Biografilm 2020 – Parola d’onore: recensione del film di Sophia Luvarà

presentato in anteprima al Biografilm Festival 2020, Parola d'onore segue il Presidente del Tribunale per i Minorenni di Reggio Calabria e alcuni ragazzi strappati alla 'Ndrangheta

Il giudice Roberto Di Bella, Presidente del Tribunale per i Minorenni di Reggio Calabria. Pierpaolo, Simone, Bader, Reda e Alfonso, ragazzi che in un modo o nell’altro hanno incontrato la ‘Ndrangheta. Racconta questo Sophia Luvarà, la regista di Parola d’onore – oggetto anche del progetto “Liberi di Scegliere” -, uno dei documentari che partecipa al Biografilm 2020, presentato in anteprima mondiale.

Parola d'ordine - Cinematographe.itParola d’onore: lo sguardo di una calabrese su un gruppo di calabresi

La scelta; è questa che regala il giudice Roberto Di Bella, quella di essere chi si vuole, non avendo un percorso prestabilito. Di Bella è coraggioso, severo che tenta con forza e delicatezza di lottare contro la ‘Ndrangheta allontanando dall’ambiente mafioso gli adolescenti coinvolti in attività criminali. Pierpaolo, Simone, Bader, Reda e Alfonso  sono fragili, cresciuti troppo presto, buttati nell’agone della vita dalle loro famiglie e dalla società, incapace di proteggere i propri figli. Loro raccontano i propri errori, entrano nei propri sbagli, in quelle radici da cui sembra provenire ogni casa e, nonostante ciò che hanno commesso, si vuole bene ai protagonisti del racconto grazie allo sguardo di Sophia Luvarà che conosce bene quella terra (è calabrese) e un po’ conosce anche lo smarrimento dei suoi giovani (ha deciso di abbandonare a 18 anni la Calabria in cerca di un futuro migliore).

Per realizzare Parola d’onore la regista torna nella “sua culla” e parla di una materia complessa, difficile e per fare ciò abbatte la quarta parete, avendo accesso esclusivo e incondizionato ai luoghi in cui si decide il destino dei ragazzi. Si fa strada nell’ufficio del giudice Di Bella, vivendo le aule della rieducazione, ma si scopre anche cosa voglia dire essere incastrati in una macchina molto più grande di Pierpaolo, Simone, Bader, Reda e Alfonso parlare un linguaggio con una grammatica ben definita e rendersi conto poi all’improvviso che per crescere, per vivere una vita normale devono tagliare il cordone ombelicale (dalla famiglia e da quelle strade).

Parola d'onore - Cinematographe.itIl racconto di un’istituzione che tenta di rieducare i suoi figli

Dopo essere stata molto lontana, in molte terre, la Luvarà viene richiamata perché sente l’urgenza, il bisogno di portare al cinema una storia potente che insegna che c’è possibilità di salvarsi e che c’è speranza. Il tutto si compie grazie al giudice Di Bella: togliere i giovani alla ‘Ndrangheta. Ciò che è interessante e il modo in cui questo si compie, Di Bella vuole rappresentare uno Stato che (ri)educa. Prende le forme così un’istituzione che vuole essere Stato, con le sue regole, rigide e rigorose, diventando così Padre – modello e punto di riferimento – ma anche Famiglia – luogo in cui sentirsi protetto e sicuro -: quando lui parla con i suoi ragazzi è come una figura genitoriale che invita, ricorda, chiede nella speranza di non perdere nessuno di loro, riportandoli alla vita, dando loro nuove basi per il futuro.

E poi ci sono Pierpaolo, Simone, Bader, Reda e Alfonso che colpiscono per forza, coraggio, e anche timore perché sono lontani da casa, da ciò che hanno da sempre conosciuto; ed è chiaro che per loro non sia stato semplice – e tutt’ora non è facile – tentare un’altra strada, dimenticare un bagaglio “culturale, emotivo”, una sorta di patrimonio quasi genetico per questi giovani, cresciuti secondo quell’alfabeto. Sono però un bell’esempio di chi ce la fa anche a costo di conflitti interiori e ferite profonde. Il documentario in modo semplice e diretto arriva a raccontare una storia e a smuovere domande e così lo spettatore si chiede quanto possa essere complesso dimenticare per poter vivere una nuova libertà, quanto possano essere forti quei ragazzi che da un momento all’altra sono stati sradicati da un “luogo” che comunque è casa per quanto pericoloso e violento, per essere messi in un altro per loro sconosciuto, all’inizio inospitale e straniero.

La regista riesce a mettere al centro un dramma vero, profondo, quasi un conflitto amletico che dimostra che salvarsi, aprire nuove porte, rieducarsi è possibile se si è sostenuti, accompagnati in un nuovo mondo. Questi giovani hanno dovuto rinnegare un padre, una famiglia, una “religione” ed è evidente che nonostante potesse sembrare un taglio con il passato quasi insopportabile, si dimostra una scelta possibile. Nuove figure, nuovi insegnamenti incominciano a costruire dove tutto è stato demolito, e elemento fondamentale per la rinascita è l’arte: la letteratura, il teatro – portano in scena un adattamento della tragedia shakespeariana Romeo e Giulietta – sono strumento di liberazione, di analisi e di autoanalisi; attraverso la cultura i quattro giovani imparano concetti, limiti, valori che a loro non erano stati insegnati – o almeno hanno un significato diverso – e in nome di questi iniziano a vivere. Il teatro, i libri letti, sono patrimonio importante che fa da nuova colonna vertebrale, rappresentazione di tutto ciò è Alfonso Gallico, che parla, si esprime, racconta tutta la sua storia con educazione e, paradossalmente, con eleganza che sembrano lontani dal suo mondo d’origine.

Parola d'ordine - Cinematographe.itParola d’onore: un racconto che commuove e che infonde speranza nel futuro

Parola d’onore fa riferimento ad un altro onore, non a quello classico della malavita ma a quello del giudice, a quello del regista dello spettacolo, dell’attrice che lavorano con loro, persone che si danno a un gruppo di giovani per aiutarli diventando esempio positivo di rettitudine e di serietà. Ciò che si racconta non è la ‘ndrangheta dei film, è un racconto che non segue i cliché, ci sono storie vere, fatte di nomi, cognomi, di morti che gravano nella memoria, della tristezza che si portano negli occhi, del desiderio di far cambiare verso alla propria esistenza. Così questi ragazzi dimostrano il peso del vivere, e lo si capisce dagli sguardi disperati, dalle unghie mangiate, dalle risate che fanno capire che quelli sono prima di tutto ragazzi – anche se cresciuti troppo in fretta. Dopo la visione di Parola d’onore si è aggrappati alla speranza che deriva da un finale che mostra chi sono ora quei giovani.

 

Regia - 3.5
Sceneggiatura - 3.5
Fotografia - 3.5
Sonoro - 3
Emozione - 3.5

3.4