Roma FF17 – Poker Face: recensione del film di Russell Crowe

Il lungometraggio, tra le proiezioni di Alice nella città, sezione parallela e indipendente dell'evento della Capitale, si incammina verso una curiosa strada esistenzialista, rovinando tutto con l'azione.

Poker Face è il secondo lungometraggio da regista del celebre Russell Crowe (Il gladiatore, A Beautiful Mind) che aveva debuttato alla macchina da presa nel 2014, con The Water Diviner. Questa nuova pellicola è uno strano progetto (che vede tra l’altro lo stesso Crowe come protagonista assoluto), non facilmente identificabile, che però ha una forte componente spirituale e sacra. Tale direzione viene sempre meno all’interno del film a causa di alcuni elementi esterni che la appesantiscono, nello specifico una sezione action totalmente da dimenticare.

Poker Face, ad ogni modo, presenta delle buone idee e nonostante sia acerbo e confuso in alcune sue componenti ha delle trovate interessanti. Il titolo, prodotto tra gli altri da Rebellion Studios, Arclight Films, Catchlight Studios, Hamilton Entertainment, è presentato durante la 17esima edizione della Festa del Cinema di Roma, in particolare nella sezione di Alice nella città, che è indipendente e parallela rispetto all’evento della Capitale. Ad ora è ancora ignota la data di uscita in Italia, dove probabilmente arriverà su SKY, che ha co-finanziato il progetto.

Poker Face: carte e redenzione

Poker Face - Cinematographe.it

La trama di Poker Face si apre con un’assolata giornata d’estate con Jake e il suo affiatato gruppo di amici. Momento centrale è la partita a poker, una sfida quasi ribelle ed ossessiva, che ha segnato quei ragazzi per sempre. Passano gli anni e il protagonista, oramai divenuto adulto (Russell Crowe) è diventato miliardario grazie alla vendita, insieme ad uno degli amici, di un sistema di carte, in seguito evoluto in un algoritmo per la difesa dei governi. La vita talvolta è inaspettata e quando sceglie per lui una tragica sorte, il nostro eroe decide di tributare a dovere i suoi vecchi compari con un’ultima, intensa competizione a poker che però è piena di sorprese.

In realtà, la trama del film, per quanto possa sembrare lineare e diretta, è più complicata di così: per quanto il famoso gioco di carte è centrale per la narrazione ed è rappresentativo di Jake, fardello e fortuna che si è portato avanti per tutta la vita, quella che appare inaspettata è l’istanza filosofica ed esistenzialista presente. Sovente le scene più intime sono accompagnate dalla voce fuori campo di Crowe che sottolinea ancora di più il carico di drammaticità, dando un significato profondo a quanto sta accadendo all’interno della pellicola. Una manovra classica che anche in questo caso funziona, ma che purtroppo soffre dall’inizio di un problema piuttosto evidente.

A livello di scrittura, infatti, Poker Face, in particolare nella parte introduttiva, non è chiaro: se la trama si riesce a identificare, ciò che non è esplicito è dove vuole andare a parare. Perché nella sezione iniziale vengono presentati una serie di elementi apparentemente scollegati fra loro che per quanto abbiano un’anima introspettiva molto curiosa specialmente in titoli di questo tipo, non sembra essere perfettamente legata al resto. I dubbi, però, finiscono quando il protagonista riunisce tutti i suoi amici: in quest’ultima cena a tema ludico il film tira fuori finalmente uno sperimentalismo convincente.

Il copione inizia a raccogliere e presentare tutti quegli indizi disseminati in modo caotico e la regia di Crowe cambia tono, trasformando progressivamente quello che sembrava un lungometraggio introspettivo in un thriller crepuscolare dai toni torbidi. Nulla sembra essere lasciato al caso, nemmeno la scelta della macchina da presa di essere volutamente criptica, di rimanere un po’ distante e fredda, puntando tutta sulla tensione e su un possibile sviluppo improvviso capace di stravolgere realmente le cose. E dal momento in cui il protagonista fa la sua grande, ma abbastanza citofonata rivelazione, tutto si trasforma, ancora una volta, purtroppo in negativo.

Poker Face: chi troppo vuole…

Poker Face - Cinematographe

Sì, perché in Poker Face si aggiunge un genere cinematografico e se questo potrebbe dare corpo ad una storia che fino ad ora in alcuni passaggi era effettivamente evanescente e caotica, invece la va ad affossare ancora di più. Mentre il thriller abbandona lo schermo, ecco che arriva straripante l’action movie nudo e crudo, che porta via tutto quello che di buono era stato fatto. In primo luogo, tale idea non sembra reggere perché non solo cozza su quanto è stato costruito in precedenza, ma anche perché, ai fini della trama, è totalmente accessoria: non cambia il finale (poetico in realtà) e quindi non è per nulla risolutiva.

In seconda battuta, purtroppo, tutta questa componente dinamica ha diverse pecche sia dal punto di vista di scrittura che di regia. Per quanto riguarda la parte narrativa, il copione non rende funzionale e coerente l’ingresso di questo genere nel film, inserendolo in modo un po’ macchinoso e forzato, come fosse un elemento imprescindibile da mettere a tutti i costi. Sul lato tecnico e registico, non ci siamo: i combattimenti sono troppo veloci, coreografati con sufficienza e con idee di scena già viste e riviste che ostacolano la visione.

È davvero un peccato, ma purtroppo quel barlume di interesse, con lo sconcertante furto goffo e pacchiano all’interno della casa di Jake, si esaurisce in un colpo solo. Detto questo, dal punto di vista attoriale, Russell Crowe si difende molto bene: certo, non si tratta dell’interpretazione più riuscita della sua carriera (e nemmeno probabilmente era la sua ambizione), ma è evidente che il divo neozelandese crede fortemente nel suo personaggio. Anche il resto del cast, in realtà, tra alti e bassi, se la cava, con qualche caduta specialmente tra il gruppo di antagonisti che a livello recitativo appaiono troppo estremi ed esagerati.

Poker Face è un titolo decisamente problematico: il secondo film di Russell Crowe, nonostante apparentemente sia orientato verso l’indagine esistenziale e filosofica, ha una scrittura debole di fondo che non gli consente di avere la solidità necessaria. Quando però tutti gli indizi si mettono insieme, purtroppo il thriller lascio spazio all’azione, banale e mal costruita. Registicamente, nella parte iniziale qualche soluzione interessante c’é, ma si perde in un appiattamento generale che poi confluisce in sequenze dinamiche per niente funzionali ed efficaci. Parlando del cast, c’è sicuramente dell’impegno, con un Crowe sempre in prima linea anche in un progetto così mediocre.

Regia - 3
Sceneggiatura - 2
Fotografia - 2
Recitazione - 3
Sonoro - 2.5
Emozione - 2

2.4