Nikolai raccontano le umiliazioni che subiscono da una classe politica collusa e corrotta e da chi ha distrutto la loro terra. Il dramma non è finito, gli scontri anche violenti sono continui, come violenta attività di chi tenta di ricavare illecitamente denaro dalle attività della zona.

Return Sasyk to the Sea: quando un luogo ha un valore emotivo

Odezynska compone anche un quadro commovente dell’attaccamento delle persone a quel luogo, riportando parole dette da diversi abitanti della zona che ricordano i tempi passati. “Sasyk era eterno”, dice una donna paragonando la laguna nell’immaginario di un bambino al papà e alla mamma, e si costruisce così un pensiero molto profondo e sentito: nelle foto di quando erano bambini, in cui c’erano i genitori giovani e belli, a fare da sfondo c’erano l’estuario, la laguna, luogo dell’anima che ha un’importanza emotiva. “Sasyk c’è”, continua, come se quel posto fosse personaggio della storia umana di un popolo e l’errore umano compiuto assume un valore quasi blasfemo. Se è vero che nulla è eterno, che tutto cambia, è altrettanto vero che il cambiamento non dovrebbe avvenire perché l’uomo, sentendosi dominus, l’ha forzato. 

Return Sasyk to the Sea: un documentario nostalgico e doloroso su come sono andate le cose

Return Sasyk to the Sea è un racconto nostalgico e doloroso su cosa l’uomo possa fare alla natura, diventando memento per le generazioni future. In maniera rigorosa la regista ricostruisce quegli anni difficili e ingiusti riportando le parole di chi quella terra l’ha conosciuta prima e dopo, di chi ha studiato, analizzato le acque, di chi ha combattuto per chi ancora c’è e per chi non c’è più ma anche per quella natura una volta incontaminata ora violata e ferita a morte.

Regia - 3.5
Sceneggiatura - 3.5
Fotografia - 4
Sonoro - 3.5
Emozione - 0

2.9