Once Upon a Time in Gaza: recensione del film dei fratelli Nasser, dal RoFF 2025

Spiegare il conflitto in Medio Oriente attraverso il metacinema: la recensione di Once Upon a Time in Gaza.

Un film in un film per raccontare un conflitto che va avanti da decenni: Once Upon a Time in Gaza, diretto dai fratelli palestinesi Arab e Tarzan Nasser, è una storia di fratellanza e di vendetta, sullo sfondo di un territorio occupato dagli israeliani e controllato da Hamas. Il film inizia con la voce fuori campo del Presidente americano Donald Trump, che spiega il potenziale di Gaza, una volta che verrà ricostruita. L’introduzione è sconnessa dal resto dell’azione, che ci riporta nel 2007. Sullo sfondo, i notiziari impazzano: ci sono venti di guerra tra Hamas e Israele, che bolla Gaza come stato terrorista e intende riconquistare Rafah. Il contesto storico è solo da contorno per la storia vera e propria. Osama (Majd Eid) è uno spacciatore di farmaci che ha combattuto durante la prima Intifada; i suoi affari sono tenuti sott’occhio da Abou Sami (Ramzi Maqdisi), membro dell’organizzazione paramilitare. Yahya (Nader Abd Alhay) è l’amico di Osama che ogni tanto aiuta durante i suoi traffici. Ha un carattere mite, gestisce un piccolo punto-ristoro di falafel, che Osama sfrutta per i suoi loschi affari. Un giorno Yahya assiste a un terribile crimine, riuscendo a nascondersi. Qualche anno dopo, quando viene casualmente scelto come protagonista di un film d’azione su un ribelle palestinese, il giovane si ritrova faccia a faccia con l’autore del reato che ha cambiato la sua vita.

Once Upon a Time in Gaza è un film sconnesso, ma si premia la sua imprevedibilità

Nella prima metà del film, risulta quasi impossibile capire cosa i fratelli Nasser vogliano raccontare in Once Upon a Time in Gaza. Il titolo è un’allusione, quasi un omaggio, a Once Upon a Time in Hollywood, dove il cinema riflette su se stesso e si mette in discussione. Ed è proprio attraverso la settima arte che i due registi palestinesi vogliono raccontare una storia di vendetta e di fratellanza sullo sfondo di una Gaza apparentemente “addormentata”, che ogni giorno vive con una quotidianità snervante di fronte agli attacchi missilistici israeliani. La prima metà di film scorre in maniera inesorabile, e risulta difficile riuscire a tracciare il carattere dei suoi personaggi. Principalmente perché la storia viene presentata con il trailer di un film fittizio, dove vediamo Yahya protagonista assoluto nei panni di un ribelle che lotta contro l’occupazione paramilitare sulla Striscia. Tuttavia, il ritmo e il tono cambia rapidamente ed è solo nella seconda parte che la narrazione sembra riprendersi.

Qui i fratelli Nasser si addentrano nel “film dentro il film”, in cui il riservato Yahya è chiamato a fare l’impossibile: diventare attore per caso. La realtà e la finzione si mescolano quando il giovane ritrova l’assassino che qualche anno prima aveva commesso un omicidio indicibile. Per Yahya è l’occasione di vendicarsi, spinto anche dalla possibilità di avere armi vere (il film che sta girando è un low budget, quindi tutto è reale). Questo personaggio è senza dubbio interessante poiché incarna la repressione e la rabbia del popolo palestinese in un contesto geopolitico pronto ad esplodere. La storia, però, è piuttosto incoerente: non riusciamo a capire fino in fondo le motivazioni di Yahya e dell’aggressore, il quale sembra anche mostrare un po’ di compassione e rimorso per il crimine commesso anni prima. Tutto resta comunque in superficie.

Once Upon a Time in Gaza: valutazione e conclusione

Il film dei fratelli Nasser è un classico esempio di metacinema, dove però persiste una narrazione barcollante e incerta, che non sa bene cosa vuole raccontare. Il personaggio più interessante risulta essere Yahya, giovane attore per caso che subisce un’evoluzione nel corso del film. Tuttavia la scarsa introspezione non permette di capire a fondo quali sono le sue motivazioni. Si premia comunque la natura imprevedibile del racconto: sotto la sottile patina della commedia, Once Upon a Time in Gaza mostra un popolo oppresso e sull’orlo della rivolta, con un finale che spiazza per via della casualità degli eventi.

Regia - 3
Sceneggiatura - 2.5
Fotografia - 3
Recitazione - 3
Sonoro - 2.5
Emozione - 3

2.8