Predator: Killer of Killers – recensione del film d’animazione

Tratchenberg dirige un film d'animazione che risponde a una curiosità tipica dei fan della saga di Predator: chi vincerebbe uno scontro fra gli yautja e i guerrieri più temibili della storia?

Il 6 giugno 2025 arriva in streaming su Disney+ il film d’animazione Predator: Killer of Killers, di Josh Wassung (dello studio di animazione Third Floor) e Dan Tratchenberg, regista del primo film della saga prodotto sotto l’egida della Disney, Prey (2022) e dell’imminente sequel Predator: Badlands (2025).

Il film segue le vicende di quelli che dovrebbero essere tre fra i più temibili guerrieri della storia umana, dividendosi in tre episodi, che poi si ricollegano nel finale. Nel primo episodio una guerriera vichinga, a capo di una banda di razziatori, guida i suoi uomini e il suo giovane figlio in una missione di vendetta contro il re che ne ha ucciso il padre. Nel secondo un ninja porta avanti una sorta di ripicca (non proprio pacifica) contro il fratello samurai, a causa di uno screzio giovanile. Infine nel terzo episodio assistiamo alle vicende del giovane Torres, un americano-messicano chiamato a combattere su una portaerei, durante la seconda guerra mondiale.
Mentre ognuno dei tre episodi segue la propria precipua traiettoria narrativa, a un certo punto irrompe, in ciascuna storia, un diverso Predator, il classico alieno della saga iniziata da McTiernan e Schawrzenegger nel 1987. I tre protagonisti, ça va sans dire, hanno il loro bel daffare nello sbarazzarsi del mostro, ma alla fine vengono catturati e portati su un pianeta popolato da yautja, cioè la razza dei Predator. L’ultimo atto del film vede la vichinga, il ninja e il soldato cercare di sfuggire al temibile re degli yautja.

Predator: Killer of Killers. Un viaggio al fulmicotone attravero i generi dell’action

Predator: Killer of Killers Cinematographe.it

Tratchenberg, come già dimostrato con Prey, è un fan della saga e infarcisce il racconto di situazioni e riferimenti che si richiamano a tutta la mitologia del franchise: dal ninja con katana che porta alla mente dello spettatore una delle poche scene riuscite di Predators (Antal, 2010) alla pistola settecentesca donata dagli yautja al personaggio di Danny Glover alla fine di Predator 2 (Hopkins, 1990), fino al cameo di Naru, la protagonista di Prey. L’approccio registico è qui definito da una totale aderenza ai canoni dei generi action e adventure a cui le tre vicende narrate si rifanno.

Non ci sono mezzi termini. Il film si presenta come un viaggio al fulmicotone all’interno del viking movie in stile Valhalla Rising – Regno di sangue (Refn, 2009) o Vikings (la serie canadese), del chambara giapponese filtrato dalla sensibilità holliwoodiana e del war movie, inteso come una variante del film avventuroso. Vi sono tutti i cliché dei vari generi: la vendetta, lo scontro fra dovere e legami famigliari, il passaggio dall’adolescenza all’età adulta. Ma ciò che spicca di più nella narrazione è l’inserimento di tali temi in un percorso formativo che, attraverso la lotta per la sopravvivenza, porta i protagonisti a rinnegare il desiderio di vendetta, affermando la necessità della cooperazione. Quest’ultimo aspetto ideologico finisce per essere il vero motore della vicenda e viene incarnato dal personaggio di Torres, rappresentato come un eroe adolescente spielberghiano, piuttosto che come un action hero. Dunque al netto di una certa dose di violenza, il valore edificante della vicenda emerge, snaturando completamente le ambiguità ideologiche che McTiernan aveva inserito nel primo episodio della saga, fornendo le coordinate per la mitologia a venire. Qui gli yautja, come d’altronde in Prey, perdono il proprio valore di nemesi escatologica/naturalista di un pensiero occidentale guerrafondaio e assumono il semplice ruolo di minaccia altra che incarna una più generica pulsione di morte insita nella natura umana.

Predator e la violenza dello sguardo spettatoriale

In quest’ottica il cinema, identificato con i generi adoperati come matrice per il racconto, in un afflato metafilmico, si configura come un meccanismo di disvelamento di una realtà profonda dal duplice volto. I vari Predator infatti rimangono invisibili per la maggior parte dei tre episodi. Questo fa sì che lo sguardo dello spettatore sia spesso identificato con quello del guerriero spaziale.

Si lascia intendere che l’invisibile pulsione alla violenza che spinge i protagonisti, derivi dalla nostra pulsione scopica a godere della rappresentazione della violenza. Cioè, da un lato, il pubblico rappresenta quella pulsione di morte di cui i protagonisti si devono liberare, ovvero la pulsione a spettacolarizzare la violenza (a fini commerciali) tipica della nostra società. Dall’altro, però, ciò può avvenire solamente nel momento in cui i vari eroi si inseriscono nelle convenzioni disneyane del genere adventure. Qui il male è un altro assoluto a cui si contrappongono eroi che abbracciano i valori convenzionali della società statunitense – che in questo caso si identificano con la cooperazione fra culture ed etnie diverse in una guerra giusta. L’alieno indefinibile, dalle caratteristiche mutanti e terzomondiste, viene irrimediabilmente reso visibile e definito all’interno della forma di quel male primordiale da annientare. Appunto le ambiguità dell’originale, che chiamava in causa la definizione stessa di guerra giusta, vengono completamente abbandonate in favore di una rappresentazione chiara e priva di zone d’ombra.

Predator: Killer of Killers – valutazione e conclusione

Predator: Killer of Killers funziona bene, soprattutto nelle scene più adrenaliniche, grazie a un’ottima fluidità dei movimenti di macchina e a un sapiente uso del montaggio.
Lo stile visivo privilegia le linee pulite e un’estetica decisamente debitrice della serie Netflix Arcane. Il character design è interessante e aggiunge alcune innovazioni visive nella lore grafica dei Predator. Purtroppo in alcuni momenti il tutto risulta essere troppo pulito. Inoltre la presenza della forte morale, la componente sentimentale legata ai legami famigliari e alla crescita e la stilizzazione di alcuni personaggi secondari gettano l’ombra della disneyzzazione che ha già colpito l’universo supereroistico Marvel, anche su questo franchise. Viene il dubbio, così, che quest’ultimo potrebbe invece dare il suo meglio all’interno di un rinnovato action più muscolare o addirittura dell’horror fantascientifico puro.

Regia - 3
Sceneggiatura - 3
Fotografia - 3
Recitazione - 3
Sonoro - 3
Emozione - 2.5

2.9