Rambo: Last Blood – recensione del film con Sylvester Stallone

Recensione di Rambo: Last Blood, nuovo e presunto ultimo capitolo della saga action di Sylvester Stallone, che ragiona sul passato e sulla vendetta.

Torna l’ex Berretto Verde, reduce del Vietnam, soldato di mille guerre e battaglie John Rambo, torna per l’ultima (ma sarà poi l’ultima?) volta sul grande schermo, vecchio, ferito nell’anima, ma pronto a difendere chi ama, a battersi contro i predatori che affollano un mondo del quale non si è mai sentito realmente parte, ma vittima e insieme carnefice. Lo fa in questo Rambo: Last Blood, l’ultimo sangue, l’ultimo da dare ma soprattutto da versare, non in nome di confusi ideali in paesi da salvare, di sconosciuti o amici da strappare alle fauci della morte, ma della vecchia, onesta e mai fuori moda vendetta.

Una vendetta che vive e respira dentro un iter costruito da  Matthew Cirulnick e dallo stesso Sylvester Stallone, alle prese con quel personaggio iconico che solo qualche anno fa aveva detto di voler “lasciare in pace”, di non voler più utilizzare. Ma c’è sempre tempo per un’altra battaglia, per un’ultima missione, per rivedere uno dei simboli più potenti del cinema americano di ogni tempo ancora in azione, per quanto questa volta, il tutto non si svolga in qualche lontano inferno esotico, ma in Arizona, dove John era tornato dopo i sanguinosi eventi dell’ultimo capitolo, risalente ad 11 anni fa.

Rambo: Last Blood – l’ultima prova per un vecchio guerriero

Rambo: Last Blood ci mostra il vecchio (ma mai domo) Rambo che vive nel suo ranch in Arizona, assieme all’amica Maria (Adriana Barraza) e alla figlia di quest’ultima Gabrielle (Yvette Monreal), che a breve comincerà il college, lasciando un po’ più solo e triste l’uomo che le ha fatto da padre negli ultimi dieci anni. Il suo vero padre l’ha abbandonata allora, e per capire il perché, per avere risposte a delle domande prima di cominciare la sua nuova vita, Gabrielle andrà oltre confine, in Messico, a trovare quel padre che l’ha rifiutata tanto tempo prima.

Ma sulla sua strada troverà i terribili fratelli Martinez, Hugo (Sergio Peris-Mencheta) e Victor (Oscar Jaenada) trafficanti di esseri umani tra i più spietati, che la rapiranno. Per salvarla, John Rambo si imbarca in un’ultima crociata che però avrà dei risvolti tanti sanguinosi quanti inaspettati, che metteranno per l’ultima volta alla prova il vecchio guerriero e il suo arsenale di morte.

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Rambo: Last Blood – un ritorno alle origini per Sylvester Stallone

Rambo: Last Blood, si muove in perfetta controtendenza rispetto ai capitoli precedenti, recupera sicuramente la dimensione maggiormente intima, personale e micro del primo, indimenticato episodio, senza però collegarsi in modo così stretto a tematiche politiche o sociali come First Blood fece a suo tempo. Qui siamo alle prese con un Rambo molto fragile, malinconico, perso in mille pensieri, costretto a guardare in faccia la realtà di una vita da paria, di un’esistenza da solitario che è circondata solo dall’affetto di poche persone.

Sono ancora presenti elementi di disturbo da stress post-traumatico, Rambo è ancora in guerra dentro la sua mente, attorno a sé tiene tutto quello che un tempo gli è servito per seminare morte. E che ora sembra tenerlo in vita.

Stallone ne interpreta sicuramente con grande intensità l’essenza, le due diverse facce, quella dell’uomo “civilizzato” che si muove lentamente, che è a suo agio solo con gli animali, o con il proprio silenzio. E poi vi è l’altra, tenuta chiusa a chiave, quella dell’ex cacciatore di teste, dell’uomo che per tutta la vita ha seminato morte e che sotto sotto, quasi aspetta un motivo per rifarlo. E nel profondo si vergogna di tutto questo.

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Rambo: Last Blood predilige l’azione e lascia poco spazio all’introspezione

La sceneggiatura divide tutto in due parti ma, a conti fatti, ha l’enorme difetto di non saper ben calibrare il riaffiorare della natura violenta e ferale di Rambo, con una partenza lenta, immotivatamente cadenzata nella prima metà, che successivamente accelera in modo quasi brutale nella seconda.

Per quanto la regia di Adrian Grunberg (assistente e aiuto regista di un bel po’ di thriller action) sia efficace nelle scene d’azione, quasi virtuosa, fallisce invece nel guidarci attraverso i silenzi, le paure del protagonista, e Rambo: Last Blood che ha il grosso difetto di avere delle nemesi assolutamente non all’altezza di quelle viste nei capitoli precedenti.

Il ritmo irregolare e ben poco armonioso, dà l’impressione che il tutto sia stato concepito in virtù di una battaglia finale tanto ben congegnata quanto breve, senza colpi di scena, phatos, per quanto coreograficamente resti un perfetto omaggio al passato vietnamita di Rambo. Palesi sono il suo ispirarsi al western crepuscolare dei bei tempi che furono, con un’atmosfera cupa e presaga di morte, di fallimento e senza speranza, ma poi tutto diventa pian piano più un omaggio ad alcuni dei capitoli più stantii e dimenticabili de Il Giustiziere della Notte.

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Rambo: Last Blood è un film sui fantasmi del passato

Resta tuttavia negli occhi la dolente e disperata performance di un Sylvester Stallone capace di regalarci un John Rambo che insegue e accarezza una morte che lo ha accompagnato per tutta la vita, ma che di lui sembra non volerne sapere. Il che già di per sé vale una visione, perché palese è il suo mostrarci in modo assolutamente genuino e viscerale, l’essenza stessa della parola reduce, la dolorosa coerenza nella mancanza di rinascita per chi ha visto la morte in faccia.

Rambo: Last Blood è in realtà un film sui fantasmi. I fantasmi dei compagni morti in battaglia decenni prima, che non hanno mai abbandonato il vecchio guerriero, di una vita fatta di errori, di ideali morti e sepolti nella giungla, per cui ora conta solo quel poco che di caldo abbraccia un naufrago della propria stessa vita. Vi è un’ampia memorialistica che narra di quanto i reduci, quelli che ce l’hanno fatta, vivano per questo un enorme senso di colpa rispetto a chi han dovuto seppellire e ben pochi film ce lo mettono davanti agli occhi come questo quinto capitolo di John Rambo.

La sola cosa che sa fare, a tanti anni di distanza, è uccidere. E lo sa. E si odia per questo, odia ciò che è diventato da quando 18enne si arruolò, come molti altri ancora oggi, per pura mancanza di prospettive.

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Rambo: Last Blood si alimenta di una violenza iper-realistica, truculenta, che non risparmia nulla allo spettatore, ma anzi ne soddisfa la bramosia visiva, sorprende tuttavia con un paio di colpi di scena non male in una sceneggiatura che però è sovente inconcludente e ben poco approfondita.

Rimane però il dolente grido di dolore, rimane la forza disperata di un simbolo di un’America che non c’è più, di un paese che non c’è più, di cui (involontariamente?) John Rambo è il simbolo del fallimento, dell’epica reaganiana schiacciata dalla storia, dalla crisi economica, dal mutare di una società che però non abbandona il suo odio per i non allineati. Sicuramente piacerà ai fan di Stallone, a chi ama l’epopea sanguinosa e triste di questo reietto, ma non a chi si aspettava qualcosa di più approfondito, di più ambizioso, come Stallone ha dimostrato di sapere fare con Creed e persino con la saga action The Expendables.

Rambo: Last Blood arriva al cinema il 26 settembre 2019 distribuito da Notorious Pictures.

 

Regia - 3.5
Sceneggiatura - 2.5
Fotografia - 3
Recitazione - 3
Sonoro - 2.5
Emozione - 3.5

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