Peso morto: recensione del documentario di Francesco Del Grosso

Francesco Del Grosso ci porta con eleganza e sensibilità dentro la storia di Angelo Massaro e col suo Peso morto riesce davvero a colpire nel segno!

21 anni di prigionia. 21 anni senza compleanni, senza matrimoni, senza funerali. 21 anni senza niente. 21 anni senza la famiglia accanto, lontani dalla moglie e dai figli che fuori da quelle mura stanno crescendo. 21 anni chiuso in una cella da innocente. Questa è la dolorosa e toccante storia di Angelo Massaro, una storia di ingiustizia, una macchia nella nostra giurisprudenza, un incubo raccontato dal regista Francesco Del Grosso e prodotto da Black Rock Film ed Errorigiudiziari.com, nel documentario Peso morto. Una triste pagina in cui un innocente sconta una colpa non sua, mentre il vero colpevole è libero. Il documentario mette in scena una delle più angoscianti paure umane: venire accusati di qualcosa da cui non ci si può difendere. 

Peso morto: l’odissea di un uomo qualunque

“Il mondo è andato avanti ma io sono rimasto al 1996”

Una notte tutto cambia per Angelo. Vanno a prenderlo a casa con l’accusa di aver ucciso un uomo e di averne occultato il cadavere ed è per questo condannato ingiustamente a 24 anni. L’onta è ancora maggiore perché si tratta di un amico di famiglia, Lorenzo Fersurella, padrino dei figli e compare d’anello. L’accusa è ancora più infamante se si è innocenti. Il mostro si tinge di tinte ancora più fosche, colpisce qualcuno che fa parte della propria cerchia, viola il sacro legame dell’amicizia.

Il tempo si è fermato quel giorno, tutto fuori è andato avanti ma lui no, è rimasto bloccato lì, portato via dalla sua casa, abbandonando per causa di forza maggiore l’amata moglie e gli adorati figli. 7591 giorni. Quasi ventuno anni. Sono un vero e proprio insulto ad ogni società civile, le ore, i mesi, gli anni sono interminabili, il tormento insostenibile distrugge ma Angelo Massaro sa di non aver commesso ciò per cui sta scontando la pena, continua a dichiarare, con forza, la propria innocenza contro tutto e tutti.

Peso morto narra l’odissea umana di Massaro e lo fa attraverso un viaggio fisico e anche emotivo nei luoghi che hanno fatto da cornice alla sua ingiusta detenzione. Coloro che hanno incrociato Massaro, lungo questi anni difficili, lo psicologo, la direttrice del carcere di Catanzaro, il sacerdote, gli avvocati parlano di lui, ricordando ciò che è stato, i suoi familiari, la moglie Patrizia, i figli Antonio e Raffaele che all’epoca dei fatti avevano due anni e mezzo e quarantacinque giorni, e la madre di Angelo, senza troppi freni, portano a galla emozioni, silenzi, mancanze di quel difficile periodo. Le parole di Massaro si stagliano potenti, le ingiustizie spesso rendono nude le emozioni e infatti, mentre cammina tra i luoghi che ben conosce, non riesce a mascherare commozione, strazio e orgoglio.

Basta il cambio di una consonante e una vita può cambiare

Peso morto_Cinemtographe.it

Peso morto si costruisce lungo tre direttrici: la famiglia, il liberarsi da quei legacci che molti vedono ancora intorno alle sue caviglie (molta gente pensa che uno che è stato scagionato non sia un innocente ma un colpevole che l’ha fatta franca), l’ascoltare le scuse di chi ha sbagliato e gli ha rovinato la vita. Di fronte allo spettatore si mostra una fotografia oscura da cui emerge chiaramente che la condanna di Massaro è frutto di un effetto a catena di errori, omissioni, illazioni. 

Arrivano a lui per una dichiarazione di un collaboratore di giustizia e per un’intercettazione telefonica fraintesa. A una settimana dall’omicidio Massaro viene intercettato mentre parla con la moglie, pronuncia la parola “muers” che in dialetto tarantino vuole indicare un oggetto ingombrante, un peso morto, come dice il titolo, in questo caso l’uomo fa riferimento ad una pala meccanica per lavorare la terra. La frase viene tradotta e trascritta, l’errore sta nel peso morto che diventa “muert”, morto appunto. Per gli investigatori questa è la prova regina, nonostante manchino il cadavere, l’arma, il movente: è stato lui ad uccidere il suo amico, lui sta parlando del cadavere di Fersurella. Massaro finisce dietro le sbarre per colpa di una consonante, di un’intercettazione telefonica sbagliata; la vita dell’uomo viene distrutta per un errore che rovinerà a lui e alla sua famiglia 21 anni di vita.

Francesco Del Grosso ci porta con eleganza e sensibilità dentro la storia di Massaro, lo spettatore entra nei ricordi, nei sentimenti, nel dramma dell’uomo e comprende rabbia, umiliante mortificazione e coraggio di una persona che per un errore giudiziario è stato buttato in una cella, considerato colpevole per un’intercettazione telefonica su cui è stato costruito un processo. La vittima ha resistito al dolore e alla sofferenza per una condanna assurda e ingiusta, tra quelle pareti ha iniziato a studiare il proprio caso, ha deciso di iscriversi alla facoltà di Giurisprudenza, ha iniziato a scrivere lettere indirizzate a chi avrebbe potuto aiutarlo. Serviranno però tanti anni per rivedere la luce del sole e rifare un bagno al mare. Nessuno potrà ridargli tutto ciò che ha perso, i compleanni dei figli a cui è mancato, gli anniversari, i Natali. Nessuno e nulla lo potrà risarcire per davvero. Quella di Massaro è una storia di rinascita, non solo perché è un ritorno alla vita di prima – cosa impossibile, lui stesso dice che uscito non era più lui -, dalla moglie e dai figli, ma anche perché il suo calvario può diventare testimonianza utile per gli altri. 

Peso morto: un documentario che colpisce e lascia il segno

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Peso morto è un documentario che colpisce e lascia il segno. Si apre con un uomo che sta per fare il bagno al mare, il primo dopo la sua odissea. Un bagno che lava dalle sofferenze, dalle ingiustizie, dalle umiliazioni da parte di uno Stato che l’ha calpestato, da parte di una Legge che non è stata uguale per tutti. Quando le porte del carcere di Catanzaro si aprono, una mattina del 23 febbraio 2017, Massaro torna in un mondo che gli è estraneo, per quasi metà della sua vita lui ha vissuto dietro le sbarre, assurge a valore simbolico il fatto che l’uomo per rinascere abbia voluto immergersi tra le acque del suo mare. Il documentario di Del Grosso porta l’attenzione su una storia tragica perché quando un cittadino viene incarcerato senza colpa, non ascoltato, marchiato con una lettera scarlatta, è un fallimento per l’intera comunità e fa emergere gli errori che sono stati commessi.

Si tratta di un racconto asciutto, capace di incanalare le emozioni di chi quella ferita ce l’ha ancora addosso, sotto la pelle, di chi ha assistito come professionista alla rinascita di Massaro, di chi ha sofferto assieme a lui attendendo il suo ritorno.

Regia - 4
Sceneggiatura - 3.5
Fotografia - 3.5
Sonoro - 3
Emozione - 4

3.6