Paradiso in vendita: recensione del film di Luca Barbareschi
Paradiso in vendita, quinto film diretto da Luca Barbareschi, che ne è anche produttore, arriva al cinema a partire dal 24 luglio 2025.
Paradiso in vendita, quinto lungometraggio diretto da Luca Barbareschi, che ne è anche produttore, arriva in sala a partire dal 24 luglio 2025. Ambientato in un momento di profonda crisi economica, la fittizia isola di Fenicusa dovrebbe passare in mano al governo francese deciso ad acquistarla. Con nel cast Bruno Todeschini nel ruolo del protagonista Francois e Donatella Finocchiaro nei panni di Marianna, affiancati da Stefania Biandeburgo, Antonio Ribisi La Spina, Domenico Centamore e molti altri, Paradiso in vendita si segue, anche se in alcuni punti appare fin troppo scontato, aiutato comunque da due fattori che riescono quasi completamente a salvarlo.
Paradiso in vendita: apologia di angoli di paradiso che nel loro essere tali sono intoccabili e invendibili
L’incipit di Paradiso in vendita è tanto semplice quanto la conclusione può descriversi come ovvia. Francois, negoziatore del governo francese, viene inviato sull’isola italiana di Fenicusa, per convincere gli abitanti a venderla in modo che diventi di proprietà della Francia, trasformandola completamente. La popolazione locale chiaramente non è d’accordo e l’impresa di Francois si rivela tutt’altro che facile. Fin quando anche lui comincia ad avere dubbi etici sul proprio operato. Paradiso in vendita è quindi una favola, e per questo dai lineamenti surreali, il cui percorso viene impostato con sicurezza. Non è però uno svolgimento già intuibile sin dall’inizio a procurarsi l’appellativo di scontato, ma tutta l’avvolgente cornice del film. Le storie dove un mondo diverso, lontano e distante dal proprio, fanno cambiare idea, addolcendo gli animi più opportunisti e spregiudicati, hanno bisogno di qualcosa in più, che spesso viene affidato alla comicità, per sfuggire al fatto di essere estremamente prevedibili.
Le vere problematiche di Paradiso in vendita non risiedono nell’essere già visto, ma nel fatto che gli elementi che dovrebbero suscitare ilarità e lo stampo da commedia divertente vengono assegnati a gag, stereotipi e cliché che sono ormai obsoleti, superati e d’altri tempi. La meravigliosa Fenicusa conferisce al film un impatto visivo folgorante capace di trascinare lo spettatore quasi su un altro “pianeta”, ma viene anche presentata come bloccata agli anni ’50. E non per la natura selvaggia e incontaminata o per le personalità isolane e schive degli abitanti, dominati dai capricci del mare, ma per non avere alcun mezzo, strumento né interesse per quello che il protagonista chiama “civiltà”. Uno spettacolo che poteva essere simpatico, anche se sempre un luogo comune, se ambientato più di sessant’anni fa e se lo stesso film fosse stato prodotto più o meno nel medesimo periodo.
Un’epoca indefinita che non risolve l’importanza della credibilità di una storia
Paradiso in vendita non chiarisce in che anno ci si trovi, che è affine all’impianto favolistico, ma che sembra semplicemente un modo per non cadere nell’inesattezza storica, oltre che nell’inverosimiglianza narrativa. La stessa costruzione dei personaggi risiede nella formula della caricatura, eseguita con l’intento di divertire, ma perdendo così tutta l’autenticità creativa che le commedie, seppur inserite in uno scheletro noto e immaginabile, devono avere. Inoltre se Fenicusa è una delle Isole Eolie della Sicilia solo le acque cristalline, i paesaggi incantevoli, i panorami mozzafiato e le baie pittoresche le rendono giustizia, perché sono mete turistiche attrezzate e pronte ad accogliere visitatori. Ne esiste qualcuna dove il tempo sembra essersi fermato e i mezzi di trasporto sono barche o muli, come si vede in Paradiso in vendita, ma al film vengono aggiunti ed esagerati tutti gli altri elementi possibili di una commedia che sembra puntare solo ed esclusivamente su questo.
Paradiso in vendita: valutazione e conclusione
Paradiso in vendita si avvale però di un ottimo cast e di una location straordinaria. L’isola viene ripresa spesso dall’alto, o attraverso campi lunghissimi dove i personaggi diventano figure indistinte che si mimetizzano e perdono tra la vegetazione e i sentieri scoscesi che percorrono. Da Donatella Finocchiaro a Bruno Todeschini, dai giovanissimi Matteo Gulino e Francesco Giulio Cerilli fino a Domenico Centamore, ogni ruolo è perfettamente interpretato, anche se la sceneggiatura rende spesso i dialoghi protagonisti di quegli sketch comici poco riusciti. Anche la regia e il racconto stesso, dalla matrice classica e fin troppo canonica, avevano una loro rilevanza e un sistema di narrazione che poteva essere efficace, ma le scelte, nella loro interezza, puntano su principi ai quali si è troppo abituati per far sì che riescano a elargire e concedere quel pizzico in più che avrebbe giovato al film. Così come anche una prevalente attenzione al realismo, che potrebbe essere scambiata qui per noncuranza invece che per preferenza valutata e poi decisa. Il lieto fine si poteva prevedere e accettare, ma anche in questo caso c’è un limite a tutto.